Julian Assange, dopo la gloria l’accusa infamante. Ma è tutto da dimostrare

ROMA – Dagli onori della cronaca alle accuse infamanti.

Sembra questo il destino riservato a Julian Assange, il trentanovenne fondatore di WikiLeaks, il sito di diffusione di documenti riservati che, nel giro di poco tempo, è divenuto l’incubo di tutti i governi. Mentre Time Magazine potrebbe insignirlo presto dell’ambizioso titolo di “uomo dell’anno”, la procura svedese ha spiccato nei suoi confronti un mandato di arresto con l’accusa di violenza sessuale. Un’accusa tutta da verificare che Assange respinge al mittente facendo sapere, tramite i suoi collaboratori, che in fondo quasi si aspettava una mossa del genere. Solo nella scorsa primavera proprio il suo sito aveva diffuso 700 mila file segreti sulla guerra in Afghanistan e, qualche settimana fa, altri 400 mila ne erano arrivati sulla guerra in Iraq. File riservati, coperti dal segreto di Stato, che danno un’idea ben diversa delle “missioni di pace” all’estero, squarciando il velo di menzogna sul trattamento inflitto ai prigionieri e sulle cifre, ben più alte di quelle ufficiali, di perdite tra i civili. Una fuga di notizie che non è piaciuta ai governi dei Paesi coinvolti. Facile intuire, questo il ragionamento di Assange, che i servizi segreti di mezzo mondo siano sulle sue tracce con l’intento di metterlo fuori gioco una volta per tutte. I suoi collaboratori si sono rifiutati di rivelare dove si trovi il loro leader e difficilmente lo faranno. L’unica notizia che è trapelata riguarda la possibilità che Assange, in caso di mandato di cattura internazionale, chieda asilo politico a Cuba.

Occorre precisare, tuttavia, che le accuse sono ancora tutte da verificare così come, attualmente, non c’è un processo in corso. Per il momento, infatti, ci sono due donne che affermano di essere state molestate e violentate da Assange, durante la sua permanenza in Svezia. Il padre di WikiLeaks ha ammesso di averle conosciute, ma si è rifiutato di fornire particolari sul consumo di eventuali rapporti intimi con le stesse.
Alla giustizia il compito di indagare, portando alla luce la colpevolezza o l’innocenza di Assange. Nel primo caso si assisterebbe alla parabola discendente di un uomo di successo, nel secondo si aprirebbero fronti di riflessione sugli eventuali mandanti di una simile calunnia, sul perché abbiano voluto screditare il fondatore del sito e su quali appoggi abbiano potuto contare.  
In tutta questa storia, in ogni caso, c’è qualcosa di strano: la tempistica degli eventi. Un’accusa che, guarda caso, pende sul capo di uno dei giornalisti e attivisti Internet più scomodi del momento e che, sempre per caso, si materializza poco dopo la diffusione di documenti scottanti sui conflitti in Iraq e Afghanistan. Quanto basta per far assumere all’intera vicenda sfumature da thriller internazionale, il cui finale è ancora lungi dall’essere scritto.

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