Argentina, un marzo costellato da dubbi e incertezze. LE FOTO

BUENOS AIRES (corrispondente) – Settimana pre pasquale di grandi emozioni per gli argentini. Si è da poco conclusa la visita di Barak Obama che ha simbolizzato, insieme alle precedenti visite di Hollande e Renzi, la voglia di far tornare l’Argentina tra i grandi e, soprattutto, la voglia di mostrare un paese capace di tornare alla normalità, affidabile, pronto agli investimenti stranieri per essere rilanciato così nell’economia globale dopo aver passato una decina d’anni in isolamento.

In una Buenos Aires blindata per l’arrivo del presidente americano Barak Obama, si sono susseguiti gli incontri di carattere diplomatico ed economico.  Al seguito del presidente americano, vi erano un’ottantina di industriali statunitensi, che hanno incontrato l’elite degli industriali argentini per cercare di riattivare un’economia da decenni in stagnazione e, soprattutto, un’industria decotta per mancanza d’investimenti nelle infrastrutture e nelle tecnologie. Una questione molto importante questa per Mauricio Macri. Da quando è stato eletto il nuovo presidente dell’Argentina, si sono susseguiti a centinaia i licenziamenti nella pubblica amministrazione. Tutte le assunzioni effettuate dal precedente governo, avevano raggiunto numeri da capogiro e avevano la mera finalità di ottenere il consenso alle elezioni ma anche, la conseguenza di far esplodere il debito pubblico già alle stelle.  Una grande sfida, dunque, per Macri: se non riuscirà a rimettere in moto il motore economico argentino, come verranno assorbiti tutti questi disoccupati? Sarà un punto chiave per il nuovo presidente e forse, la cartina tornasole per decretare il suo successo o meno. Le notizie negative, riguardanti gli aumenti delle tariffe dei servizi a volte superiori del 300%, e le difficoltà nel mantenere sotto controllo i prezzi dei prodotti principali basici, così come l’inflazione in generale, stanno dando seri problemi di popolarità a Mauricio Macri che certamente, non se la potrà cavare solo con il successo mediatico della visita di Obama, culminato con il tango ballato dal presidente americano con una famosa ballerina di tango Mora Godoy.

Non sono mancate le proteste. Sono state bruciate bandiere americane e le polemiche anche perché la visita di Obama, ha coinciso con la celebrazione del 24 marzo, ovvero il giorno della memoria, per ricordare l’instaurazione dell’ultima feroce dittatura dei generali del 1976.

Sono molti i sostenitori della collaborazione degli Stati Uniti con i generali argentini. Obama però, si è impegnato a de-secretare molti documenti della CIA a riguardo. Chissà se le nuove informazioni, potranno aiutare a mettere più luce su quei tragici eventi che hanno visto la sparizione nel nulla di migliaia e migliaia di persone.

Il 24 marzo, un’ imponente manifestazione è partita da Plaza de Mayo, luogo in cui si riunivano quelle Madri disperate in cerca dei propri figli.

A tutt’oggi, poco si sa e poco è stato detto. Sono passati 40 anni da quella terribile dittatura. Nonostante l’avvio dei processi agli aguzzini militari e alla presunta cupola dei terroristi sotto la presidenza di Raul Alfonsin, e la creazione degli organismi vigilanti sui diritti umani, a tutt’oggi, manca un mea culpa da parte di entrambe le fazioni. I generali, ancora non hanno tirato fuori le liste con i nomi e i luoghi dove sarebbero stati uccisi i migliaia di desaparecidos; tantomeno gli ex terroristi, non hanno rivisto le loro posizioni su quegli anni di continui attentati a civili innocenti. Dopo 40 anni ci si aspettava qualcosa di più, soprattutto per queste famiglie dilaniate dai lutti e dall’ attesa per qualcuno che non verrà mai più. Una rappacificazione che ancora, nel fondo, non c’è stata. 

Su tutta questa complessa situazione, si è sovrapposta una stridente strumentalizzazione dei diritti umani, che non fa altro che alimentare tensioni all’interno dei singoli gruppi giovando poco alla causa comune.

Mi vengono in mente le parole di Graciela Fernandez Meijide, attivista dei diritti umani e politica argentina; esiliata, 85 anni, ha perso suo figlio di 17 anni durante la dittatura. Graciela, è stata una delle poche persone ad avere la forza ed il coraggio per incontrare un ex capo dei Montoneros (Hector Ricardo Leis) esiliato in Brasile, per avere un faccia a faccia con lui e ripercorrere insieme quegli anni drammatici. Il cammino percorso dai due è estremamente toccante e di grande emozione che si è concluso con il pentimento di Leis. 

El dialogo: https://www.youtube.com/watch?v=l-Hh0wY7ZU0&feature=youtu.be&ab_channel=CanaldelaCiudad

In un suo recente articolo (La Nacion) Graciela sostiene che la società argentina, dopo tanta violenza durante gli anni della dittatura, ha dato un taglio netto ed ha ottenuto dall’ ’83 la democrazia. Ma bisogna fare di più. Ottenuto il consenso affinché  i conflitti politici vengano risolti dalla società civile, manca ancora quel rispetto dovuto per le leggi e la giustizia che danno il benessere alla società. Solo quando la giustizia sarà garantita sia per mio figlio, sia per il mio peggior nemico, dice Graciela, la democrazia avrà raggiunto la sua giusta forza.  Il riferimento chiaro e diretto è all’auspicio di una lotta profonda alla corruzione che ancora serpeggia pesantemente nelle istituzioni argentine e che sarà la grande sfida per il nuovo governo.

Foto di Aldo Feroce

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