Magico Trump, ma passerà Jena Hillary

ROMA – Chissà perché i media si sgolano e i liberal d’ogni colore si sbracciano per Hillary.

Sarà perché è la prima donna in corsa per la Casa Bianca (con la quasi certezza di salire al soglio del Campidoglio), in un paese dove fino a trent’anni fa non potevi manco salire sugli autobus di certi stati se eri di colore, e ancora oggi se sei negro – diciamolo così, in modo impoliticamente corretto – è meglio girare alla larga da certi poliziotti. Insomma, nel paese delle libertà e nei suoi accoliti mediatici fa certo notizia l’essere donna, ed essere in vista della Casa Bianca. Un po’ come l’ha fatta il negretto Obama che l’ha preceduta e ora, vedi un po’, l’appoggia.

Intanto, Magic Trump se la ride dall’altro dei suoi 1.500 candidati e passa, nessuno ad acchiapparlo di spalle e una strada tutta in discesa fino alla convention repubblicana di luglio. Neppure le forche di Los Angeles gli hanno fatto paura: la California – da sempre crocevia del voto Usa – poteva fargli pollice verso in massa alle primarie del 7 giugno, e non lo avrebbe scalfito. Anche nella West coast, invece, Don Trump ha fatto man bassa. Un esito impensabile, uno shock per buona parte dell’establishment del Gop – l’Old great party, come amano dirsi i repubblicani – e degli avversari d’ogni sorta, costretti a buttare giù l’amaro pillolone di Trump in boria e parrucchino candidato non più virtuale alla presidenza. Oppure fermarlo con mezzi più o meno leciti prima – ma anche dopo – che arrivi davvero a cambiare l’aria nelle stanze del potere a Washington Dc. Neanche la pietra d’inciampo dei 50 milioni d’evasione fiscale – robetta, per l’arcimiliardario newyorchese che fattura con la sua multinazionale oltre 10 miliardi di dollari, la metà utili netti – ha inciso su un elettorato disposto a dargli carta bianca per la Casa bianca. Ora ai suoi tanti nemici non restano che gli sfottò e qualche “october surprise” – tipo quella capitata a Carter sulla via di Teheran – per fermarlo. Anche se difficilmente la spunterà sulla rivale.

Sull’altro fronte, la strada è pure in discesa per donna Clinton, che alle primarie californiane si è aggiudicata la posta ma sul groppone le resta Sanders, può ostico del previsto. Bernie il rosso esce battuto ma non sconfitto. Ostacolo sormontabile sulla strada della ex first lady, ha fatto sì che parole cadute in disuso nel vocabolario Usa come rivoluzione e sinistra siano tornate in auge. E già è una vittoria. Può anche darsi che per lui arrivi una bella vicepresidenza alla fine dei giochi, se saprà tenere lingua e idee a freno. Neppure il verminaio di mail inviate dalla segreteria di stato – perle tipo: spianeremo le reni all’Iran per conto d’Israele – impediranno alla new first lady di entrare nell’ufficio ovale del Campidoglio, spinta dalle lobby – militare ed ebraica in primis – che contano.

Magico Trump. Ha fatto repulisti del bushame che dominava il Gop da un ventennio, sbanca nei profondi States come nella Grande Mela dove svetta la sua Trump tower, ma i sondaggi lo danno indietro in ogni etnia e ceto sociale. È contro le guerre – infatti dalla lobby degli armieri non becca un dollaro – non vuol farsi nemici russi e cinesi (business is business), vuol stringere le mani grassocce di Kim Yong Un e alzare muri per i Meridios ma resta un pericolo per la pace mondiale e la stessa America. Hillary, invece, è un’icona del progresso, specie tra neri, latinos e liberal, democratici d’ogni colore e paese. Sarà per il sorriso da jena ridens che ricorda tanto quello di Jena Plissken in Fuga da New York e sfodera ogni volta che deve far bombardare qualcuno. Roba che, al confronto, la buonanima della Tatcher era un’accorata pacifista. Se Trump saprà far uscire dal suo cilindro qualcosa per far cambiare idea alla maggior parte degli yankee e ai loro servi malfidi, sarà davvero magico.

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