L’estate degli orrori

 

ROMA – Appena cinque mesi fa il ministro Angelino Alfano annunciava che gli omicidi nel primo bimestre del 2014 erano in calo, ma non i femminicidi. Stando infatti agli ultimi episodi di cronaca, sembra che quest’estate ci sia stata una vera e propria impennata di delitti violenti, che sempre più spesso vengono consumati tra le mura domestiche. Vittime le donne, che continuano a morire a decine, a centinaia.

Silenti e striscianti come dei serpenti i killer aspettano le loro prede per poi i attaccarle con efferatezza inaudita. Inquietanti e spaventosi, i presunti assassini, mariti, compagni, padri, ex fidanzati, spesso agiscono con incomprensibile lucidità, compiono atti orribili a sangue freddo, che potrebbero scaturire solo dalla mente di uno scrittore di libri horror.

In soli pochi giorni si è assistito ad omicidi tanto aberranti quanto inspiegabili. Un padre uccide la figlia di appena 18 mesi. Ancora un padre che impugna un coltello da cucina e cerca di uccidere le figlie, di cui una morirà, poi i tenta di togliersi lui stesso la vita, prima di essere fermato dai due figli maschi. Poi poche ore dopo ancora un ennesimo omicidio ai danni di una donna. Anche questo sconvolgente, orripilante per la rabbiosa modalità ‘atavica’ con il quale è stato consumato. In una zona ‘bene’ di Roma, nel quartiere Eur, un uomo prima decapita la colf ucraina, poi tenta di farla a pezzi con un machete. Viene bloccato dall’intervento della Polizia, contro la quale si scaglia con violenza per poi essere ucciso. Ma non è tutto. Sempre ieri a Lamezia Terme un uomo ha colpito al petto la moglie con un coltello per poi fuggire, facendo perdere le sue tracce. E ancora a Nuoro un uomo di 38 anni prima spara alla moglie con un fucile da caccia e poi si suicida.

Omicidi dettati dallo sconvolgimento della mente da cui sembrano emergere tutte le contraddizioni e le ombre che popolano l’animo umano.

Sono poi alcuni dettagli a sconvolgere. Come nel caso dell’omicidio dell’Eur in cui il killer in questione addirittura indossa indumenti paramilitari, una mimetica e una maschera antigas per non far vedere il suo volto.

Insomma sembra proprio che questa estate pazza ci voglia presentare il conto di una società malata, che ormai non controlla più i suoi profondi pensieri criminali.

I casi di femminicidio intanto continuano a crescere, trasformandosi in una vera e propria emergenza sociale.  Dall’inizio dell’anno si sono già superati i 156 casi. Significa che ogni mese almeno 19 donne vengono uccise da uomini che, ‘in preda a un raptus’, compiono gesti inenarrabili. Raptus, follia omicida, sono le parole più semplici e gettonate per derubricare e manipolare il reale significato di un atto tanto violento quanto umanamente inspiegabile e disconosciuto. La domanda che sorge spontanea è cosa stia accadendo a questa società che si ritiene evoluta ma che, invece, risulta discutibilmente emancipata e soprattutto imbarbarita.

Inutile però scandalizzarsi di fronte a questi episodi  con le solite parole di cordoglio e di finta retorica e continuare a snocciolare numeri, se di fatto non vengono messi in atto interventi concreti che possano realmente arginare e prevenire queste cronache aberranti.

Il decreto, divenuto poi legge sul femminicidio, licenziato tra le polemiche, nell’ottobre del 2013, rientrato in un più ampio ‘pacchetto sicurezza’, sta dimostrando evidentemente oggi tutti i suoi limiti. E’ sul piano culturale ed educativo che vanno combattuti quegli stereotipi ormai fin troppo radicati nelle pieghe della nostra società. Sarebbe necessaria una ‘educazione di genere’ fin dai primi anni di scuola per prevenire ‘la violenza di genere’. Un’educazione che insegni, e questa volta nella teoria e nella pratica, fin dai primi anni di vita, cosa significhi violenza e quali possano essere le ripercussioni nel singolo individuo e nella società. Combattere l’omertà che gli italiani sembrano spesso preferire al riconoscimento della realtà, in una sottovalutazione dei problemi che finiscono per culminare in reazioni incontrollate e a dir poco devastanti. Dobbiamo iniziare a fare delle scelte. La cultura della non violenza non deve essere una parola vuota, ma portare con sé una serie di modelli comportamentali, quali regole, linguaggi e informazioni che, una volta metabolizzate, hanno la funzione di aumentare la consapevolezza e di mettere in pratica il reale significato di convivenza tra individui.

Un processo che la politica dovrebbe innescare in primis e perseguire senza indugi. Quanto fatto finora somiglia più a un palliativo spesso dai risvolti fallimentari. I tagli alla cultura sono solo esempi di un premeditato menefreghismo politico, ignaro dei cambiamenti sociali. Tagli che di fatto limitano i cittadini ad acquisire quegli strumenti necessari per comprendere il fenomeno e combatterlo alla sua radice.

Non possiamo continuare a lamentarci di questi episodi tanto disgustosi quanto drammatici se vige l’immobilismo politico e spesso anche dell’informazione, che avrebbe il compito di denunciare con più impeto quello che le istituzioni non hanno fatto finora. 

 

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