Dentro la Coalizione Sociale, per la Sinistra

ROMA – La manifestazione di sabato indetta dalla Fiom contro il Jobs Act e le politiche del governo Renzi è riuscita. Le peggiori previsioni fatte da chi auspicava un flop alla Salvini con una Piazza del Popolo semideserta, sono state smentite dai fatti.

Erano anni che non si vedevano tante bandiere rosse, e così tante facce sorridenti e combattive tutte assieme. Non solo operai di vecchia generazione, ma anche giovani che hanno seguito il corteo e si sono trattenuti sotto il palco o seduti sui muraglioni del Pincio per ascoltare il comizio del segretario, fino all’ultimo secondo, in silenzio, come è accaduto assai di rado nella storia recente delle manifestazioni sindacali.

Non è stata una manifestazione qualsiasi.
Dove sta la differenza tra questa e le tante a cui negli ultimi hanno abbiamo partecipato, sia sindacali che politiche?
La differenza è qualitativa per diverse ragioni.
La cornice in cui si inscrive è quella di un radicale cambiamento del contesto generale precipitato sotto i nostri occhi negli ultimi 20 anni (e per responsabilità anche dei governi di centro sinistra). È Il contesto di una crisi estrema che attraversa oggi il paese e che investe oramai ogni campo della vita collettiva, da quello economico a quello democratico e politico a quello culturale e antropologico, da quello pubblico a quello privato, e che colpisce senza soluzione di continuità tutte le generazioni. La crisi da una parte e, dentro questa, la polverizzazione della sinistra, la sua lenta agonia, fino all’ininfluenza e alla perdita di credibilità. Ciò che resiste, seppur con le più nobili ragioni ed il massimo della buona volontà, non riesce a risalire, a recuperare terreno, perché la distanza oramai consumata tra politica organizzata e ceti sempre più in sofferenza è incolmabile, e perché tutti i tentativi, che pure abbiamo provato a mettere in campo in questi anni partendo dai soggetti esistenti, hanno mostrato limiti insanabili e sono falliti tutti, senza eccezione, producendo solo delusione crescente, senso di impotenza, perfino diffidenza.
La manifestazione di sabato si colloca in questo quadro in cui la sinistra, per la gente, nel momento in cui ce ne sarebbe più bisogno, è assente, screditata, incapace di dire parole, e per gli innumerevoli fallimenti accumulati sulle spalle è solo la fotografia della sconfitta.

Oltre le rivendicazioni sindacali, la domanda è politica
La Fiom quindi chiama il suo popolo a uscire allo scoperto, alla luce del sole.
È una manifestazione indetta da un soggetto autorevole, il sindacato più combattivo del paese, e le parole d’ordine riguardano il lavoro, come è giusto che sia, preso a picconate dal governo Renzi che opera l’ultimo giro di vite in obbedienza alla Troika.
Ma le aspettative della piazza travalicano con ogni evidenza il piano delle rivendicazioni sindacali. È questo un altro fondamentale elemento di differenza qualitativa, perché qui la domanda che preme forte investe la politica a tutto tondo e punta dritto in una direzione: dare a questo Paese non solo un sindacato non consociativo e subalterno ai partiti di governo (lo dice il segretario della Fiom dal palco senza mezzi termini provocando il nervosismo di Camusso), ma anche una sinistra degna di questo nome.
E da Landini, che non è un leader di quelli usciti dalle televisioni o dalle copertine di carta patinata, ma dalle lotte dei metalmeccanici contro i padroni negli anni più duri che il paese ricordi dal dopoguerra ad oggi, quando interviene dal palco con indosso la felpa rossa della Fiom, ci si aspetta anche un intervento politico, e che finalmente arrivi a parlare della Coalizione Sociale.

La Coalizione Sociale
Landini parla a lungo, piú di un’ora, con la grande capacità di farsi comprendere e di connettersi ai problemi reali delle persone, che è la ragione principale della sua popolarità. Per quasi tutto il tempo affronta temi sindacali, parla di lavoro e non lavoro, della battaglia per riprenderci lo statuto dei lavoratori, della battaglia per un reddito minimo: per certi versi “Renzi è peggio di Berlusconi”, dice, ricordando come i disastri che oggi raccogliamo sul terreno dei diritti e della democrazia vengono da lontano e riguardano anche un pezzo consistente di quella sinistra che ha dismesso da molto tempo le ragioni stesse della propria esistenza. E finalmente alla fine del suo intervento entra pienamente in connessione con la piazza che aspetta da lui “la risposta” politica. E’ il punto sulla Coalizione Sociale, il progetto cioè di un laboratorio da diffondere su tutti i territori che sappia coinvolgere, motivare e rimotivare i soggetti del conflitto, le realtà di lotta, le vertenze, chi produce pensiero e cultura, le associazioni, i movimenti. Va ricostruita una massa critica, e questo può accadere solo attraverso la partecipazione, senza la quale la politica muore. E perché ciò sia possibile è necessario avviare un percorso in fieri, aperto, che si costruirà a rete attraverso assemblee e iniziative, ovunque, e che sarà coordinato sia sui territori che centralmente a partire dalla Fiom come forza trainante. E sarà un percorso politico a tutto tondo, cosa che Landini rivendica con forza insistendo sul fatto che il sindacato deve fare politica eccome e deve farla a 360 gradi. Ma non gli sfugge la crisi di rappresentanza che attraversano sia i sindacati che i partiti, crisi profondissima, che richiede coraggio di intervenire anche immaginando nuove forme dell’organizzazione.
Questa è la strada che ci viene indicata: a monte c’è la consapevolezza di non poter proporre le solite ricette e i soliti schemi di mero assemblaggio dell’esistente, e la sua forza sta proprio nel costituirsi e definirsi processualmente.

Che faranno adesso le forze politiche a sinistra del Pd?
Il sindacato dunque scende in campo su una vertigine di vuoto politico.
Le forze di sinistra adesso che fanno? Raccoglieranno l’input lanciato dalla Fiom o continueranno ciascuna a operare nel proprio ambito sempre più ristretto ed ininfluente per preservarsi? Oppure, peggio, continueranno solo a parole a dirsi disposte a costruire processi unitari ma senza mai voler rinunciare a piccole quote di visibilità?
Qui sta il senso della sfida oggi sul tavolo.
Le forze politiche a sinistra del Pd dovrebbero partire da un atto di coraggio anche intellettuale, mettersi in discussione veramente prendendo atto che il loro progetto strategico si è esaurito e, per fare una cosa utile, mettersi a disposizione e lavorare senza steccati per contribuire a costruire tutti insieme una forza unica, più grande e rappresentativa della sinistra, come è stato fatto in Grecia.
Ciò renderebbe più agevole anche l’affermazione della Coalizione Sociale, che pur muovendosi su un altro terreno, ricaverebbe sicuramente vantaggio se a sinistra del Pd vi fosse un’unica formazione politica. Non un coordinamento di partiti, ma un solo soggetto di sinistra con un programma alternativo alle politiche che hanno messo in ginocchio il paese.
O faremo questo, contribuendo a fare passi in avanti fino a costruire un unico percorso a sinistra intrecciando anche il progetto lanciato da Landini, oppure avremo tutelato solo un po’ di ceto politico. Nulla di più. Occorrono generosità e coraggio. Facciamo tutti un passo indietro per farne due in avanti. Il tempo è ora!

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