Pensioni. Quota 100 o “Soluzione Montecitorio”?

Ci si potrebbe quasi regolare l’orologio sul ciclo circadiano delle discussioni in tema di pensioni. Che rientrano in ballo ogni volta che si comincia a discutere di coperture, di fondi, insomma di soldi pubblici.

Il tema odierno è il superamento della Legge Fornero e la proposta corrente è quella di superarla in senso migliorativo, ovvero rendendo possibile il pensionamento in maniera leggermente anticipata rispetto a quando previsto dalla Fornero. In una realtà come quella dei dipendenti della Camera dei deputati la Legge Fornero è invece stata completamente abbandonata, un’esperienza da cui si può trarre qualche utile indicazione per il futuro.

La cosiddetta quota 100

La proposta in giro da un po’ è indirizzata ad istituire un accesso al pensionamento con il raggiungimento della cosiddetta quota 100. Quando cioè la somma tra età ed anzianità contributiva raggiunge 100 il lavoratore conquista il diritto al pensionamento. Ovviamente ciò potrebbe portare a risultanti diversi a seconda dell’età di inizio del lavoro. Ad esempio un lavoratore precoce che abbia iniziato a 16 anni potrebbe maturare il diritto a pensione già a 58 anni. Chi avesse cominciato a 20 anni potrebbe invece andare in pensione a 60.

Per evitare pensionamenti troppo anticipati la proposta in giro oggi istituirebbe una ulteriore limitazione, quello di una età minima, ad esempio 62 anni.

La cosiddetta “Soluzione Montecitorio” e le differenze con la Fornero

A Montecitorio la Fornero è già stata superata da tempo. Sfruttando infatti l’autonomia della Camera è stato possibile disattendere la riforma Fornero in più parti. Vediamo le differenze.

Pensione di vecchiaia. Mentre la Fornero prevede per quest’anno una età per il pensionamento di vecchiaia pari a 66 e 7 mesi, età che sale a 67 il prossimo anno, la Camera ha deciso di evitare l’innalzamento alla fine di quest’anno portando l’età di pensionamento a 67 anni già dal 2018.

Pensione anticipata. La Fornero prevede il diritto a pensionamento anticipato con 41 anni e 10 mesi di anzianità contributiva per le donne e 42 anni e 10 mesi per gli uomini. A Montecitorio il diritto a pensione anticipata è soppresso, al momento per un triennio. Al suo posto potranno accedere a pensione un numero prefissato di unità, per la precisione otto, per ciascuna delle quattro finestre pensionistiche previste. Accederanno quindi a pensione anticipata solo 32 dipendenti annui, precisamente i 32 con la maggiore anzianità contributiva.

Gli effetti della “Soluzione Montecitorio”

La soppressione del diritto a pensione di anzianità e la sua sostituzione con un contingentamento avrà i primi effetti consistenti a partire dal 2019. E’ stato infatti adottato dalla Presidenza Boldrini alla fine del 2017 con effetto dal 2018. Progressivamente, infatti, l’anzianità contributiva per accedere al trattamento pensionistico dovrebbe salire fino ad un punto di equilibrio in cui tenderà a stabilizzarsi. Man mano che si alza l’anzianità contributiva richiesta per posizionarsi tra i primi 8 di ciascuna finestra aumenta parallelamente la possibilità che questi candidati raggiungano i 67 anni di età ed accedano quindi alla pensione di vecchiaia.

Perché la “Soluzione Montecitorio” potrebbe essere la riforma pensionistica definitiva

Se si adottasse su scala nazionale la soluzione adottata a Montecitorio questa potrebbe risultare come l’ultima riforma pensionistica per il Paese, ma come dovrebbe funzionare in pratica?

In buona sostanza si istituirebbe un automatismo correlato al numero di decessi di titolari di pensione nell’anno precedente, automatismo flessibilizzato da taluni parametri. Come spesso avviene un esempio chiarirà meglio il discorso.

Ipotizziamo che quest’anno, nel 2018, vengano a mancare 500mila persone titolari di assegno pensionistico e che l’anno prossimo, nel 2019, 400mila persone non ancora pensionate compiano 67 anni e quindi possano accedere a pensione di vecchiaia.

Sarebbero disponibili per il pensionamento anticipato 100mila posti, le 100mila persone con anzianità contributiva maggiore potrebbero quindi accedere a pensione.

Attenzione però, questo numero di 100mila persone pensionabili potrebbe essere modificato sulla base di alcuni parametri. Ad esempio se l’importo medio delle pensioni dei 500mila nuovi pensionati del 2019 fosse più basso di quello dei 500mila pensionati venuti a mancare si potrebbe pensare di aumentare il numero di pensioni anticipate disponibili. Ovvero si aumenterebbe il numero delle pensioni in essere a parità, circa, di spesa complessiva.

Se invece si verificasse un incremento del Pil si potrebbe pensare di incrementare la spesa pensionistica della medesima percentuale, si otterrebbe un maggior numero di pensionamenti ed un incremento della spesa in pensioni tenendo però stabile il rapporto tra spesa previdenziale e Pil.

Varrebbe ovviamente anche un mix delle due variazioni precedenti o una pesatura differente degli anni contributivi sulla base del lavoro effettivamente svolto.

E quindi

Una riforma pensionistica di questo genere potrebbe eliminare dal dibattito politico il tema delle riforme pensionistiche per sempre, lasciando alla responsabilità dei singoli governi la possibilità di intervenire sul contingente da adottare per le pensioni anticipate per ciascun anno, con una discrezionalità ridotta dalla necessità di restare all’interno di parametri prefissati.

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