La Catalogna e la disgregazione dell’Europa

ROMA – Riflettiamo attentamente su questo voto catalano, sulle sue effettive dimensioni, sulle sue cause e sulle sue possibili, anzi probabili, conseguenze.

Partiamo dalla consistenza dell’allarme, perché di un allarme si tratta, che giunge dalla Catalogna e diciamo subito che sbaglia e compie un atto di arroganza e di profonda superbia chi si permette di minimizzare un esito che vede la coalizione indipendentista formata da Junts pel Sì del presidente uscente, Artur Mas, e dalla frangia di sinistra radicale della CUP (Candidatura d’Unitat Popular) attestarsi su un lusinghiero 47,8 per cento (corrispondente a 72 seggi su 135 nel Parlamento catalano) che non costituisce la maggioranza assoluta dei votanti ma è comunque un ottimo risultato, specie se confrontato col 52,2 per cento del più che frammentato fronte avversario. Se consideriamo, infatti, che Podemos ha preferito assumere una posizione ambigua, non schierandosi di fatto né a favore del sì né a favore del no, probabilmente per paura di perdere consensi preziosi in vista delle Politiche del prossimo 20 dicembre, dopo aver espugnato Barcellona grazie al sindaco anti-sfratti Ada Colau, che i socialisti si sono a malapena retti a galla, che i centristi di Ciudadanos sono gli unici, sul versante del no, a poter cantar vittoria e che il vero sconfitto è il Partido Popular del premier Rajoy, arrivato ultimo, sotto il 10 per cento, se prendiamo atto di tutto questo, avremo ben chiare le ragioni di un simile scenario.

E le ragioni vanno ricercate proprio nella figura di Rajoy, nel suo franchismo latente, nelle politiche liberiste, sbagliate e dannose del suo ministro delle Finanze, Luis de Guindos, nel suo tentativo feroce e disperato di reprimere le pulsioni autonomiste del popolo catalano, nella pochezza delle sue argomentazioni, in questa politica muscolare e priva di senso, tipica delle destre che vediamo all’opera un po’ ovunque, che anziché risolvere le controversie, finisce con l’aggravarle e, infine, nei venti secessionisti che spirano in numerosi angoli d’Europa, mettendo a repentaglio il progetto comune.

Perché è inutile continuare a osservare la Catalogna con lo sguardo miope di chi vorrebbe rinchiudere i problemi di un singolo stato negli angusti confini del medesimo: oggi nessun problema può più essere considerato italiano, spagnolo, inglese o tedesco; oggi la dimensione dei problemi è sempre e comunque europea, sempre e comunque globale, sempre e comunque riguardante le vite di milioni di persone, come ha dimostrato la vicenda greca di quest’estate e il tentativo di secessione scozzese di un anno fa, fortunatamente fallito ma, al tempo stesso, spia dell’iniquità delle politiche e dei dogmi economici dominanti nell’ultimo trentennio.

Per quanto Mas sia un uomo di destra proprio come Rajoy, il che costituisce una netta differenza rispetto al socialismo scozzese contrapposto al thatcherismo della Lady di ferro, del suo degno successore Blair e dell’attuale, disastroso Cameron, anche la Catalogna è evidentemente stanca della mancanza di ascolto da parte del governo di Madrid e del suo andare avanti a testa bassa, come se nulla fosse, come se davvero un esecutivo, una comunità, un continente potessero continuare a ignorare le rivendicazioni di una regione che, oltre ad essere abitata da 7,5 milioni di persone, costituisce il 20 per cento del PIL spagnolo.

Il rischio cui stiamo assistendo ormai da tempo è quello di una disgregazione dell’Europa, favorita dall’insipienza dei suoi governanti, dall’insostenibilità delle politiche che vengono imposte con rara pervicacia a danno, soprattutto, della periferia mediterranea e dalla contraddizione spaventosa fra una globalizzazione arrembante e il ripiegamento retrivo verso le peggiori forme di nazionalismo, chiaro sintomo di un processo attuato male, escludente, non rispettoso delle aspirazioni degli esseri umani, disumanizzante fino al punto di essere considerato quasi robotico per quanto riguarda il mondo del lavoro e l’eccessiva importanza attribuita a stime come il Prodotto Interno Lordo, a scapito del benessere, della sostenibilità ambientale, della tutela del paesaggio e del territorio, a scapito della vita stessa, dei diritti, della dignità e della libertà delle persone.

Un’Europa debole, smarrita, attraversata da spinte distruttive, pervasa da un pensiero unico ormai tragicamente sconfitto dai suoi ripetuti fallimenti; un’Europa sconvolta dalla solitudine di un’umanità priva di punti di riferimento; un’Europa in cui i populismi trovano terreno fertile e finiscono col dilagare; un’Europa che ha abbandonato i paesi più fragili, i cosiddetti PIGS, a se stessi e li ha umiliati come fu umiliata, a suo tempo, la Germania prima dello sciagurato avvento del nazismo; questa Europa sta pagando a carissimo prezzo le conseguenze dei suoi drammatici errori, andando incontro al ripudio dei popoli nei confronti di un progetto che in passato li affascinava e adesso li terrorizza nonché al venir meno del concetto stesso di democrazia e confronto politico civile.

Cosa accadrà, dunque, nei prossimi mesi in Spagna? Bisogna ammettere che non è mai stato tanto difficile formulare previsioni a lungo termine, in quanto non avevamo mai assistito, prima d’ora, ad un tasso così elevato di instabilità e d’incertezza. Di sicuro, molto, per non dire tutto, dipenderà dall’esito delle Politiche del prossimo 20 dicembre: in caso di vittoria di Rajoy e del Partido Popular, la secessione della Catalogna è da considerarsi pressoché inevitabile e, con essa, anche il riacutizzarsi dell’indipendentismo basco e di tutte le altre tendenze separatiste che attraversano il Vecchio Continente; in caso di grande coalizione, la maggior disponibilità al dialogo da parte del PSOE potrebbe parzialmente mitigare la linea dura dei popolari ma, probabilmente, non abbastanza da convincere gli indipendentisti catalani a desistere dal proposito di dar vita a uno Stato autonomo, magari accontentandosi di qualche concessione sul piano fiscale e dell’autonomia legislativa; un diverso scenario potrebbe profilarsi in caso di affermazione di Podemos, senz’altro più disponibile a farsi interprete e portavoce delle ragioni di una terra che ha sempre sofferto una coabitazione col potere centrale madrileno che considera forzata e foriera di impoverimento e oppressione.

Ogni altra considerazione rischia di essere avventata e prematura, pertanto è bene attendere il corso degli eventi prima di lasciarsi andare a previsioni che potrebbero rivelarsi inesatte. L’unica certezza che abbiamo è che quest’Europa o cambia o è destinata a disintegrarsi nel corso di qualche anno: è una considerazione banale, scontata, ripetuta mille volte dalle fonti più disparate, alcune delle quali anche molto autorevoli, ma purtroppo, finora, sono rimaste parole al vento, e la conclusione della vicenda è sotto gli occhi di tutti.

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