Vo(l)to di donna. L’arte rivoluzione del cambiamento per l’emancipazione femminile

La rivoluzione è l’armonia della forma e del colore e tutto esiste, e si muove, sotto una sola legge: la vita”. In questa frase di Frida Kahlo, la grandissima pittrice messicana del Novecento, c’è la sintesi di quanto è avvenuto nel secolo scorso.

L’ingresso delle donne nel campo dell’arte, e in particolare della pittura -ambito gelosamente riservato al genere maschile-, rompendo rigidità e consuetudini consolidate nei secoli, ha fatto irrompere sulle tele e sui fogli da disegno, sui marmi, nelle fotografe, nelle perfomances e, più recenetemente, attraverso le tecnologie digitali, lo spessore e la complesstà della vita. Questa “rivoluzione” è un radicale cambiamento di punto di vista. Non c’è più la storia, con le sue guerre, i suoi eventi da raccontare; non c’è più la natura, coi suoi paesaggi agresti o urbani da rappresentare; non ci sono più i santi e gli angeli da celebrare. Irrompe l’io, la persona, la dimensione interiore: e anche la guerra, o oggi la migrazione, la natura, la religione sono visti dal punto di vista della soggettività interiore.

Oggi, sedici anni dopo l’inizio del nuovo secolo, l’arte è molto profondamente segnata dal “genere”.  Alcuni  dati potrebbero addirittura far pensare a una parità ormai raggiunta: nelle scuole d’arte il numero delle studentesse ha superato quello degli allievi maschi. Alcune statistiche, realizzzate sulla base di parametri complessi,  mostrano come in tutto l’Occidente le donne artiste avanzano sia sul fronte del riconoscimento critico sia su quello, comunque più difficile, del riconoscimento economico. Bisogna tuttavia dire che il processo è ancora in una fase inziale. Nel mercato dell’arte e, soprattutto, in sede d’asta, com’è stato osservato, le artiste donne non hanno ancora totalizzato alcun record di categoria. Come ricorda la studiosa Angela Vettese, dagli anni Ottanta c’è stata per ciascun movimento artistico di successo solo una donna che possa essere definita token artist, cioè che sia stata presa in considerazione anche in termini legati all’economia dell’arte.

Frequentando Casa Buonarroti, a Firenze, e collaborando insieme a Vittorio Faustini con questa istituzione nell’opera di salvaguardia e di valorizzazione del patrimonio michelangiolesco lì custodito, abbiamo sempre sentito su di noi lo sguardo profondo e originale di Artemisia Gentileschi. Della prima grande artista seicentesca -di cui il pronipote del Buonarroti, Michelangelo il Giovane, era un appassionato, e a cui è dedicata una splendida mostra aperta in questi giorni al Museo di Roma- c’era ancora in me fresca la memoria di come, dagli anni settanta del secolo scorso, Artemisia fosse divenuta simbolo del femminismo e delle lotte di liberazione delle donne: a causa prima di tutto del processo di stupro da lei intentato contro il pittore Agostino Tassi. Simbolo straordinario di indipendenza, di libertà  e di coraggio.

Di quella stagione di lotte sono figlie le “Guerrilla Girls” -movimento di artiste nato negli USA nel 1985 per contestare il carattere fortemente “maschile” dei musei-. Il loro marchio di fabbrica è stato una domanda: “Le donne devono essere nude per entrare nei musei?” L‘85% dei nudi presenti nei musei, dicevano le Guerrilla Girls, nelle sezioni di arte contemporanea, è femminile, ma meno del 5% di chi espone in questi spazi è donna.

Le cose vent’anni dopo sono cambiate. Basti pensare al fatto che nel 2005per la prima volta la Biennale di Venezia ha presentato due mostre curate da donne, le spagnole Rosa Martínez e María de Corral. 

Se nel mondo della creazione artistica stiamo, pur con resistenze, entrando in un’era nuova, in cui l’arte si fa genere, nel campo delle professsioni legate all’arte, ai beni culturali, all’impresa culturale e creativa, il cambiamento è molto più largo. Di recente, le nomine dei nuovi direttori dei grandi musei autonomi hanno registrato questo processo. Si può dire che, con l’avanzare sulla scena del lavoro, delle professioni, dell’impresa, dei diritti del nuovo protagonismo femminile, l’arte -che è sempre vita che si trasforma, che muta, che prende altre e nuove sembianze- diventa donna. Non posso dimenticare, quando, qualche anno fa, venne a trovarmi una straordinaria restauratrice, purtroppo prematuramente scomparsa, che lavorava per il Ministero, per proporre a MetaMorfosi di sostenere un progetto importante. Ho conosciuto allora la sua retribuzione, inferiore ai 1500 euro al mese, Lei che aveva sotto la sua responsabilità -intellettuale e manuale- dei capolavori inestimabili. E tuttavia gll occhi le brillavano, parlando della nuova impresa a cui si accingeva con noi.

