L’oblio della memoria culturale. Il nostro patrimonio artistico cade a pezzi

ROMA – Che fine ha fatto la nostra sensibilità estetica? Come mai il nostro patrimonio artistico ed archeologico, osannato in tutto il mondo, si trova spesso in condizioni di degrado e di scarsa tutela? Quali sono le cause che hanno determinato una realtà simile?

Sono quesiti che sorgono di sovente quando ci si muove in Italia. E non solo al cospetto di talune grandi città, come Roma, per citarne una. Dove il degrado ha raggiunto dei livelli critici oramai noti in tutto il mondo. Ma anche nelle zone della provincia. Dove la nostra ricchezza culturale è assai diffusa all’interno dei piccoli centri.

Quei magnifici territori, dove un tempo regnava un’armonia ideale fra architettura e paesaggio, ora versano in uno stato di desolazione ed abbandono. Le recenti generazioni sono fuggite ammassandosi nelle grandi città. E gran parte dei pochi abitanti rimasti hanno preferito allontanarsi dalla propria memoria storica e dalla propria identità, lasciando i borghi antichi ed insediandosi in nuove edificazioni spesso di dubbio gusto, i cui canoni architettonici hanno ripreso quelli delle periferie urbane. Un processo che sembra inarrestabile ed in atto da molti anni.

E pensare che i modelli di conservazione del patrimonio sono nati proprio nel nostro Paese, addirittura prima dell’ unificazione nazionale. Gli stati preunitari sono stati i primi al mondo a dotarsi di regole e istituzioni pubbliche in questo campo. L’origine di questa cultura civica e giuridica è dovuta, molto probabilmente, alla storia delle nostre città. Le quali, intorno al XII sec., elaborarono un forte concetto di cittadinanza fondato sul primato della propria ricchezza monumentale ed architettonica. A tal punto, da innescare un sentimento d’identità civica estremamente profondo. Tutto ciò, evidentemente, non sarebbe stato altro che un retaggio della cultura classica. Di quei concetti, sia architettonici sia civici, su cui si erano formate le antiche città romane.

Secondo Salvatore Settis, “l’unanimità con la quale gli Stati preunitari si sono dotati di regole di tutela è stata (così come l’uso della lingua italiana dalle Alpi alla Sicilia) un autentico linguaggio comune nutrito di uno stesso senso della bellezza e dell’ornamento delle città e di un’autentica tensione nel trasmettere i valori da una generazione all’altra, anche per il tramite di appositi magistrati. Come successe a Siena nel 1400 quando si crearono gli Ufficiali dell’Ornato ( ente per l’abbellimento ). La delibera della municipalità di Roma del 1162, sulla Colonna Traiana, affermava che “per salvaguardare l’onore pubblico della città di Roma, la colonna non dovrà mai essere danneggiata o demolita ma restare così com’è, per tutta l’eternità, intatta ed inalterata fino alla fine del mondo. Se qualcuno attenterà alla sua integrità, sarà condannato a morte e i suoi bene saranno confiscati dal fisco”. 

Questa tradizione si è mantenuta in ogni epoca, anche durante le fasi più buie della nostra nazione. All’indomani dell’assemblea costituente, dopo la seconda guerra mondiale, l’Italia è stata la prima nazione al mondo a sancire, come principio fondamentale della propria Costituzione, la tutela del paesaggio e del proprio patrimonio culturale. Tuttavia, il peso di questa tradizione e della propria storia non hanno arrestato un processo di oblio della  propria memoria storica, che in pochi anni è riuscito a stravolgere gran parte della nostra ricchezza paesaggistica ed architettonica. La cause di questa crisi sono molteplici. E spesso riferibili a fenomeni extranazionali, come la mondializzazione dell’economia con tutte le conseguenze che ha provocato a livello dei singoli stati, dove molti settori produttivi sono risultati in ritardo rispetto alla competitività dei mercati. 

Ma c’è di più. C’è qualcosa che riguarda noi stessi e la nostra storia recente. Se si osservano certi dati che si riferiscono al nostro livello di istruzione (diploma e laurea), si rimarrà sorpresi nello scoprire che ci troviamo nelle retrovie d’Europa da almeno una ventina d’anni a questa parte. Tutto ciò si è riverberato nella qualità delle competenze necessarie ad implementare i centri nevralgici del Paese. I quali sono stati spesso occupati da personale inadeguato. A tali condizioni si è aggiunta la endemica crisi economica, di cui si accennava in precedenza, che ha determinato profondi cambiamenti nella domanda e nell’offerta di lavoro. La politica è diventata un veicolo occupazionale per molti, abbassando i livelli di capacità nella gestione del bene comune. Probabilmente, sono state queste le cause principali che hanno determinato la decadenza delle cose e la dimenticanza della propria identità culturale. 

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