“E’ prevalso il buonsenso” si dice e si scrive correttamente. Ma spesso senti dire e leggi “ha prevalso la politica”, come se prevalere fosse un verbo transitivo, seguito da un soggetto, e avesse dunque bisogno del verbo ausiliare avere e non, come spetta ai verbi intransitivi, l’ausiliare essere.
E’ proprio fra i politici che prevale l’ignoranza della grammatica. E spesso i giornalisti gli vanno dietro, seguiti a loro volta dagli scrittori. Lo scrivono in tanti: Pansa, Cazzullo, Rizzo, perfino De Bortoli nel suo ultimo libro, e i traduttori dei romanzi di Simenon, che non può difendersi.
Ma chi ci bada? Ci bada il lettore o l’ascoltatore che a scuola abbia studiato la grammatica. Si insegna ancora, oggi? Vista la diffusa ignoranza dei nostri studenti in materia di grammatica e sintassi, c’è da pensare che i verbi, avverbi, aggettivi e desinenze, nell’ora di italiano, siano praticati poco. Lo dicono soprattutto i docenti universitari che sempre più spesso trovano nei compiti in classe di futuri avvocati, ingegneri, medici, macroscopici e ripetuti errori di ortografia. Accelerare con due elle, per dirne uno fra i più frequenti.
Un’amico con l’apostrofo è un classico: inutile sgolarsi a dire che l’apostrofo sta a significare la caduta della vocale dell’articolo determinativo dinanzi alla vocale del soggetto. Un’amica vuole l’apostrofo perché non si debba scrivere o pronunciare una amica, che sarebbe cacofonico. Un’anima anche, un orologio no. Se l’Agenzia delle Entrate potesse tassare, e riscuotere il dovuto, tutti gli apostrofi di cui si fa uso improprio in ogni genere di testo, il bilancio dello Stato sarebbe sanato in breve.
Se con gli articoli e gli accenti siamo a questo punto figuriamoci con i verbi. Il congiuntivo, poi, è più pericoloso del sedicente stato islamico. Fa strage soprattutto fra i politici, ma anche fra quanti parlano alla radio o in televisione. Il grillino Di Maio, vice-presidente della Camera, è stato invitato con un’email a presentare una proposta di legge sull’abolizione del congiuntivo. Era il consiglio fraterno di un supporter o la malignità di un avversario politico? Tranquilli, fra le tante cose che i grillini vogliono cambiare non c’è ancora la sintassi, quindi a Montecitorio, a Palazzo Madama, davanti alle telecamere o ai microfoni della radio, deputati e senatori potranno liberamente massacrare l’italiano. Non è, infatti, prevalso il principio che non conta solo quello che dici ma anche come lo dici.
D’altronde, non va dimenticato che sono stati i politici a inventare la parola badante per definire nell’apposita legge colui o colei che bada, cioè si occupa di anziani, malati o comunque persone da assistere. Oggi badante è un neologismo entrato nel testo di una legge, come forse toccherà ad altri obbrobri come scafisti ( i trafficanti di uomini con le imbarcazioni da abbandonare in alto mare), stragisti (riferito ai “soliti ignoti” delle stragi italiane), o selfie (una fotografia con l’autoscatto) o gli orrendi neologismi di derivazione web: linkare, googlare, twittare, taggare.
D’accordo che la lingua è un organismo vivo che si evolve giorno per giorno, e che molte parole nuove nascono e muoiono nel breve volgere di una stagione, anche perché oggi prevale l’inglese, ieri la lingua internazionale era il francese: nessuno più dice chaffeur ma driver, né concierge per dire portiere d’albergo, si salva il maitre che parla lui stesso quattro lingue. E si potrebbe continuare. Perfino i cinesi stanno semplificando la loro lingua riducendo il numero spropositato di ideogrammi ereditati dal passato. Noi ci limitiamo a storpiarla, la nostra bella lingua che fu di Dante, di Manzoni e dei grandi scrittori di oggi ( ce ne sono, ce ne sono !), per ognuno dei quali, va detto chiaramente, sempre è prevalso il buon gusto.