‘Ndrangheta e politica nel cosentino. Uno tsunami in salsa calabrese

COSENZA – Li chiamano “arresti eccellenti” ma in realtà rappresentano solo la spettacolarizzazione di un sistema che ormai, come una cancrena, graduale ma inesorabile, sta portando alla decomposizione del sistema che ancora oggi qualcuno si ostina a definire “Italia”.

È ciò che succede in Calabria dove oggi sono iniziati i primi interrogatori nell’operazione condotta dai Carabinieri del Comando provinciale di Cosenza e dai pm della Dda di Catanzaro, Vincenzo Luberto e Pierpaolo Bruni, che nei giorni scorsi hanno posto agli arresti l’ex sottosegretario al Lavoro, Sandro Principe nonché deputato socialista ed ex sindaco di Rende e nomi che da sempre associavano la propria azione politica alla sua figura, ricoprendo, negli anni, incarichi di spicco nella politica locale come nel caso di un altro ex sindaco di Rende, Umberto Bernaudo (amico e socio di Principe), l’ex consigliere regionale Rosario Mirabelli, l’ex consigliere provinciale Pietro Ruffolo e l’ex consigliere comunale Giuseppe Gagliardi. Un “collaudato ‘sistema’ ultradecennale”, è stato definito dagli investigatori, un “intreccio” politico/mafioso che ha consentito a candidati alle varie tornate elettorali per il rinnovo del Consiglio comunale di Rende tenutesi dal 1999 e fino al 2011 di essere eletti. In manette, con reati che vanno dal concorso esterno in associazione mafiosa al voto di scambio e alla corruzione, sono finiti anche quattro esponenti di vertice della cosca di ‘ndrangheta Lanzino-Rua, egemone in provincia di Cosenza.

Ma tra le attività illecite che sarebbero state riscontrate ai politici, ci sono anche quelle connesse all’affidamento in gestione di locali pubblici comunali a beneficio di affiliati al clan, all’assunzione nella società municipalizzata per la gestione dei servizi comunali di soggetti inseriti o contigui al gruppo criminale, al mancato licenziamento di alcuni di questi dopo avere riportato condanne e la promessa di erogazione di fondi pubblici per finanziare una cooperativa creata ad hoc da un esponente di spicco della cosca per la gestione dell’area del mercato di Rende.

Sandro Principe però non è solo un “ex”… egli è un uomo del PD, di quel PD che a Cosenza non ha voluto celebrare le primarie in vista del voto di giugno, di quel PD che vede l’ex ballerino oggi manager dello spettacolo, Lucio Presta, (noto anche come il marito di Paola Perego) calato dalla volontà del Matteo nazionale che alla notizia degli arresti eccellenti si è dimostrato alquanto sorpreso. 

E la Bindi? Nella qualità di Presidente della Commissione parlamentare antimafia, sollecitata dalla stampa “cattiva” di non aver svolto con dovizia il suo compito in riferimento al caso Rende, sul perchè non avesse ritenuto sentire, dopo due anni dalla sua formale richiesta, il gran maestro della massoneria calabrese Amerigo Minnicelli che voleva riferirle di infiltrazioni della ‘ndrangheta nelle logge massoniche e che oggi sta riferendo ai magistrati della Procura distrettuale di Reggio Calabria, ha glissato sulla risposta dichiarando: «Abbiamo sempre acquisito tutti i documenti relativi alle procedure d’accesso negli enti locali: da Reggio Calabria a Roma. La stessa cosa è avvenuta per Rende, e non ci sono state omissioni. Nel nostro archivio c’è tutta la documentazione necessaria: dalla Relazione della commissione d’accesso (maggio 2013) a quella del prefetto di Cosenza contraria allo scioglimento (luglio 2013); dal decreto di conclusione del procedimento della Commissione d’accesso (settembre 2013) al decreto del Presidente della Repubblica di scioglimento del Comune in seguito alle dimissioni del sindaco (agosto 2013).

