Boccia: D’Amato, Montezemolo, Marcegaglia o Squinzi?

ROMA – Che Vincenzo Boccia, nuovo presidente di Confindustria, si sia presentato al Paese indossando i panni del perfetto renziano non sorprende affatto. Da che mondo è mondo, infatti, l’universo di viale dell’Astronomia è filo-governativo: in parte per convinzione, in parte per convenienza, in parte per tradizione e per consolidata abitudine. 

Tuttavia, c’è modo e modo di schierarsi dalla parte del governo e, a tal proposito, i quattro predecessori di Boccia indicano altrettante vie che è opportuno analizzare per tentare di comprendere che presidente sarà quest’imprenditore salernitano impegnato nel ramo della tipografia.

Il metodo D’Amato: piena sintonia col governo

Ve lo ricordate Berlusconi a Parma? Era il 24 marzo 2001, in piena campagna elettorale, e, di fronte a una nutrita platea di imprenditori, il candidato premier del centrodestra esclamò: “Il vostro programma è il mio programma!”, ricevendo un fiume di applausi e lasciando intendere, senza ombra di dubbio, da che parte pendesse il consenso del mondo confindustriale. A officiare, negli anni d’oro del berlusconismo arrembante, c’era Antonio D’Amato: napoletano, classe 1957, patron di Finseda, il gruppo industriale fondato dal padre Salvatore e impegnato nel settore del packaging (lo stesso dal quale proviene il bolognese Alberto Vacchi, sfidante di Boccia nella corsa alla guida di Confindustria), nonché, almeno in quegli anni, berlusconiano di ferro. 

Non a caso, alcune voci maligne sostengono che Boccia potrebbe costituire per Renzi ciò che D’Amato costituì per Berlusconi: un alleato prezioso, un sostenitore fidato, un punto di riferimento e un amico sul quale poter contare nei momenti più difficili. A far propendere verso questa ipotesi è stato, ad esempio, il sostegno senza remore che il neo-presidente ha assicurato alla riforma costituzionale cui Renzi ha legato addirittura la propria permanenza in politica. Sarebbe, tuttavia, profondamente sbagliato immaginare una Confindustria al servizio del governo: Confindustria pensa a sé, mantiene e manterrà sempre la propria autonomia dalla politica e sarà filo-governativa per questioni di DNA, senza per questo rinunciare alla propria visione del mondo e alla propria libertà di giudizio.

“No partisan, non bipartian. Equidistante dai partiti ma non dalla politica” ha asserito Boccia, sottindendo: renziani sì ma non acritici. Il sostegno sulle riforme, dunque, letto con le lenti in dotazione dalle parti di viale dell’Astronomia, può essere declinato così: caro Renzi, noi abbiamo deciso di scommettere su di te, anche perché in giro non vediamo ancora alternative credibili e, per quanto Di Maio si sia presentato all’Auditorium Parco della Musica vestito di tutto punto, del suo Movimento non ci fidiamo fino in fondo; fatto sta che dopo averti appoggiato al plebiscito d’autunno, o metti in campo politiche in grado di far ripartire la crescita e lo sviluppo, la smetti di raccontare che “tutto va ben madama la marchesa”, ti rimbocchi le maniche e sostituisci con un po’ di serietà la narrazione dei cieli azzurri, del sole in tasca e dell’ottimismo obbligatorio oppure ci faremo sentire con il dovuto vigore.

Un damatismo contenuto, quindi, in quanto la crisi economica tuttora in corso e la non provenienza del premier dal ramo industriale non consentono a Boccia di farsi vedere eccessivamente entusiasta, cosciente com’è del fatto che fra i suoi colleghi i dubbi sull’operato dell’esecutivo sono numerosi e che lo stesso Sole 24 Ore manifesta da tempo parecchie perplessità su alcune decisioni che sembrano dettate da un eccesso di populismo e di attenzione al consenso popolare immediato da sfruttare in vista delle prossime scadenze elettorali.

