Zoff o, più semplicemente, Dino

Che ingenuo Dino Zoff a pensare e scrivere che di lui non rimarrà nulla, che il tempo strapperà via il ricordo e cancellerà la memoria di quella che è stata, al di là di ogni ragionevole dubbio, una leggenda dello sport!

Eppure ciò non accadrà per i suoi record o per i suoi tanti trionfi, per la sua memorabile parata sul finire della partita contro il Brasile, per la Coppa del Mondo alzata verso il cielo di Madrid, per l’unico Europeo conquistato dall’Italia nel ’68, di cui il campione di Mariano del Friuli fu uno dei protagonisti, o per i suoi innumerevoli meriti sportivi, anche in panchina, benché la deriva amorale dell’ultimo trentennio lo abbia privato di alcuni riconoscimenti che pure avrebbe meritato e, soprattutto, della stima umana e professionale che non andrebbe mai negata a nessuno, tanto meno a un simbolo del calcio e del Paese come lui. Accadrà perché Zoff, in fondo, è come una sorta di manuale dell’educazione, della correttezza e dello stile, uno di quei volumi di pregio che, prima o poi, dopo tante letture frivole e prive di alcuno spessore culturale, chiunque avverte il bisogno di spolverare e rileggere, specie ora che una stagione del mondo sembra essersi definitivamente conclusa e che l’apparenza, la fatuità e le effimere bollicine dello Champagne sono costrette a lasciare nuovamente il posto a un minimo di concretezza e di sostanza.

Avevo pensato di parlare di lui come di un condottiero silenzioso, di un monumento mite, di un piccolo, grande eroe del nostro tempo ma poi mi sono detto che al Dino nazionale tutti questi appellativi colmi d’enfasi, tutti questi aggettivi esagerati, spropositati e ricchi di retorica non sono mai piaciuti, in quanto Zoff è un uomo del silenzio e della riflessione intima, un appassionato di pensieri lunghi e sguardi intensi, uno che ha vissuto per una vita fra due pali e ha finito col portarseli dietro anche dopo, se non altro per avere una bussola da seguire, per conservare il suo posto nel mondo, per ribadire il senso di un’esistenza comunque straordinaria e per continuare a dire la sua, in nome di ciò che ha rappresentato e di ciò che tuttora rappresenta.

Dino Zoff, per quanto egli stesso si sia erroneamente convinto del contrario, non è passato e non passerà mai di moda, così come non passeranno mai di moda Scirea, Bearzot e Valcareggi o Cesare Maldini, un altro friulano che ha scritto pagine memorabili della storia del calcio e del quale oggi avvertiamo più che mai la mancanza. E non passeranno di moda in quanto Zoff, al pari degli altri esempi citati, non vive nelle cronache scialbe dei giornali, nei commenti sbagliati, nelle esagerazioni, negli slogan, nelle luci della ribalta e nei fiumi di denaro che hanno avvelenato uno sport tanto nobile; Zoff vive negli occhi di ogni bambino che, all’oratorio o su un campetto brullo di periferia, si mette in porta e inizia a volare da una parte all’altra, riempiendosi il viso di terra e di fango e immaginando che quei pali fatti con i giubbotti dei suoi compagni di squadra siano i legni di San Siro. Dino Zoff vive nel cuore di chiunque non abbia rinunciato a sognare, di chiunque coltivi l’arte della memoria e del ricordo, di chiunque non si arrenda alla barbarie della società contemporanea, di chiunque preferisca uno sguardo o un sorriso a tante inutili parole, di chiunque abbia un minimo di senso della responsabilità, dell’etica e del dovere, di chiunque creda nel valore del lavoro, del sacrificio e della dignità umana.

Zoff, o più semplicemente Dino, compie oggi 75 anni e a lui vanno i nostri migliori auguri, ripensando a quest’avventura umana e sportiva partita oltre mezzo secolo fa da quelle aspre e sorprendenti terre friulane e giunta in cima al mondo, mantenendo sempre il gusto di una sobrietà della quale purtroppo si è persa ogni traccia in questo tempo smodato e caratterizzato dall’affermazione di troppi personaggi senza merito e senza alcun senso del limite e della misura.

Si potrebbe spendere ancora una miriade di parole su quest’uomo che oggi accompagna i nipoti al parco giochi, circondato dalla stima e dall’affetto di tante persone normali che, a differenza di un ambiente che si è ribellato alla sua purezza d’animo, di fatto espellendolo, si riconoscono invece in questa figura che ha vissuto e continua a vivere secondo princìpi antichi, apprezzando la fatica, l’impegno e la dedizione di coloro cui non pesa affatto comportarsi come si deve; si potrebbe, ma sono certo che Dino preferirebbe di gran lunga immergersi in un silenzioso amarcord.

Quando penso a Zoff, infatti, mi torna in mente quella riflessione di Borges secondo cui ogni volta che un bambino inizia a prendere a calci un pallone, lì ricomincia la storia del calcio. E penso a Dino non come alla leggenda che tutti conosciamo ma come al bambino pieno di sogni che parava le prugne lanciate da nonna Adelaide o si cimentava sui campetti del suo paese, prima che arrivassero la Serie A, la Nazionale, la celebrità, i trionfi.

Perché, in fondo, ha ragione lui: dura solo un attimo, la gloria. Poi restano gli uomini, ciò che valgono e ciò che sono riusciti a seminare in tanti anni di onorato servizio. E Zoff appartiene a quella categoria di uomini dei quali, prima o poi, persino chi non li sopporta o li ha sempre contrastati torna ad avvertire il bisogno, per il semplice motivo che certi valori sono universali e non sostituibili con le fabule rottamatorie che tante illusioni hanno saputo suscitare e altrettanti danni hanno arrecato al calcio e a questo pianeta.

Buon compleanno, Dino, e ancora lunga vita!

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