Un paese, due scuole. E’ quanto emerge dal 2° Rapporto sul sistema educativo italiano

ROMA – Un paese, due scuole. Questa sembra essere la fotografia che emerge dal 2° Rapporto sul sistema educativo italiano 2014 redatto da Cidi, Associazione italiana maestri cattolici, Proteo e Legambiente scuola e formazione.

Una dualità che si registra in più “evidenze” dalla popolazione in età scolare (3-18 anni) che, nel decennio 2002/2012, cresce in media dell’1,2% ma con forti differenze territoriali. Con un aumento nelle regioni del centro nord, fortemente accentuato in regioni quali Emilia-Romagna Romagna (23,6%), Valle d’Aosta (14,7%), Lombardia (14,5%) e altrettanto marcato decremento a Sud: in Calabria (-19,1%), Basilicata (-18,2%), Sardegna (-15,7%).
Ma v’è di più. Queste tendenze demografiche sono più accentuate laddove si vada a confrontare la fascia d’età 6-10 (scuola primaria) con quella 14-18 (secondo ciclo), con riduzioni pesanti che vanno dal -14,3 della Calabria al -6,9 dell’Abruzzo, mentre gli incrementi vanno dallo 0,2% del Lazio al 9,8% dell’Emilia-Romagna. Comunque, abbiamo 7milioni e 730mila studenti, 677mila dei quali sono privi di cittadinanza e 197mila diversamente abili.
Una divaricazione che si presenta anche nell’offerta di servizi per la prima infanzia (nidi e servizi innovativi/alternativi): 2,5% in Calabria; 26,5% in Emilia-Romagna. Compensata in parte da una  iscrizione anticipata alla scuola dell’infanzia che, con le sue diverse tipologie di gestione (60,2% statale, 10,6% comunale e 30 % privata), dà una risposta al fabbisogno di servizi per i più piccoli. Ma è una scuola che cambia molto da regione e regione e riflette situazioni consolidatesi nel tempo, così se nelle Marche solo l’11,6% è privata, in Veneto si arriva a 61,5%.

Analogamente, per il tempo pieno, nella primaria si va dal 7% della Campania al 50% del Piemonte.
Solo nel Lazio gli iscritti ai licei superano (52,4%) quelli degli Istituti tecnici, professionali e d’arte mentre al nord, specie nelle regioni più produttive, questi ultimi sono largamente più numerosi: 63% nelle Marche, 62,4% in Emilia-Romagna, 60,4% in Veneto, 58,3% in Friuli-Venezia Giulia e a sorpresa 57,9% in Puglia e 57,3% in Basilicata.
Anche il dimensionamento scolastico, specialmente quello operato nell’anno scolastico 2013/14 ha inciso diversamente da un territorio all’altro. Abbiamo 8.644 istituzioni scolastiche che da una regione all’altra – meno in Puglia e Sicilia – gestiscono mediamente da 3 a 5 sedi. Discrasie che si rilevano anche per: distribuzione degli alunni per classi (dai 22,1 in Emilia-Romagna ai 18,6 in Molise); numero di alunni per docente (dai 12,7 in Puglia ai 10,3 in Basilicata); percentuale di alunni stranieri per classe (15,7% in Emilia-Romagna, 1,9% in Campania); alunni disabili per docente di sostegno (2,5 in Emilia-Romagna, 1,6 in Liguria).
Persino la scelta fra modelli di istruzione professionale non è omogenea: il modello complementare, che contemplava un’organizzazione totalmente autonoma rispetto al modello statale degli istituti professionali, è stato scelto da Lombardia, Veneto e Friuli Venezia Giulia, mentre tutte le altre regioni hanno scelto il modello integrativo, che prevede solo un adattamento del modello statale per le ore di flessibilità. La Sicilia, invece, ha adottato entrambi i modelli. Tuttavia, dall’anno scolastico 2010-2011, con il varo della nuova Istruzione e Formazione Professionale (IeFP), si sono avuti 100mila nuovi iscritti (+69,7%), specialmente nella scuola statale al Centro e al Sud, che ora soddisfa quasi la metà (116.411) della domanda. Ma solo in 5 regioni si può accedere al diploma quadriennale.
Nel 2011-12, anche con la nascita degli Istituti Tecnici Superiori (ITS) – con i quali si vorrebbe garantire un percorso non universitario, ma di qualità, successivo alla scuola superiore – si sono registrate sperequazioni territoriali tra Nord e Sud, con più alunni e corsi nel primo. Tuttavia, nell’insieme, gli ITS non sembrano decollare. Finora sono 63 e hanno avuto 3.516 alunni concentrati nell’indirizzo made in Italy, solo 43 e 2 istituti per nuove tecnologie della vita.
Quanto all’istruzione degli adulti fra i 24 e i 64, mentre in Lombardia vengono attivati 3.400 corsi con 73.253 iscritti, in Basilicata i corsi sono appena 38 e gli iscritti 1.251. In totale al Sud sono attivi 2.887 corsi pari al 16,8%. La percentuale di stranieri frequentanti è del 49,4% concentrati essenzialmente nei corsi di integrazione linguistica.
Lo svantaggio territoriale si riflette nello stato degli edifici scolastici, che vede una media di circa una scuola su 4 che necessita di manutenzione urgente e che in alcune regioni quali Liguria, Lombardia, Campania e Sicilia, presenta una urgenza di interventi in circa 2 scuole su 4, fino al caso dell’Abruzzo che presenta questa emergenza per più del 90% degli edifici. Una situazione che sembra incidere sul successo scolastico.
Solo il 15,7% degli italiani è laureato (la media Ocse è 31%) seppure con criticità nelle competenze acquisite in literacy e numeracy specialmente al Sud e nelle Isole. D’altronde per l’istruzione si spendono, secondo la Ragioneria generale dello Stato, poco più di 42 miliardi, pari al 3,7% del Pil, con una riduzione, dal 2009 ad oggi, del 15%, pur in presenza di un incremento di 28.070 alunni.
La spesa per alunno va dai 5.419 € della Campania ai 7.065 della Basilicata, che in termini di Pil, insieme al Molise, è quella che investe di più in istruzione. Questi tagli uniti a quelli all’organico, le riduzioni di orario a seguito della riforma dei cicli, la riduzione del tempo pieno conseguenti alla riforma Gelmini, non hanno fatto che peggiorare la performance degli studenti: il 17% è stato bocciato almeno una volta; nella scuola superiore più di 160 mila studenti abbandonano; la dispersione scolastica è al 17,3%, i NEET, cioè i ragazzi tra i 15 e i 29 anni che non studiano e non lavorano, sono il 23,9%.
In generale, i livelli di apprendimento di base sono nettamente superiori al Nord e al Centro, la maglia nera per le ripetenze va a Calabria e Sardegna e Sicilia.
Le ragazze sono in genere più brave ma non in matematica, abbandonano meno la scuola però nel Centro-Nord superano i maschi tra i NEET. Forse perché incontrano più difficoltà a trovare lavoro.

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