Nel campo pubblico, come nel privato, molte di queste professioni culturali, a fronte di un basso valore economico riconosciuto, hanno un inestimabile valore aggiunto. Per la società (penso a quanto stanno facendo in queste settimane coloro che intervengono sul patrimonio artistico danneggiato dai terremoti del Centro Italia. Ma anche per le persone, che trovano una ragione di vita e di impegno. Senza retorica, queste professioni sono vissute come missioni, coinvolgenti, appassionanti.

Fin dalla sua istituzione, voluta da Giovanni Spadolini, il Ministero dei Beni Culturali è stato segnato da una forte e crescente presenza femminile. Storiche dell’arte, architette, archeologhe hanno costruito un sistema che prima non esisteva; molte di loro hanno innovato e sperimentato, prima delle riforme, talvolta pagando di persona. Oggi artiste, restauratrici, decoratrici, architette, storiche dell’arte, designer, manager, organizzatrici culturali  e giornaliste di questo settore oggi segnano in Italia in modo indelebile lo stato dell’arte.

La mostra che oggi inauguriamo ,“Vo(l)to di donna”, nata da un’idea preziosa di Graziella Falconi,  affidata alle cure delicate di Silvia Pegoraro -col concorso originale, per la parte delle “nuove italiane”, di Anna Carla Merone-, e accolta grazie alla sensibilità di Laura Boldrini nella Sala della Regina, racconta come, nel secolo scorso, fin dai suoi albori -segnati dalle prime grandi battaglie di emancipazione femminile- l’arte italiana abbia iniziato proprio un cambiamento di  genere. Stia mutando ancora, impetuosamente nel nuovo secolo, proprio perché, prima di tutto, porta con sé il vissuto delle donne. 

Questa mostra non ha alcuna pretesa di ricostruzione organica dell’arte al femminile, in Itaia,  tra Novecento  e Duemila. E’ semmai stata fatta con un’esplicità volontà, da parte di Silvia Pegoraro, di offrire per “frammenti” un racconto prima di tutto dell’evoluzione del punto di vista maschile -dei grandi artisti italiani  del 900- sull’immagine della  donna, sull’ icona della propria visione dell’universo femminile: da Giovanni Boldini a Umberto Boccioni, da Giorgio de Chirico a Renato Guttuso, da Mimmo Rotella a Franco Angeli; e poi dall’emergere del punto di vista femminile sul proprio universo e sul mondo che cambia, da Nella Marchesini a Paola Levi Montalcini, da Giosetta Fioroni a Pippa Bacca.  Il punto di vista di “nuove italiane”, originarie da tutti i continenti, che hanno scelto di creare in Italia, conclude il percorso espositivo.

Alla mostra si accompagna un ricco apparato storico, curato da Graziella Falcone che racconta, attraverso le immagini fotografiche di donne, la storia della lotta per i diritti, le pari opportunità e la liberazione femminile. 

Voglio ringraziare Livia Turco e Lella Golfo , presidenti di due fondazioni intitolate a due grandissime donne del ‘900, Nilde Iotti e Marisa Bellisario, e Carmine Perito, presidente di Artisticamente, per aver promosso quest’occasione. Dobbiamo ringraziare tutti i prestatori pubblici e privati per aver concorso con grande generosità ai prestiti, pur nel breve tempo a disposizione. E dobbiamo ringraziare le altre istituzioni -come la Regione Lazio e la Banca d’Italia, e nelle ultime ore si è aggiunto il patrocinio di Roma Capitale- e gli sponsor -Enel, prima di tutto, e poi Fondazione Bracco, Listone Giordano, Rotas, Montenovi- per aver accettato la nostra sfida. 

Ci ripromettiamo, sulla base di questa prima esperienza, di far diventare “Vo(l)to di donna” una mostra itinerante, nei prossimi mesi e anni,  nelle scuole e nelle città di tutto il Paese, per dare voce soprattutto alle nuove generazioni di ragazze che intendono fare dell’arte e della cultura la propria scommessa di vita. 

Proprio il terremoto permanente di questi mesi, nel 50° dell’alluvione, ci dice che, al di là dell’emergenza, solo un grande piano di messa in sicurezza del territorio e dei beni culturali, che durerà lo spazio di più generazioni, può diventare col concorso di tutti la prima e più importante grande opera del futuro, in cui quella generazione si può impegnare. 

La memoria torna a quanto donne come Nilde Iotti e Marisa Bellisario hanno dovuto lottare, anche nei loro mondi di riferimento, per affermarsi. Rimane vero,credo, ma ce lo diranno le donne che ora parleranno, quanto Marisa Bellisario scrisse allora negli anni 70: “ Per una donna avere successo è molto  difficile, ma è molto più divertente”.

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