Pepe Mujica, un uomo del popolo. Il suo ultimo giorno da Presidente fioraio

Alle soglie degli ottanta anni l’ex guerrigliero tupamaro annuncia “Non me ne vado, sto arrivando! Me ne andrò con l’ultimo respiro” 

 

MONTEVIDEO (corrispondente) – Ancora una volta Pepe Mujica stupisce la sua gente e il mondo. A pochi giorni dal compimento degli 80 anni, con alle spalle e nel corpo pallottole, torture, quasi 15 anni di prigione di cui 11 di durissimo isolamento. Una vita in cui già tante volte sembrava finito, sconfitto è si è rialzato più forte e più saggio di prima. Studente e lavoratore già da bambino, con un padre perso quando aveva 8 anni; svelto con la parola, curioso del suo popolo e politico innato. Pepe alias Facundo, comandante coraggioso e generoso della guerriglia tupamara di Raùl Sendic, poi lo sconfitto Ulpiano ed Emiliano, tutti nomi di battaglia. Capace di apprendere la lingua dei più poveri vendendo fiori e tutti i rischi e le bellezze della vita nelle carceri. Al limite della pazzia, chiuso in buco per giorni e notti che si confondevano per anni. A 60 anni, quando poteva riposare il suo corpo e la sua mente, dopo 10 anni di militanza con l’Uruguay che aveva saputo riconquistare la democrazia, diventa deputato e si presenta in jeans e in motorino, poi di 5 anni in 5 anni, senatore, ministro dell’allevamento e l’agricoltura nel 2005 – in un paese dove la terra è l’essenza della vita di gran parte della gente – con il primo governo di sinistra della storia. Nel novembre del 2009 trionfa alle elezioni presidenziali  e dopo pochi mesi diventa il Presidente ex tupamaro.

Ma ancora una volta non si accontenta e non usa il potere e la fama per se’ ma per rilanciare e per gridare al mondo che bisogna saper aspettare, che non è necessario vendicarsi, che da giovane aveva voluto tutto troppo in fretta ma anche che questo mondo va cambiato, che dobbiamo – tutti – liberarci dall’iperconsumismo che ci rende schiavi e incapaci di pensare, che il vero povero è colui che usa le sue energie solo per accumulare di più, che la vita è stupenda e va vissuta con semplicità per assaporarla fino in fondo. Diventa famoso nel mondo per quello che è capace di dire a gente semplice e capi di stato ma lo diventa soprattutto perché si scopre che vive esattamente secondo i principi che diffonde nei suoi messaggi al mondo. Conserva e usa la bici di quando era giovane e promettente ciclista, il trattore per lavorare la sua terra, il vecchio maggiolone regalatogli dagli amici quando lui non poteva permetterselo, il pezzo di terra per darsi un reddito appena uscito dal carcere e le conoscenze di vecchio coltivatore di ortaggi e fiori e di venditore in mercati popolari.

Ieri, primo marzo 2015, sembrava il giorno in cui Pepe – “il compagno che ognuno avrebbe voluto a fianco” come scrive Erri de Luca – avrebbe deposto gli arnesi della militanza politica, con il ritorno alla presidenza del medico oncologo Tabaré Vàzquez, compagno di quell’allenza politica di sinistra – il Frente Amplio – che insieme ad altri avevano saputo costruire e preservare negli anni.

Tabaré, con la scelta molto ‘politica’ del figlio di Raul Sendic alla vicepresidenza, ha sfilato oggi insieme a quest’ultimo nelle strade di Montevideo. Cercherà in ogni modo di non far rimpiangere Mujica ma, allo stesso tempo, sperava di aprire una pagina nuova e moderna del piccolo Uruguay.

Pepe ha sorpreso ancora e rilanciato. In tanti, uruguayani e non solo, volevano festeggiarlo; addirittura era stato organizzato un megaconcerto con Caetano Veloso, Gilberto Gil i Calle 13, Manuel Serrat e tanti altri artisti internazionali. Lui non ha voluto essere salutato ne ringraziato, sostenendo che non ce ne era bisogno, venerdì sera ha voluto, sì,  salutare lui la gente e, in quella occasione, ha promesso: “Non me ne vado, sto arrivando! Me ne andrò con l’ultimo respiro”. E la battaglia non è solo virtuale o di maniera ma politica: da alcuni giorni Mujica si sta esponendo per dare al nuovo governo una spinta verso alcune delle riforme più audaci già da lui avviate e per bloccare l’accomodante inerzia che vede alcuni esponenti del nuovo governo spostarsi verso posizioni più tiepide verso l’instabile Venezuela per convogliare a nozze commerciali – per ora – con il solito potente vicino (seppur non troppo) statunitense.

Sarà in prima linea per non rinnegare l’accoglienza ai rifugiati politici siriani e – tema controverso ma per il quale Pepe si è speso in prima persona – per dare una possibilità di tornare a “vivere” a 6 ex detenuti di Guantanamo (4 siriani, 1 palestinese e 1 tunisino). Soprattutto vorrebbe che non si ridimensioni la via di autogestione operaia intrapresa dai lavoratori in alcune imprese del paese che sarebbero fallite e appoggiata dal FONDES (Fondo per lo Sviluppo) con consistenti risorse e il Plan Juntos che offre ai cittadini senza abitazione la possibilità di avere una casa ma allo stesso tempo con un loro coinvolgimento diretto e importanti aspetti di integrazione e partecipazione. Entrambi visti da Mujica come strumenti di economia e relazionale alternativi al capitalismo e alla passività imposta dal consumismo di massa.

Quello che è certo è che Mujica, nonostante la vita durissima e meravigliosa – come lui dice spesso – nonostanti gli 80 anni, nonostante la promessa che sta portando avanti di mettere su una scuola agraria per giovani di scarse risorse sul suo terreno, non ha nessuna intenzione di ritirarsi a vita privata. Sarà ancora un lottatore sociale, per frenare le normali involuzioni politiche e per radicalizzare alcune posizioni in campo sociale ed economico, per rilanciare le iniziative che non è riuscito a portare a termine durante il suo mandato. Inizierà domani, accompagnando la candidatura di sua moglie Lucìa Topolansky a sindaco di Montevideo.

Gli uruguayani sanno essere generosi e critici, sanno criticarlo e riconoscergli forza e spessore, in piazza in tanti gridavano e cantavano l’orgoglio di averlo avuto come Presidente;  nel mondo ormai in tanti hanno imparato a conoscere questo militanze sincero, atipico, lontano dai politici tradizionali, un “Presidente Impossibile” eppure reale, cose che avevamo dimenticato occupandoci di politica. L’anziano novantaquattrenne, antropologo e intellettuale uruguayano Daniel Vidart, lucido e per nulla celebrativo, lo definisce così: “Non è un dio. E’ un uomo felicemente comune che a volte usa il meno comune dei sensi, il senso comune. E’ un uomo di grande intelligenza, un uomo del popolo, è un don Chisciotte vestito da Sancho Panza. Non è un saggio: è un uomo che vuole sapere”. 

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