Il metodo Montezemolo: una coraggiosa autonomia

Per comprendere lo stile con cui Montezemolo ha guidato Confindustria, basti pensare al direttore che scelse per la guida del Sole 24 Ore: Ferruccio de Bortoli, un liberale a tutto tondo, uno degli ultimi giornalisti gelosi della propria autonomia editoriale e uno massimi sostenitori della dottrina Biagi, secondo la quale “l’uomo è amico di chi vuole, il giornalista non è amico di nessuno”.

Un governismo cauto, dunque, dovuto anche al fatto che la sua presidenza coincise con l’avvicendamento a Palazzo Chigi fra Prodi e Berlusconi, segnato, come ricorderete, da un memorabile screzio pre-elettorale, a Vicenza, fra quest’ultimo e Diego Della Valle, intenzionato a sostenere l’Unione poiché deluso dai fallimenti dell’esecutivo di centrodestra.

Tuttavia, fin dall’inizio, la presidenza Montezemolo si caratterizzò per la sua rivendicazione di piena autonomia dal governo, a cominciare dalla richiesta di politiche più incisive per lo sviluppo industriale nel Mezzogiorno nei mesi in cui nell’esecutivo andava approfondendosi il solco tra l’asse a trazione nordista Berlusconi-Bossi-Tremonti e l’asse a trazione destra moderata, centrista e attenta agli interessi dell’intero Paese fra Casini e Fini.

Non a caso, nel luglio del 2004, fu proprio Tremonti a fare le spese di queste crescenti frizioni, acuite dalla battuta d’arresto dell’allora Casa delle Libertà alle Europee, con la sostituzione del ministro dell’Economia più gradito a Bossi con il sobrio Domenico Siniscalco.

E a lasciare intendere che in Boccia c’è anche un tasso di montezemolismo, sta questa frase che ha tutta l’aria di una stoccata al premier: nessuno, “a partire da me”, può “rivendicare il monopolio del cambiamento, perché il cambiamento si realizza e non si dichiara. Dobbiamo sentirci di fare parte di una società aperta che accoglie idee e proposte. Chi pensa di poter fare da solo, di avere l’unica patente del cambiamento, commette un grave errore, diventa il peggior nemico di se stesso, si isola e non contribuisce al cambiamento”.

E considerando che Montezemolo è stato fra i principali sponsor del suo sfidante e che inizialmente accolse tutt’altro che con piacere la sua nomina, diciamo che questa frecciata indiretta a Renzi si può leggere anche come un implicito messaggio al presidente dell’Alitalia: guarda che ho la schiena dritta e, se necessario, so farmi sentire a dovere.

Il metodo Marcegaglia: a metà fra D’Amato e Montezemolo

Se dovessimo individuare la figura più simile a quella di Boccia, probabilmente indicheremmo Emma Marcegaglia. 

Tendenzialmente berlusconiana nei primi tempi, la rampolla del Gruppo Marcegaglia è divenuta, via via, sempre più critica, sino a schierarsi apertamente contro il governo nei mesi conclusivi di un’esperienza che, sul finire del 2011, era diventata una vera e propria agonia.

Nel momento in cui bollò come “insufficiente” l’operato del governo, si parlò di lei addirittura come la possibile leader del Terzo polo (Casini, Fini, Rutelli e Tabacci), prima dell’esperienza montiana e della nascita di Scelta Civica in vista delle elezioni del 2013.

Diciamo che il principale sponsor di Boccia, attualmente presidente dell’ENI, potrebbe trasformarsi anche nel suo modello d’ispirazione, specie se il governo Renzi dovesse cominciare ad accusare qualche defaillance e se i dati deludenti su fatturato e ordinativi dell’industria pubblicati in questi giorni dall’ISTAT non dovessero migliorare nei prossimi mesi. In quel caso, è probabile che anche il renzismo di Boccia cominci seriamente a vacillare.

Una Confindustria amica ma non asservita: questo sembra essere il suo piano, il quale si concretizzerà a partire dall’anno prossimo, magari dopo le elezioni, quando gli industriali presenteranno il conto del loro sostegno alle riforme.

