Il governo Renzi ha sbagliato obiettivo e percorso e lo sviluppo non decolla

ROMA – L’aspetto curioso ed inquietante della situazione è mettere in discussione seriamente la politica di austerità dell’Europa, che tuttora è dominanante, sia limitare l’iniziativa per tentare di ottenere qualche miliardo di margine, sempre premettendo dichiarazioni impegnative sul rispetto del 3 % da parte dell’Italia, cambia poco agli occhi dei mercati e delle “signorie” che decidono quando è il momento del pollice verso e quindi puntano su un aumento dello spread. 

La convinzione che bastasse attaccare l’articolo 18, aumentare la precarietà attraverso il tempo determinato, mettere nell’angolo i sindacati per tenere a bada i mercati finanziari e ammorbidire le risposte dei conservatori europei è semplicemnete destituita di fondamento. Del resto la Grecia ha provato a convincere i mercati che la cura da cavallo subita l’ha già messa nelle condizioni migliori per togliersi di dosso l’ipoteca della troika, ma si è trovata immediatamente sotto attacco, al punto da fare fibrillare anche altri paesi europei.

I mercati sanno benissimo che ciò che fa la differenza è la ripresa economica perchè solo così il debito pubblico può essere garantito, e ripagato, mentre purtroppo l’Italia è in recessione da anni e non si vede la famosa luce in fondo al tunnel di montiana memoria. Anzi il nuovo Def e la legge di stabilità sanciscono con i numeri che il 2015 sarà un anno di non crescita, se va bene un modesto più 0,5%. Le misure per rendere ancora più precario e flessibile il mercato del lavoro non solo non bastano mai – c’è sempre una precarietà in più da introdurre – ma semplicemente non creano un solo nuovo occupato perché, come ricordano tutti quelli che se ne intendono, le imprese assumono se hanno qualcosa da produrre in più, se hanno la percezione di una crescita e oggi purtroppo non l’hanno. 

Il governo Renzi ha sbagliato obiettivo e percorso. Portare ai conservatori europei e ai mercati lo scalpo dell’articolo 18 non porterà particolari vantaggi alla ripresa dell’Italia, mentre ai lavoratori darà certamente meno diritti e probabilmente avrà semmai un effetto depressivo sui redditi da lavoro. Confindustria non può che ringraziare per la cortesia. Inoltre offrire alle imprese incentivi non finalizzati, non condizionati, anche se volti a ridurre il costo del alvoro, non porterà nuova occupazione, ma farà solo aumentare i profitti, senza la garanzia che verranno reinvestiti. Così la conferma degli 80 euro in busta paga non porterà una ripresa della domanda interna perché contemporaneamente c’è il blocco del rinnovo dei contratti e i tagli alle regioni e agli entilocali porteranno o a tasse locali in più o a tagli dei servizi. 

Così è una partita di giro all’interno del mondo del lavoro: alcuni guadagnano, altri perdono il saldo è zero. Anche le assunzioni dei precari della scuola dal settembre 2015 vengono finanziate dal mancato rinnovo del contratto del settore.

Con misure di questo tipo lo sviluppo non decolla, del resto lo ammette anche il governo che infatti non prevede una svolta nel 2015.

Eppure l’unico vero argomento per tenere a bada i mercati finanziari e dare una risposta credibile all’Europa è proprio dimostrare che lo sviluppo in Italia riprenderà e che l’occupazione crescerà e per farlo – piaccia o non piaccia – occorre sforare i parametri, come sta tentando di fare la Francia, forzando le regole dell’austerità. Anziché distinguersi dalla Francia sostenendo che ha ragione ma l’Italia rispetterà comunque il 3% era necessario mettere insieme un fronte antiausterità, invece purtroppo prima Monti (noi non siamo la Grecia) ora Renzi (rispetteremo il 3 %) non hanno trovato di meglio che distinguersi, sperando forse nella benevolenza della Germania, che invece procede sulla sua linea che rischia di portare al suicidio l’euro e l’Europa.

In altre parole, se si vuole fare un’altra politica occorre assumersene la responsabilità, promuovere le alleanze necessarie per avere la forza necessaria. Prodi ne parlò apertamente qualche tempo fa, senza essere ascoltato. Renzi ha sbagliato a cambiare linea passando dal cambiare verso all’Europa all’accettazione del 3 % come un vincolo da non superare.

Affermare che il 3% è un errore e poi dichiarare che verrà rispettato non è solo una contraddizione in termini ma un errore grave che porterà l’Italia a navigare sul fondo della crisi, senza riuscire a dare il colpo d’ala necessario, come del resto sarà il risultato di questa legge di stabilità, e che per di più porterà conseguenze sul nostro paese senza nemmeno avere fatto una seria battaglia per giustificarle. In altre parole con i giochi di parole si possono forse imbonire gli elettori per un periodo ma non si inganna chi se ne intende e i liberisti europei non sono stupidi, sbagliano, portano avanti una linea di destra, socialmente iniqua, ma non sono stupidi. Certo lascieranno qualche margine finanziario di poco conto che verrà rivenduto in Italia come un grande successo, riprometteranno i 300 miliardi di investimenti di Juncker, contro i 4500 miliardi veri spesi per sostenere le banche e i mercati finanziari in Europa, ma la sostanza non cambierà. 

L’Italia se vuole farcela, evitando tra un anno o due di dover ristrutturare forzatamente il debito pubblico – come la Grecia – deve fare una grande redistribuzione della ricchezza e dei redditi, in altre parole la ripresa deve pagarla chi i soldi li ha. Non c’è alternativa. Quindi il governo Renzi sta sbagliando perché non riuscirà a mantenere le promesse e anzi rischia di contribuire  a rendere l’Italia più debole all’appuntamento di qui a qualche tempo. 

Un’alternativa è rimettere in discussione i trattati, a partire dal Fiscal compact, riscrivere l’articolo 81 della Costituzione sul pareggio di bilancio, proporre di rendere la Bce simile alla Federal reserve nei compiti e nella possibilità di finanziare il debito degli stati in difficoltà, almeno sopra il 60 %.

Un’alternativa è rilanciare la concertazione con imprese e sindacati per realizzare un programma di sviluppo industriale e di investimenti pubblici, ormai all’insignificante 2%, per modernizzare il paese, in questo sì prendendo spunto da altri paesi come la Germania. In sostanza si tratterebbe di decidere quale ruolo l’Italia vuole avere nella divisione internazionale del lavoro oggi, naturalmente mantenendo ben fermo l’orizzonte europeo, ma di un’Europa diversa da quella che prima ha portato alla crisi e ora, non appagata dai disastri che ha contribuito a creare, vorrebbe anche guidare l’uscita dalla crisi. 

Altrimenti la svalutazione del lavoro, via di fuga del capitalismo italiano, proseguirà e la svalutazione dell’Italia ne conseguirà inevitabilmente, le cosiddette classi dominanti farebbero bene a ricordarselo.

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