Ricostruiamo insieme una comunità di destino

Ho letto i messaggi e gli appelli all’unità di galantuomini come Prodi e Letta, la loro rabbia, la loro incredulità, il loro sgomento. Li ho letti e non ritengo giusto porre anche a loro la domanda che, invece, ho posto a tanti altri, citando il titolo di uno splendido romanzo di Paolo Di Paolo: “Dove eravate tutti”. Già, dove eravate?

Dov’erano gli intellettuali che oggi si stracciano le vesti e lanciano fior di appelli al fine di evitare la scissione quando, ad esempio, Renzi estrometteva dalla Commissione Affari costituzionali ben dieci esponenti del proprio partito, in quanto contrari all’approvazione di una legge elettorale poi dichiarata incostituzionale dalla Consulta? Dov’erano quando Verdini, di fatto, entrava in maggioranza? Dov’erano quando venivano approvati il Jobs Act, la Buona scuola, lo Sblocca Italia, la riforma della RAI e, soprattutto, la riforma costituzionale che diciannove milioni e rotti di cittadini hanno rispedito al mittente lo scorso 4 dicembre? 

Dove eravate tutti quando Renzi imponeva la seduta fiume alla Camera, nel febbraio del 2015, oppure quando sempre il nostro eroe poneva la fiducia sull’Italicum? 

E perché non avete detto mezza parola contro il profluvio di insulti, umiliazioni, attacchi e aggressioni verbali che abbiamo subito in questi anni? 

Perché, mutuando Pasolini, io so, solo che a differenza dell’intellettuale di origini friulane ho anche le prove. So perché c’ero, so perché ho vissuto questi tre anni in prima persona, so perché certe parole mi bruciano ancora sulla pelle e, ancor di più, mi bruciano sulla pelle i silenzi di quanti si sarebbero dovuti indignare e ribellare a questa deriva inaccettabile e invece hanno taciuto, rendendosi complici di un processo di disarticolazione della sinistra che ha avuto come inevitabile conseguenza una scissione che non corrisponde affatto ad una ripicca ma ad un atto di dignità.

Io so cosa significa perdere amici di lungo corso a causa delle divisioni provocate dalla condotta di un gruppo dirigente che si commenta da solo.

Io so cosa significa non potersi più iscrivere al proprio circolo.

Io so cosa significa sentirsi apolide ed estraneo, anche perché appartengo a quell’ampia schiera di militanti democratici che hanno scelto di non rinnovare la tessera assai prima della presa d’atto di Bersani e Speranza e che, anzi, in questi anni, hanno spesso discusso anche con loro, ritenendo la scissione l’unico sbocco possibile ad una situazione di contrasto interno ormai non più sostenibile. 

Io so cosa si prova nel leggere su tutti i giornali pagine e pagine di esaltazione del sovrano e di derisione di tutti coloro che hanno provato, in ogni modo, ad opporsi alla sua arroganza. 

Io so cosa si prova quando ci si sente dare dei “gufi”, dei “rosiconi”, dei “frenatori”, dei “disfattisti” e ci si vede accusare di voler bloccare il Paese, quando, al contrario, è grazie alla nostra classe dirigente che siamo entrati nell’euro e abbiamo vissuto le migliori stagioni riformiste della storia italiana. 

E tutti i soloni che oggi ritrovano improvvisamente la memoria farebbero bene a tacere e vergognarsi, in quanto questo degrado dei rapporti umani, prima ancora che politici, è soprattutto colpa loro, della loro ignavia, della loro pavidità, del loro servilismo, della loro mancanza di dignità e delle loro analisi a capa d’ombrello, scioccamente convinti com’erano, e come in parte sono tuttora, che la stagione della Terza via, del liberismo selvaggio, delle riforme imposte dall’altro e di un bipolarismo forzoso e prossimo al bipartitismo fosse destinata a durare in eterno.

Hanno avallato tutti gli scempi compiuti dal renzismo nella certezza che sarebbe durato vent’anni: il 4 dicembre hanno perso miseramente e oggi continuano ad impartire lezioni dall’alto di una cattedra che Dio solo sa chi abbia conferito loro. 

Non è il caso di Prodi e Letta, per carità. Conosco poco il Professore ma posso ben immaginare quali sentimenti abbia provato la tragica notte dei centouno. Conosco bene, invece, Enrico Letta e posso garantirvi che quando parla di sgomento per ciò che gli è stato fatto quella barbara sera di tre anni fa è sincero e che la scelta di ritirarsi a Parigi e di ripartire dai giovani sia stata per lui una necessità psicologica prima ancora che una rincorsa politica. 