E se invece dovesse vincere il NO? In quel caso, Confindustria andrebbe incontro a una clamorosa sconfessione della propria linea, il che ci induce a riflettere sul fatto che, con ogni probabilità, il cauto Montezemolo avrebbe optato per una linea più morbida e meno schierata, evitando di esporsi così platealmente. Fatto sta che, in caso di cambio dell’inquilino di Palazzo Chigi, superato il governo di transizione, il nostro potrebbe trovarsi a fare i conti con una riedizione dell’Ulivo (nel qual caso, non è difficile ipotizzare un riallineamento di viale dell’Astronomia su posizioni prodiane) o con l’incognita di un governo a 5 Stelle. In quel caso, potremmo vederne di tutti i colori, anche se l’attenzione dei parlamentari stellini alle piccole e medie imprese e al tema del microcredito, senza dubbio, li rende interlocutori interessanti per un mondo sempre alla ricerca di sintonie politiche.

Il metodo Squinzi: la battaglia contro l’austerità 

“Vado a concludere un’esperienza straordinaria, con tanti momenti bellissimi, in cui ho conosciuto un’Italia fatta di imprese di cui dobbiamo essere orgogliosi”. E ancora: “La crisi economica ha colpito duramente lasciando ferite profonde non del tutto risanate. L’Europa ha mostrato tutta la fragilità del suo impianto politico, abbiamo perso per strada imprese, lavoro, volumi produttivi. Un capitale sociale difficile da ricostruire”. Sono solo due dei passaggi che Giorgio Squinzi ha regalato all’assemblea privata di Confindustria; tuttavia, come c’era da aspettarsi, le sue considerazioni sono state le più applaudite e anche quelle destinate a lasciare maggiormente il segno, visto che Boccia, nel suo discorso d’esordio, non ha fatto altro che elogiare l’azione del governo in Europa per tentare di spezzare le catene dell’austerità.

Non a caso, ancora Squinzi ha asserito: “L’industria italiana ha attraversato con coraggio e determinazione questa fase così travagliata ed oggi è viva e vivace. Noi imprenditori siamo tosti. Lo dico con orgoglio: siamo la seconda manifattura europea, i risultati dell’export sono buoni, ci sono segnali che gli investimenti si stanno riprendendo, continuiamo ad essere leader globali in molte classi di prodotto”.

Orgoglio confindustriale, dunque, e visione europea, sguardo ampio sul mondo, attenzione ai fenomeni globali e pensiero rivolto al G7 in corso in Giappone, nella speranza che i grandi della Terra comprendano la necessità di un cambio di passo sul versante della crescita e dello sviluppo economico.

Piena sintonia fra Squinzi e Boccia anche sul discorso dell’aumento dei salari in cambio della produttività e sulla necessità di rilanciare la domanda aggregata, chiedendo, come contropartita, il progressivo accantonamento della contrattazione nazionale a vantaggio della contrattazione aziendale. Una condizione irricevibile per i sindacati, dalla quale traiamo l’indicazione che i rapporti fra viale dell’Astronomia e CGIL, CISL e UIL non saranno certo idilliaci. 

E qui si coglie, in conclusione, un altro aspetto tipico del renzismo bocciano, e prima di lui squinziano, ossia il tentativo di instaurare un dialogo proficuo con il grande assente dalla nuova Confindustria: quel Sergio Marchionne che ha rotto i rapporti con l’organizzazione e si è messo in proprio, fornendo di sé l’immagine di un manager internazionale alla guida di un’azienda che ormai considera l’Italia uno dei suoi tanti mercati ma non certo il principale.

Boccia sa che se vuole contare davvero qualcosa nel dibattito pubblico deve sedersi al tavolo con l’uomo in maglione e sperare che quest’ultimo riferisca all’inquilino di Palazzo Chigi che il nuovo presidente è un tipo con il quale vale la pena di intrattenere un dialogo. Almeno finché c’è Renzi, poi chissà…

 

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