Il laboratorio scientifico: il cuore pulsante in tempi di Coronavirus

Intervista a Giancarlo De Matthaeis, presidente di Labozeta Spa, insignito recentemente a Commendatore dell’Ordine al merito della Repubblica Italiana 

Si parla sempre più spesso di laboratori scientifici, inteso come luogo deputato al controllo delle analisi chimiche e biologiche, specie durante questa crisi pandemica in cui questo luogo è diventato un vero e proprio punto nevralgico per l’importanza che rappresenta. Ne abbiamo parlato con Giancarlo De Matthaeis, presidente di Labozeta Spa, una delle aziende più competenti a livello internazionale dal 1983 che ha realizzato oltre 7mila laboratori scientifici.  

Presidente, oggi si parla molto di laboratorio, ma come si dovrebbe realizzare un ambiente così importante specie in questo delicato frangente?
 
Faccio innanzitutto una premessa che poi ricalca esattamente la nostra visione aziendale. Dobbiamo sempre partire dal presupposto che tutti gli spazi laboratoriali sono abitati da persone e proprio per questo motivo devono rispecchiare delle caratteristiche ben precise, in primis garantire la massima sicurezza e l’incolumità di chi le vive quotidianamente. Quindi è assolutamente  necessario prescindere da questo elemento. Detto ciò oggi il paradigma di cosa si intende per laboratorio scientifico va rimodulato, se non addirittura rivoluzionato. L’idea che Labozeta porta avanti da sempre è quella di riconoscere la centralità e l’importanza delle persone che lavorano nei laboratori, spesso protagonisti nel silenzio e lontani dai riflettori mediatici.
 
Oggi, anche rispetto all’emergenza Coronavirus qualcosa sta cambiando?
 
Sì, diciamo che qualcosa si sta muovendo. C’è sicuramente più consapevolezza rispetto a prima su come deve essere progettato o rimodulato un ambiente di questo tipo. Al di là dei processi analitici che si svolgono, il laboratorio, in molti casi, funge da propulsore per tutte le altre attività connesse direttamente o indirettamente. Pensiamo alle nuove frontiere biotecnologiche, chimiche farmaceutiche o genetiche: sarebbe impensabile raggiungere determinati traguardi senza aver predisposto adeguatamente degli spazi di lavoro consoni e questo deve valere per tutti gli ambiti. Oggi il laboratorio – mi permetta questa metafora – deve essere considerato come una sorta di cucina di un ristorante stellato, dove tutti possono osservare come e in quali condizioni si lavora e di conseguenza avere la percezione giusta di quale sarà il risultato ideale.
 
E la situazione in Italia?
 
Sicuramente c’è ancora molto da fare. Dobbiamo considerare che l’innovazione tanto blasonata anche dalla Comunità Europea sta stimolando le imprese attraverso sgravi economici importanti per superare questo gap tecnologico, ma non sempre viene colta come un’opportunità.
Oggi in Italia abbiamo bisogno di avere il coraggio di partecipare alle prossime sfide future con gli strumenti adeguati. Per questo dare la giusta importanza all’ambiente laboratoriale stimolando la ricerca e lo sviluppo e ricreando ambienti e spazi sicuri e realizzati saggiamente a seconda del loro utilizzo diventa strategico. Anche l’attuale situazione pandemica va colta come un’opportunità per riproporre dei modelli culturali e industriali che possano finalmente competere a livello internazionale.
 
Quindi anche l’attuale situazione può essere considerata come un’opportunità?
 
Assolutamente sì. Se pensiamo al settore farmaceutico in poco tempo ha superato la Germania posizionandosi al primo posto per produzione europea. Di sicuro questo dato è stato raggiunto grazie alla competenza e attualmente anche alla tecnologie dirompenti che hanno creato una situazione che io definisco di “pandemia tecnologica” che offre tante opportunità. Pensiamo ai big data, all’intelligenza artificiale, alle biotecnologie e molto altro. Questo fatto ha consentito un’accelerazione nei processi di ricerca e di produzione come non mai e i risultati si possono anche riscontrare nei traguardi incredibilmente raggiunti nella preparazione dei vaccini.
 
Qual è secondo lei la strada giusta?
 
Ora c’è bisogno di supportare le imprese in questo passaggio fondamentale e gli ingredienti ci sono tutti. E’ assolutamente necessario intraprendere con determinazione queste nuove sfide senza pensare esclusivamente al tornaconto immediato. La visione futura deve essere olistica e soprattutto multidisciplinare. Solo così saremmo in grado di uscire da questa situazione delicata riproponendoci a livello internazionale come un Paese che, senza dimenticare la propria storia e origine, vede nel cambiamento una grande possibilità di miglioramento per tutti. In questo modo valorizzando i talenti e le capacità potremmo cogliere e affrontare le grandi sfide tecnologiche e sociali.

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