Non è il loro caso, ma una cosa sento di dirgliela comunque: se compiamo questa scissione è anche per voi, in nome delle idee che abbiamo coltivato insieme negli ultimi vent’anni, di quell’ulivismo di cui il renzismo berlusconiano costituisce l’antitesi, di quei princìpi e di quei valori nei quali ci siamo sempre riconosciuti e per i quali abbiamo combattuto insieme, in Italia e in Europa. 

Noi siamo quelli che hanno votato NO al referendum dicendo chiaramente che sarebbe bastato un noi per difendere la Costituzione, rimettendo il valore della comunità e della collettività al centro del dibattito politico. Siamo convintamente europeisti, sostenitori dell’idea che la globalizzazione vada benissimo a patto che non riguardi solo le merci e i capitali finanziari ma anche, e soprattutto, le persone. Siamo gli eredi della tradizione ulivista, di Ciampi e di Andreatta, e la nostra visione del mondo non ha nulla di retrogrado, come nulla di retrogrado hanno, nel resto del mondo, le agende di sinistra di Schulz, di Corbyn, di Sanders e di Hamon. 

Combattere le disuguaglianze, gli squilibri sociali e le ingiustizie, tornare a parlare alle periferie dimenticate e abbandonate a se stesse che, giustamente, ci hanno voltato le spalle, contrastare la logica dell’uomo solo al comando e un modello elettorale, quello maggioritario, che ha costituito il grande inganno degli ultimi venticinque anni, proporre un’altra idea di Europa, ripartire dal lavoro come presupposto per un’esistenza dignitosa, tendere la mano agli insegnanti umiliati da una pessima riforma escludente e riconnetterci sentimentalmente con un popolo bisognoso di protezione ed assistenza, in quanto ampie fasce del medesimo non riescono più a stare al passo di una crescita e di uno sviluppo disumani e che non vedono più al centro la persona: queste sono solo alcune delle ragioni della nostra scissione, non le date di un congresso-farsa, non i posti e le poltrone e chi nega ciò mente spudoratamente sapendo di mentire, anche perché se c’è qualcuno che ha rinunciato a tutto pur di difendere le proprie idee, quelli siamo noi, a cominciare dal sottoscritto. 

Accettare la sfida del futuro e delle nuove frontiere della tecnologia regolandone, però, gli aspetti che devono essere regolati, pena lo scadimento in pericolose forme di darwinismo sociale. 

Fare delle giovani generazioni costituenti un punto di riferimento della nostra azione politica, cominciando col fugare le frasi fatte e i luoghi comuni che li riguardano e che non meritano assolutamente.

Fare dell’Europa un’ideologia, un orizzonte e una bussola, al fine di riaffermare i princìpi di Rossi, Spinelli e Colorni, in netto contrasto con i dogmi rigoristi dei vari falchi sparsi per il Vecchio Continente, egoisti al punto di minare alla base il progetto stesso di un’Unione politica. 

Infine, cercare di stringere un’alleanza solida e duratura con tutti coloro che, nel mondo, la pensano allo stesso modo e stanno cercando di portare avanti queste sfide nei rispettivi paesi, costituendo un argine necessario alla deriva populista e xenofoba cui assistiamo con crescente preoccupazione e di cui i populismi dall’alto alla Renzi costituiscono, purtroppo, il lievito.

Altro che posti, poltrone e date, altro che manie di protagonismo, altro che visione ristretta, retrograda e passatista! 

Lasciamo che il nostro Napoleone, tornato a Parigi sognando di rivivere gli antichi fasti, vada avanti per la propria strada; lasciamo che si illuda di essere ancora ad Austerlitz quando ormai ha già subito la disfatta in terra di Russia e si prepara a vivere la propria Waterloo; lasciamogli credere che sia ancora il dominus della politica italiana e intanto prepariamoci al domani, ben coscienti del fatto che la traversata del deserto sarà lunga e faticosa ma che senza di essa non ci sarà un avvenire per milioni di persone.

Ricostruiamo insieme una comunità di destino, solidale e accogliente, che abbia nella coerenza e nella lealtà i propri fari, e il resto verrà da sé. E ai promotori degli accorati appelli anti-scissione, rispondiamo con serenità: avreste potuto e dovuto scriverli prima. Adesso è tardi ed è arrivato il momento, anche per voi, di fare i conti con la realtà di un mondo assai diverso dalla nuvola d’ovatta sulla quale vi siete ritirati da anni, nell’assurda illusione di potervi salvare da una disfatta collettiva che, quando è arrivata, come sempre, non ha guardato in faccia a nessuno, colpendo anche voi, le vostre certezze e la vostra fastidiosa prosopopea.

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