8 marzo. Ecco il vero nemico della donna

ROMA – Come ogni anno, all’approssimarsi dell’8 marzo, si scatena una liturgia celebrativa che, talvolta, ha davvero del paradossale, come è accaduto qualche giorno fa quando, sulle disparità che pesano sulla condizione delle donne nel mondo, è intervenuta addirittura Christine Lagarde, attuale direttore operativo del Fondo Monetario Internazionale (Fmi).

Lagarde, che nell’annuale classifica stilata dalla rivista Forbes, nel 2014 risultava essere la quinta donna più potente nel mondo, ha tuonato sul suo blog: “In troppi paesi le restrizioni legali impediscono alle donne di essere economicamente attive. In un mondo in cerca di crescita le donne potrebbero aiutare a trovarla se fossero presenti condizioni di parità, invece di insidiosi complotti”. Insomma, Lagarde scopre ora l’esistenza di “un insidioso complotto” mondiale ai danni delle donne, che ne impedisce la partecipazione economica.

Singolare che a parlare di complotti misogini sia proprio una donna che per i ruoli che sinora ha rivestito e riveste avrebbe potuto fare molto per rimuovere restrizioni e impedimenti che deteriorano la condizione femminile.

Nell’ordine, Lagarde in Francia è stata: ministro delegato al Commercio estero (giugno 2005- maggio 2007), ministro dell’Agricoltura e della Pesca (maggio-giugno 2007), infine, ministro dell’Economia, dell’Industria e dell’Impiego nel governo Fillon II (giugno 2007- giugno 2011). Incarichi in cui molto avrebbe potuto fare per migliorare la condizione delle lavoratrici in Francia e nel mondo.

Basti pensare a come avrebbe potuto limitare le importazioni da paesi in cui la sicurezza delle donne che operano nei comparti agricolo e manifatturiero è ancora prossima a quella delle 129 operaie che perirono l’8 marzo 1908 nell’incendio della fabbrica Triangle a New York e che vengono ricordate nella giornata internazionale della donna. Così pure avrebbe potuto regolamentare le condizioni di ingaggio delle immigrate impiegate stagionalmente nelle campagne francesi. Per non dire quanto avrebbe potuto fare in qualità di ministro dell’Economia e del Lavoro, anche a livello europeo dove molti la consideravano “il miglior ministro economico”, anche se i denigratori l’hanno sempre soprannominata “il ministro dei ricchi”.

E lì molto ha fatto, ma per peggiorare la condizione delle donne europee, basti pensare a quanto si è spesa per l’adozione delle politiche di rigore, per i tagli al welfare state, per allungare l’età pensionabile, per la privatizzazione dei servizi, per demolire i diritti dei lavoratori. Tutte misure che hanno inciso in negativo, innanzitutto sulla condizione lavorativa delle donne.

Perché, ad esempio, visto che oggi parla di complotto universale ai danni delle donne, nei tanti consigli dei ministri europei dell’economia non si è mai spesa per il rispetto della norma del Trattato di Lisbona, che prevedeva entro il 2010 asili nido almeno per il 33% dei bambini europei nella fascia di età 0-3 anni?

Perché non si è mai spesa per la parità retributiva, visto che le donne europee in media, a parità di mansioni con gli uomini, hanno un divario retributivo del 16%, come se lavorassero a salario zero per 59 giorni l’anno?

Ma Lagarde, che oggi si indigna per le restrizioni economiche e legali che inficiano la crescita economica delle donne nel mondo, ha tenuto sempre molto alla propria condizione economica, anche a costo di sottomettersi e umiliarsi dinanzi al potente di turno.

Nel 2013, a seguito di una perquisizione nella sua abitazione, nell’ambito di un’inchiesta volta a stabilire il suo ruolo in qualità di ministro dell’Economia nello scandalo Tapie-Crédit Lyonnais, gli inquirenti rinvennero una bozza di lettera che si ignora se sia mai stata inviata a Nicolas Sarkozy (Le Monde 17 giugno 2013). Il testo della missiva rivelava una Lagarde tutt’altro che barricadera e a difesa della dignità e dei diritti delle donne. Infatti, scriveva:

“Caro Nicolas,

molto brevemente e rispettosamente

1) Sono al tuo fianco per servirti e per servire i tuoi progetti per la Francia.

2) Ho fatto del mio meglio e ho potuto fallire periodicamente. Te ne chiedo scusa.

3) Non ho ambizioni politiche personali e non desidero diventare un’ambiziosa servile come tanti di quelli che ti attorniano, la cui lealtà è talvolta recente e talvolta poco durevole.

4) Utilizzami per il tempo che ti conviene e che conviene alla tua azione di assegnazione dei ruoli.

5)Se mi utilizzi, ho bisogno di te come guida e come sostegno: senza guida, rischio di essere inefficace, senza sostegno rischio di essere poco credibile.

Con la mia immensa ammirazione. Christine L.”

Dal luglio 2011, Lagarde è direttore operativo dell’Fmi e anche se promuove studi come questo “FMI – Staff discussion note “Fair Play—Equal Laws for Equal Working Opportunity for Women”(http://www.imf.org/external/pubs/ft/sdn/2015/sdn1502.pdf) continua ad essere una paladina dell’austerity e per la rimozione degli ostacoli che limitano la crescita economica delle donne europee o del resto del mondo non ha fatto, né fa nulla.

Tant’è che non ha speso una parola contro il Trattato sugli Scambi nei Servizi (TISA), che in gran segreto stanno stipulando gli Usa e l’Ue e che prevede la privatizzazione di tutti i servizi pubblici vitali soprattutto per le donne – sanità, asili nido, istruzione, trasporti, fondi pensione statali – in quanto vengono considerati monopoli. Inoltre, il trattato restringerebbe la capacità dei governi di regolare settori chiave come quelli finanziario, energetico, e delle telecomunicazioni.

Quale sia il suo punto di vista e gli interessi che difende per davvero, Lagarde lo ha dimostrato nei giorni scorsi quando è intervenuta contro il piano di solidarietà elaborato dal ministro dell’economia greco Varoufakis o plaudendo al Jobs Act renziano. E dire che dalla ricerca dell’Fmi emerge che, in Italia, per effetto delle discriminazioni contro le donne, si perde almeno il 15% del Pil potenziale (in America il 5%).

Come direttore del Fmi, per coerenza, ora Lagarde dovrebbe condizionare i prestiti erogati nel mondo dal Fondo, piuttosto che alle liberalizzazioni dei servizi, alla liberazione delle donne dei paesi beneficiari da quei lacci e lacciuoli legislativi che ne impediscono l’emancipazione economica e che costano all’economia mondiale 9mila miliardi di dollari in termini di ricchezza non prodotta. Dalla ricerca emerge che nel 90% dei paesi vi sono limitazioni normative basate sul sesso e che più i paesi privano le donne di opportunità, più sono poveri, perché così facendo rinunciano a dinamismo e benessere.

Per ora Lagarde, che sembra ignorare che la povertà produce ignoranza, si è limitata ad invitare le istituzioni finanziarie internazionali a rafforzare il ruolo delle donne nelle economie del mondo.

Chissà come.

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