CANNES – E’ un film del 1953, da non confondere con l’omonimo girato nel 2001 dall’australiano Baz Luhrmann. E’ la vita di Toulouse-Lautrec, il pittore francese che una caduta da bambino rese deforme e che tuttavia trascorse buona parte della sua esistenza fra le ballerine dei cafè chantant nella Parigi della belle èpoque.
Forse proprio a causa del suo fisico infelice (era praticamente un nano) era benvoluto dalle splendide ragazze del can can, ma la solitudine fu il tratto maggiore della sua vita privata. Nato nel 1864, è morto nel 1901, in seguito all’ennesima caduta.
Il film è tratto da un best sellers di Pierre de La Mure, e si avvale della regia di un John Huston in gran forma. Come eccezionali sono le scenografie e i costumi che conquistarono due Oscar. Belle le musiche di George Auric, (la scena del can can d’apertura è di alta scuola) come splendida appare la fotografia di O. Morris. Ma sono soprattutto gli interpreti scelti da Huston a fare di questo Moulin Rouge ormai ultracinquantenne uno dei film più belli del cinema americano ambientato in Europa. Toulos-Lautrec è un validissimo Mel Ferrer, al suo fianco una straordinaria Zsà Zsa Gabor, Christopher Lee, Colette Marchand, e le bellissime Suzanne Flon e e Khaterine Kath.
Unico neo: come ne esce la figura del pittore che disegnava sulla tovaglia di carta dei tavoli dei tabarin, spesso pagando così il conto dello champagne? Il film non è una biografia dell’artista, privilegia piuttosto l’uomo, raccontandone le gesta sentimentali: salva dalla prigione una prostituta, ne fa la sua amante, poi la scaccia in malo modo, ama riamato un’indossatrice, ma finisce poi per ripiegare sull’alcool. Appare evidente che il regista Huston si è più appassionato all’ambiente che al personaggio, ma il film è comunque da ricordare, come giustamente fa il festival di Cannes, che pure non l’ha mai premiato, mentre a Venezia questo Moulin Rouge americano ebbe un Leone d’argento.