A Milano è morto il centrosinistra. E adesso?

ROMA – Se qualcuno aveva ancora dei dubbi sulla scomparsa definitiva del centrosinistra e del suo nobile progetto, le primarie di Milano hanno contribuito a fugarli. La vittoria di Giuseppe Sala, manager con importanti esperienze professionali alle spalle nonché commissario unico di Expo, spazza via in un colpo solo l’illusione di quanti ci spiegavano che, nonostante il renzismo arrembante, almeno sotto la Madonnina fosse possibile portare avanti la buona esperienza di governo del sindaco Pisapia.

Non è così, e il primo che ci auguriamo se ne sia reso conto è proprio il sindaco uscente, il quale da tre anni a questa parte sta commettendo errori tattici incomprensibili, specie se si considera la sua storia personale e la sua grande esperienza politica e amministrativa. Cominciò nel 2013, arrendendosi di fatto al renzismo e schierandosi, insieme a buona parte della sua giunta, dalla parte del sedicente Rottamatore, senza interrogarsi sui suoi effettivi intenti e su dove volesse condurre un centrosinistra che, sia pur ammaccato a causa del risultato negativo delle Politiche e della “notte dei lunghi coltelli” che costò il Quirinale a Prodi, all’epoca ancora esisteva ed aveva una sua solidità; proseguì nel corso del biennio successivo, non battendo ciglio al cospetto di riforme sbagliate, dannose e di destra come l’Italicum, il Jobs Act, la Buona scuola e via elencando; infine, si è risvegliato qualche mese fa di fronte allo spettro di un Sala candidato senza primarie e, per renderle minimamente competitive, nella speranza di salvaguardare quel che restava del centrosinistra, ha lanciato la candidatura della sua vice Francesca Balzani, danneggiando implicitamente il bravo assessore Majorino, candidatosi autonomamente mesi prima.

E così, il buon Pisapia, nel tentativo di salvare una facciata senza più nulla dietro, ha ottenuto tre risultati deleteri: ha dato il via libera, legittimandolo, al candidato più distante dalla sua, ribadiamo, ottima esperienza amministrativa; ha bruciato quel che aveva resistito della sinistra, mettendo in competizioni due assessori che si sarebbero dovuti tendere la mano anziché farsi la guerra e ha spianato la strada alla nascita del Partito della Nazione.

Perché parliamoci chiaro: a giugno, a meno di cataclismi, vincerà Sala, raccogliendo i voti di buona parte dell’elettorato che fu morattiano, a cominciare da quelli di NCD, e superando di slancio un candidato del centrodestra, Parisi, che di fatto è una fotocopia di quello del Partito della Nazione, dunque facilmente esposto alla considerazione che, fra la copia e l’originale, è preferibile quest’ultimo.

E la sinistra del partito democratico e i vertici locali di SEL? Mi spiace dirlo, ma non sono meno colpevoli di Pisapia. Avrebbero dovuto capire, infatti, che l’entusiasmo, la passione civile, lo spirito, la visione del mondo e la capacità aggregativa sviluppatasi cinque anni fa, in concomitanza con la vittoriosa battaglia referendaria che permise, in giugno, di smantellare la privatizzazione dell’acqua, il ricorso all’energia nucleare e il legittimo impedimento per le alte cariche dello Stato, quel carico di innovazione e di felicità democratica autentica si è perso strada facendo, annegando nel montismo, nella rielezione di Napolitano, nel larghintesismo forzato e distruttivo di identità, contesti e tradizioni culturali e, infine, nel renzismo che altro non è che la sublimazione di un percorso che va avanti ormai da cinque anni, se non da prima.

Avrebbero dovuto capire che non era il caso di partecipare al trionfo annunciato del candidato di Palazzo Chigi, che sarebbe stato meglio convincere almeno Majorino a candidarsi con una sinistra degna di questo nome, uscendo dal PD e seguendo le sue idee anziché una prospettiva senza sbocco, avrebbero dovuto risparmiare a Francesca Balzani quest’umiliazione, da lei ben sottolineata con la frase: “C’è chi ha dietro Verdini e chi ha dietro Giuliano Pisapia”, e si sarebbero dovuti spendere per costruire una coalizione di centrosinistra ampia e civica da contrapporre al conservatorismo restauratore imperante nell’attuale fase politica.

