Il grosso guaio di una Stabilità instabile

ROMA – “Tutto va ben madama la marchesa”: come sbagliarsi quando c’è di mezzo il governo Renzi! Il mantra del Premier, del resto, fin dal primo giorno, è quello dell’ottimismo obbligatorio, della guerra stellare contro i gufi e i rosiconi e della rivendicazione ad oltranza e senza cedimenti del proprio operato, anche nei casi in cui autorevoli esperti, opinionisti e commentatori, spesso non certo ostili a questo esecutivo, gli fanno notare che determinati provvedimenti proprio non vanno.

Avete presente la Buona scuola, l’Italicum e la riforma costituzionale? Al di là di quei “professionisti del piagnisteo” degli insegnanti e di quei “professionisti della tartina” dei “professoroni” alla Rodotà e alla Zagrebelsky, anche eminenti giuristi di estrazione liberale come il professor Ainis, specie per quanto concerne la legge elettorale e la modifica della seconda parte della Carta, hanno fatto più volte notare al nostro eroe rignanese che i suoi provvedimenti non stavano né in cielo né in terra e che rischiano di condurre il Paese in una crisi sistemica senza precedenti; ma lui niente, s’era messo in testa che quei pastrocchi fossero il non plus ultra e ha tirato dritto.
E che dire della Pessima scuola, costatagli centinaia di migliaia di voti alle Regionali e capace di provocare la fuoriuscita di un drappello meno esiguo di quel che si pensi di deputati e senatori? Si era reso conto persino lui che non andava bene ma poi si è reso conto anche di non poter tornare indietro, in quanto avrebbe smentito se stesso e si sarebbe drammaticamente indebolito agli occhi di quelle truppe plaudenti che battono le mani finché il capo è in auge e gli voltano le spalle non appena le cose cominciano ad andar male. E così, ancora una volta, è salito a bordo della ruspa (tanto cara al suo competitore leghista) e ha spianato oppositori interni e avversari.
Ma si può pensare di governare in questo modo a lungo? No, infatti Renzi non governa: gestisce il potere, nella speranza di riuscire a conservarlo il più possibile; peccato che anche per dedicarsi alla pratica dell’andreottismo militante sia necessario un minimo di visione! Una visione che il Presidente del Consiglio, palesemente, non ha, essendo il figlio naturale della stagione berlusconiana: un impasto di capacità mediatica, istrionismo, abilità nel farsi amici i soggetti che contano e garantiscono sostegno, finanziamenti e appoggi internazionali e tanta, magnifica improvvisazione, come si evince dalle innumerevoli volte che il nostro si è fidato unicamente del suo fiuto e della sua capacità di comprendere al volo gli umori della pancia del Paese.
I suoi problemi, non a caso, iniziano quando dalla pancia si sale alla testa. Un insegnante, per dire, ha almeno una laurea, ha letto qualche libro, segue qualche telegiornale e qualche dibattito televisivo, magari legge uno o più giornali al giorno e, soprattutto, è abituato a ragionare con la propria testa e cerca di insegnare a fare altrettanto ai suoi allievi; è un po’ difficile, dunque, che si faccia abbindolare da quattro slide o da una simpatica esibizione teatrale a colpi di gessetto e lavagna.
Un costituzionalista, per dire, oltre ad avere una laurea, ha letto più di qualche libro e ha anche uno stipendio che gli consente di informarsi al di là dell’apparecchio televisivo e di quella RAI, riformata nello stesso giorno della Stabilità, che mi ha fatto tornare in mente, per una strana assonanza di idee, alcuni sketch di Maurizio Crozza su TeleRenzi; sarà un po’ dura, quindi, fargli bere la favoletta che una Camera di nominati e un Senato di dopolavoristi in gita premio, tutti rigorosamente allineati ai desiderata dell’inquilino di Palazzo Chigi, si chiami Renzi o Piripicchio, garantiscano la rigorosa divisione dei poteri prevista dai Padri costituenti.

Allo stesso modo, non sarà semplice far credere agli esperti e ai supervisori di Bruxelles che una Legge di Stabilità basata su mance elettorali, marchette a pioggia e fiumi di spesa pubblica in deficit sia un toccasana per un Paese afflitto da un debito pubblico mostruoso e da carenze strutturali, specie per quanto riguarda la crescita e lo sviluppo industriale, ormai incancrenite.

Può anche darsi che in aprile, a Bruxelles, decidano di aprirci una linea di credito e di concederci ancora un po’ di fiducia, ma il nostro eroe farebbe bene ad andarsi a rileggere la massima sempre valida di Abraham Lincoln: “Si può prendere in giro un uomo per sempre e tutto il mondo una volta ma non tutto il mondo per sempre”.

Se a ciò aggiungiamo che il prode condottiero di Rignano, da qualche tempo, si è messo in testa di sfidare a duello la Merkel, riuscendo nell’impresa di farsi tacciare da alcuni avveduti osservatori europei di essere una versione aggiornata dell’ex Cavaliere, credo che sia chiaro per quale motivo ci sia assai poco da star sereni, mentre il nostro rapporto deficit-PIL passa da un tendenziale dell’1,4 per cento (fissato nei documenti programmatici di aprile) al 2,4 per cento attuale, quando gli arcigni rigoristi brussellesi ci avevano già concesso di portarlo all’1,8 grazie ad alcune pessime riforme, su tutte il Jobs Act, tanto care alle vestali del liberismo e ai cultori della svalutazione del lavoro e dei diritti.
Infine, last but not least, tutto il castello di carte renziano può reggersi solo nel caso in cui il PIL nel 2016 cresca dell’1,6 per cento previsto perché, in caso contrario, specie di fronte alla minore efficacia del pur salvifico Quantitative easing varato da Draghi, rischiano di scattare le clausole di salvaguardia, per far fronte alle quali l’unica soluzione sarebbe un massacro sociale che potrebbe portarci verso scenari greci, se non addirittura peggiori.

Non sarà, insinuano i maligni, che il nostro eroe comincia a temere che, con il suo “benedetto Italicum”, la prospettiva di un governo a 5 Stelle è assai meno improbabile di quanto non credessimo fino a qualche tempo fa e che, pertanto, il figlio buono di Berlusconi stia apparecchiando una tavola molto simile a quella che il papà era solito lasciare ai governi del centrosinistra, costretti a varare finanziarie lacrime e sangue come quella targata Prodi-Padoa-Schioppa del 2006? 

Ci piacerebbe poter dire, al pari del Razzi di Crozza, “veramente questo non credo”.

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