Dieci anni e una crisi

Dieci anni dall’esplosione della devastante crisi, economica e non solo, che ha modificato per sempre il nostro immaginario collettivo, ponendoci al cospetto di una stagione del mondo che, palesemente, non eravamo preparati ad affrontare.

Dieci anni strazianti durante i quali sono entrati a far parte del nostro lessico quotidiano termini come “spread”, “BTP”, “BUND”, “mutui subprime” e molti altri ancora, ossia concetti che un tempo appartenevano, al massimo, ai riferimenti culturali degli addetti ai lavori. 

Dieci anni nel corso dei quali il quadro politico internazionale si è modificato in maniera pressoché irreversibile, portando alla ribalta soggetti che un tempo avrebbero faticato persino a presentarsi alle elezioni e che oggi, invece, hanno spesso rischiato di vincerle e, in alcuni casi, vedasi alla voce Trump, si sono trasformati da outsider in dominus del panorama politico del proprio Paese e dell’intero Occidente.

Dieci anni durante i quali sono stati sovvertiti in maniera radicale i dogmi, questi sì soprattutto economici, che avevano scandito i due decenni precedenti, mettendo in discussione le dottrine del liberismo selvaggio e i miti di cartapesta della crescita illimitata e dello sviluppo svincolato dall’interesse pubblico e dalla doverosa attenzione nei confronti del bene comune.

Dieci anni nel corso dei quali abbiamo scoperto ciò che, in realtà, avremmo dovuto capire fin dall’inizio, ossia che in questo declino ormai pluridecennale si stava formando una generazione che sarebbe una forzatura definire unicamente di sinistra mentre è più opportuno classificarla come attenta al recupero di tutti quei valori e quei principi che per troppo tempo abbiamo considerato obsoleti, anacronistici e da consegnare ormai ai libri di storia. 

Dieci anni e un lungo cammino verso il baratro, un progressivo arretramento sul terreno dei diritti e delle libertà individuali, un crollo del reddito medio dei cittadini e un aumento sconsiderato dei debiti pubblici dei singoli paesi dell’Eurozona, per non parlare poi del tasso di disoccupazione e, in particolare, delle percentuali inquietanti raggiunte dalla disoccupazione giovanile. 

Dieci anni che, in ogni settore della società, hanno riscritto la geografia del mondo, causando il crollo di regimi che sembravano destinati all’eternità e mettendo in discussione teorie e visioni complessive che pensavamo ci avrebbero accompagnato per il resto dei nostri giorni.

Dieci anni dopo i quali ci scopriamo più poveri e più fragili, con istituzioni delegittimate, democrazie atomizzate e costantemente messe in discussione dalla marea montante di un fenomeno che sarebbe riduttivo e sbagliato considerare come mero “populismo” (essendo, al contrario, l’espressione rabbiosa e pienamente comprensibile, benché talvolta addirittura violenta, di un malessere sociale di cui sarebbe folle non farsi carico) e, infine, masse sterminate di persone che non provano più alcun vincolo di appartenenza, ritenendo, non proprio a torto, di essere state tradite e prese in giro dal sistema nel suo insieme. 

Dieci anni in cui abbiamo imparato a convivere con la paura, con l’incertezza, con il precariato elevato a condizione esistenziale e con l’anti-mondializzazione feroce di un mondo islamico in subbuglio, a sua volta costretto a fare i conti con l’esaurirsi della spinta propulsiva e delle capacità di contenimento delle istanze regionali degli accordi di Sykes-Picot. 

Dieci anni e la certezza che nulla tornerà più come prima, che noi stessi non siamo più quelli di un tempo, che le nostre società sono ormai entrate pienamente nel nuovo millennio e che da questo salto nel buio sarà impossibile tornare indietro, al che dovremo imparare a navigare in un mare tempestoso, colmo di insidie e del quale, al momento, non si vede la riva. 

Dieci anni che hanno reso possibile l’impossibile, anche in senso positivo: basti pensare all’evoluzione delle due culle del liberismo globale che oggi vedono i giovani abbracciare figure in netto contrasto con la barbarie dei loro predecessori come Corbyn e Sanders.

E lo stesso papa Francesco, a nostro giudizio, costituisce il tentativo dell’ala più progressista della Chiesa di andare al di là del conservatorismo bonario di Wojtyla e delle tenui aperture sociali di Ratzinger, inviando un messaggio di aperta censura e tentando di porsi al passo con un’evoluzione storica che segna un cambiamento d’epoca tra i più drastici che si siano mai visti dal dopoguerra in poi.

Dieci anni ed è quasi inutile recitare il mantra del “come eravamo”, in quanto se oggi rileggessimo un giornale di dieci anni fa, probabilmente scopriremmo una società e un modo di vedere, di sentire e di rapportarsi con la politica e con il prossimo che faremmo finanche fatica a riconoscere. 

Dieci anni: culmine e declino di un mondo, di una visione, di un orizzonte e delle sue prospettive. Potrebbe anche essere un bene, a patto di compiere un’analisi storica senza omissioni su ciò che è stato e di fare esattamente l’opposto. Per la politica è un dovere; per la sinistra, specie in Italia, è l’unica possibilità di avere un futuro, ritrovando il proprio posto nella società e nei cuori dei milioni di persone che di essa avvertono il bisogno.

Condividi sui social

Articoli correlati