La Commissione parlamentare antimafia non ha il potere di nominare o spostare prefetti, questori, capi della polizia o dei carabinieri. Ma soprattutto non si capisce perché avrebbe dovuto destare curiosità l’avvicendamento del prefetto di Cosenza, peraltro contrario allo scioglimento, e dei vertici di carabinieri entrambi avvenuti prima dell’insediamento della nostra Commissione. E comunque non si direbbe che le indagini della Dda di Catanzaro abbiano per questo subito contraccolpi. Spetta invece alla Commissione condurre inchieste a vendo come primi interlocutori le altre istituzioni, tra queste le prefetture e i magistrati nel rispetto dei reciproci poteri e competenze. Noi non estorciamo notizie né avanziamo pretese nei confronti degli inquirenti, chiediamo invece di fornire tutte le informazioni necessarie alle nostre inchieste, che si sviluppano su un piano diverso da quello della magistratura. Sono i nostri interlocutori che decidono se i materiali e le informazioni che ci forniscono devono restare segreti oppure no. E anche nella missione a Cosenza tutto si è svolto in un clima di reciproca collaborazione. Quanto ai rapporti tra massoneria e istituzioni in Calabria e non solo, la nostra inchiesta è aperta, sentiremo tutte le voci utili, ma non sono i giornali a indicare tempi e modi del nostro lavoro».

Il caso degli arresti nella apparente tranquilla città di Rende, separata da Cosenza solo dal silenzioso, quanto avvelenato, fiume Campagnano, è uno tsunami controllato da tanti, troppi anni. 

Una terra, quella del cosentino, dove sembra aumenti anche la presa degli uomini sulle cose portando alla bulimica passione per il potere. Quel lungo viale che unisce la città “moderna” di Rende a Cosenza, la città dei setti colli e dei due fiumi alla cui confluenza ancora aleggia il segreto del visigoto re Alarico, altro non è che una arteria costellata di edifici, per la parte cosentina, e di future edificazioni per la parte rendese. Gli ultimi fazzoletti di terra su cui mettere le mani in una città che si è fatta conoscere per quella frazione dal nome bizzarro, Arcavacata, dove è ubicata l’Università della Calabria. Il viale ha due nomi: Giacomo Mancini per la parte cosentina, e Francesco e Carolina Principe, per la parte di Rende. Perfetta rappresentazione topografica della rivalità e della concorrenza di due fazioni opposte del socialismo calabrese e del peso che ha la politica quando si traduce in potere. Giacomo Mancini, deputato per dieci legislature dal 1948 al 1992 fu il cosentino più importante d’Italia e da Ministro della Lavori Pubblici volle fare inerpicare la Salerno-Reggio Calabria sulle montagne per farla passare da Cosenza e fu la mente dell’Università della Calabria, per poi finire la carriera politica come sindaco di Cosenza nel 2002 dopo una condanna in primo grado, per concorso esterno in associazione mafiosa, poi annullata, ed assolto dal Gup per insussistenza del fatto, prima del processo d’appello, mai celebrato. Francesco Principe, Cecchino per tutti, è stato sindaco di Rende, deputato, sottosegretario all’Agricoltura, ed alle Partecipazioni Statali all’epoca del pacchetto Colombo, che negli anni settanta, nonostante una richiesta avanzata dalla deputazione provinciale di Cosenza nel 1947 e richiamata dall’Assemblea Costituente nel 1948, decise di assegnare il capoluogo a Catanzaro, l’industria a Reggio (e la sede del Consiglio regionale) e l’Università a Cosenza. È da allora che la scalata del potere economico prende il via. Rende vince su Cosenza per l’ubicazione fisica dell’Università ed ha così inizio il depredamento del territorio, la realizzazione di milioni di metricubi immobiliari e l’attaccamento morboso alla poltrona del comando. 

Suo figlio Sandro, il primo degli “arresti eccellenti” di questi giorni, già sottosegretario al Lavoro ma anche assessore e consigliere regionale, si trova accusato di concorso esterno in associazione mafiosa, voto di scambio, corruzione. Sono questi i capi di accusa per i cinque politici, arrestati dai carabinieri di Cosenza, insieme a 4 esponenti di vertice della cosca di ‘ndrangheta “Lanzino-Ruà”, egemone nella provincia cosentina.

Come finirá? Si vocifera che altri tsunami sono pronti per coinvolgere l’altra sponda del Campagnano o forse come è sempre successo: titoloni, commenti, solidarietà ipocrita ed alla fine tutto in una bolla di sapone. Ne paga la credibilità della Politica, ne pagano le persone perbene che credono di poter offrire davvero un servizio senza tornaconti personali, ne pagano quei cittadini che, per timore di essere omologati ad un malcostume culturale, senza etica nè morale, preferiscono allontanarsi da tutto e tutti lasciando che l’omertà rimanga quale unico effetto della violenza del Potere.

 

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