Avrebbero dovuto conservare una lucidità d’analisi che, purtroppo, non hanno avuto, come non ce l’hanno avuta i 5 Stelle, puntando su una figura oggettivamente inadatta, sulla quale loro stessi nutrono più di un dubbio, la quale rischia di prendere assai meno voti di quanti non ne prenderà il movimento in sé, favorendo al contempo un aumento esponenziale dell’astensione.

E adesso? Ormai l’hanno capito tutti che il centrosinistra non esiste più, che il PD è solo una sigla dalla quale stanno progressivamente distaccandosi iscritti e militanti storici indignati, che una scissione sarà inevitabile, tanto che ne parlano espressamente persino alcuni autorevoli esponenti della minoranza, e che una prospettiva ulivista potrà rinascere solo in netta e tangibile contrapposizione con un partito che, di fatto, è diventato un comitato elettorale e ha imbarcato il fior fiore del berlusconismo in fuga dalla destra salvinizzata e, dunque, priva di qualunque  prospettiva di governo.

Bisognerà far sedere intorno a un tavolo la Balzani e Majorino e dire loro, citando Lincoln, che non possono “prendere in giro tutto il mondo per sempre”, schierandosi a sostegno di un candidato che non sentono vicino e, probabilmente, non stimano nemmeno. Bisognerà chiedere cortesemente alla minoranza dem di non compiere un’altra figuraccia come quella dello scorso anno in Liguria, con Bersani che abbracciava la Paita con lo stesso entusiasmo di un tifoso italiano dopo l’errore di Baggio dal dischetto nella finale dei Mondiali del ’94. Bisognerà far loro presente che il futuro di Renzi si decide al referendum, quindi sarà il caso di schierarsi apertamente sul fronte del NO, anche e soprattutto in difesa della Costituzione, del suo spirito e dei suoi princìpi cardine, e che rafforzarlo con i propri voti, per giunta a sostegno di candidati del tutto estranei alla nostra storia e ai nostri valori, non è affatto una buona idea. Bisognerà tentare di spiegare a Civati e al gruppo di Possibile che è sacrosanto chiedere a gran voce di non stringere nessuna alleanza con il PD ma che le pratiche eremitiche sono altrettanto sbagliate e che rifiutare ogni forma di dialogo, compresa quella con Sinistra Italiana, è un suicidio. Bisognerà individuare un candidato in grado di tenere insieme, con un progetto ispirato proprio alla coalizione arancione e civica del 2011, Sinistra Italiana, Possibile, la minoranza dem (almeno a livello di elettori) e quanti fra gli stellini non voterebbero mai la Bedori e cominciano a sentirsi delusi da un’esperienza politica che, in occasione della legge sulle unioni civili, ha mostrato ampiamente la propria fragilità e la propria scarsa propensione a far maturare al suo interno una sana cultura di governo. Bisognerà dar vita, insomma, a un ulivismo maturo e sincero, proiettato verso il futuro, che riparta dalle periferie, dai quartieri difficili e anche dall’innovazione, dalla moda, dallo sport e dalla caratura internazionale di una metropoli essenziale nel tessuto industriale nazionale per contrapporre al salvinismo e al renzi-verdinismo una Coalizione civica volta al bene comune e alla difesa di quanto di buono è stato prodotto in questi anni.

Perché il centrosinistra come lo conoscevamo nel 2011, prima del montismo e dalla deriva che ne è seguita, non esiste più ma non è detto che non possa rinascere, con nuovi interpreti e la capacità di tenere insieme radicalità e innovazione, cultura di governo e ascolto di quanto di buono e di interessante si muove nel grembo della società. Non è detto, in pratica, che non si possa ripartire, lasciando da parte i mugugni e le recriminazioni, la rabbia per ciò che è stato e il rammarico per ciò che avrebbe dovuto essere e invece è andato nella direzione esattamente opposta.

In caso contrario, a Milano come (temo) nel resto d’Italia avremo un grillismo senza prospettive (eccetto la bravissima Chiara Appendino a Torino), una sinistra la cui unica soddisfazione potrebbe essere quella di produrre un effetto Liguria, facendo perdere Sala in favore di una sua fotocopia candidata dall’altra destra, e l’affermazione, alla guida del Paese e delle sue principali città, di una visione del mondo e di un’idea della politica e dello stare insieme che più lontana dalla nostra non si potrebbe.

Non dico di scordarci il passato o di non attribuirgli alcun peso, in positivo e in negativo, ma perché non provarci nemmeno e rassegnarci a questa deriva destroide senza contrapporre alcun argine?

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