Sanremo: un buon Festival ma Gabbani non mi ha convinto

Chi conosce un po’ le vicende del Festival di Sanremo e il suo ruolo nella storia del costume italiano sa benissimo che Sanremo è sempre stato un fatto politico. 

Non a caso, Pippo Baudo, notoriamente democristiano, è stato considerato per tanti anni l’Andreotti dell’Ariston: per la sua preparazione, per la sua autorevolezza ma anche, se non soprattutto, per il suo essere immarcescibile. 

E non c’è dubbio, per venire a tempi più recenti, che la vittoria di Cristicchi nel 2007, con una canzone dedicata alla disabilità e al disagio psichico, al pari dell’affermazione di Vecchioni nel 2011, con un capolavoro di anti-berlusconismo che gli fruttò poi fior di inviti alle manifestazioni del centrosinistra, abbiano sancito momenti di svolta nella vita pubblica del nostro Paese: nel 2007, si tentò di puntellare anche così il traballante governo unionista, purtroppo non riuscendoci; nel 2011, Benigni e Vecchioni inviarono un chiaro segnale in merito al tramonto della stagione berlusconiana. 

E il televoto, a parer mio, non decide: semmai conferma gli umori che si possono ascoltare nei bar, sugli autobus, sui treni e fra le persone comuni per cui Sanremo vale senz’altro più di una Direzione del PD o di un ampio e complesso dibattito sulle sorti dell’Europa e dell’Occidente. 

Si astengano, cortesemente, da ogni commento tutti coloro che, col ditino alzato, stigmatizzano indignati il fatto che anche intellettuali e persone politicamente e civilmente impegnate vedano il Festival: innanzitutto, è un piacere; in secondo luogo, Conti e la De Filippi, pur costituendo un Patto del Nazareno canoro, un Partito della Nazione in salsa nazionalpopolare e un’unione delle cosiddette “forze sistemiche” da oltre dieci milioni di spettatori, sanno svolgere il proprio lavoro come pochi altri, infatti questa è stata un’edizione di notevole livello; infine, il famoso “Paese reale”, per comprenderlo, qualche volta bisogna anche frequentarlo, possibilmente senza pregiudizi né alcuna forma di altezzosa superiorità che, inevitabilmente, sfocia in quella presunzione che ci rende fastidiosi e invotabili agli occhi di molti. 

Ho seguito quest’edizione del Festival e non me ne sono pentito; anzi, ho anche acquistato il cd di Sanremo e me lo sono ascoltato tutto, gustandomi uno dopo l’altro i vari brani che, indubbiamente, senza i mille intermezzi pubblicitari e di spettacolo che caratterizzano le varie serate, si apprezzano assai di più. 

Ebbene, confermo: il livello era alto. Artisti di spessore e una leggerezza dei testi, mista a un minimo di impegno sociale, che aveva nella Mannoia, nella Turci, in Al Bano e in Ermal Meta la propria sublimazione. 

Al Bano è stato ingiustamente eliminato dalla finale, la Turci ha perso immeritatamente il podio, la Mannoia e Meta hanno conquistato, rispettivamente, l’argento e il bronzo, dunque potrebbe anche andar bene così. Ciò che mi ha lasciato perplesso è stata, invece, la vittoria di Francesco Gabbani con “Occidentali’s Karma”. 

Intendiamoci: nulla di personale contro di lui e nulla da ridire sull’originalità del suo testo; fatto sta che, a differenza di altri opinionisti e commentatori, non avverto affatto questo bisogno di cambiare sempre, in maniera frenetica, come se tutto ciò che è classico e un po’ meno originale non avesse la stessa dignità di un ragazzo che, a suo dire, ha fornito un’interpretazione ironica dei difetti dell’Occidente, visti con gli occhi della cultura orientale. Sarà, ma non mi ha convinto. 

Ribadisco: nulla contro di lui, ma la canzone della Mannoia era un capolavoro e avrebbe senz’altro meritato di vincere, quella della Turci non era allo stesso livello ma era comunque bellissima, quella di Meta presentava uno spessore culturale non indifferente, come sempre accade quando si tocca con il dovuto lirismo il tema della morte, e quella di Al Bano era ai livelli delle stagioni migliori dell’artista di Cellino San Marco. Gabbani, spiace dirlo, sarà pure bravo, ma viene dopo questi quattro, almeno per me, e io in base alle mie convinzioni e ai miei gusti musicali giudico, senza pretendere di essere un esperto ma rivendicando di essere un appassionato della materia, benché stonato come una campana. 

Volendo buttarla per forza in politica, potremmo dire che, in questi tempi incerti, la “grillina di sinistra” Mannoia si è dovuta accontentare di un onorevole secondo posto. Stando al merito delle singole canzoni, diciamo che fra il grande impegno di argomenti delicati come la vita e la morte e l’allegra spensieratezza di un giovane uomo che ha scelto una scimmia nuda come metafora dei nostri valori indeboliti da troppi veli di ipocrisia, questo Paese in attesa di conoscere il proprio destino ha scelto di premiare quest’ultimo. Può anche starci, ma non mi ha convinto e non credo che fra vent’anni si parlerà ancora di “Occidentali’s Karma” mentre, di sicuro, la Mannoia e Al Bano occupano già un posto d’onore fra i grandi e Meta può ambirvi. 

Gabbani ha saputo, forse, interpretare meglio di loro questa bizzarra fase storica e anche questo è senz’altro un merito. Diciamo che, dopo aver trascorso l’estate a ballare sulle note di un tizio che ci ha mandato a comandare col trattore in tangenziale, ora siamo chiamati a scatenarci in compagnia di una scimmia: è un passo avanti ma avrei preferito qualcosa di meglio, anche perché c’era.

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