Alfredo Reichlin, l’ultimo berlingueriano

Ora che il viaggio si è concluso per sempre e il partigiano Reichlin ci ha lasciato, ci vien voglia di immaginare che, in realtà, si sia solo spostato un po’ più in là, alla ricerca di nuovi ideali, di nuove passioni civili, di nuove speranze da coltivare e di nuove emozioni da vivere e condividere con quella vasta comunità della sinistra che è stata, in fondo, la sua stessa vita. 

Molti autorevoli commentatori, in queste ore, stanno scrivendo che se ne sia andato l’ultimo comunista: non è così. Il comunismo italiano, benché fosse una chiesa tendente al monolitismo, aveva molteplici sfumature e di comunisti ed ex comunisti, per fortuna, ne sono rimasti andora diversi. 

Diciamo, invece, che se ne è andato l’ultimo dei berlingueriani, visto che D’Alema era, all’epoca, troppo giovane per essere collocato con tanto vigore all’interno di un’area di cui pure ha fatto parte e in cui ha ricoperto ruoli importantissimi.

Tuttavia, il vero grande collaboratore del più amato e rimpianto fra i segretari del PCI era proprio Reichlin, ultimo custode rimasto di una storia che, più ci allontaniamo dal Novecento, più si perde, e con essa se ne vanno i suoi riti, le sue memorie, le sue controversie e la sua grandezza. 

Alfredo Reichlin da Barletta, classe 1925, è stato un comunista puro e un esemplare direttore dell’Unità ma, soprattutto, è stato un uomo costantemente alla ricerca di un orizzonte, di una meta, di una ragione esistenziale più alta, impossibile da sublimare nella mera azione politica quotidiana e per la quale riteneva necessario un percorso intellettuale, culturale e di scrittura che lo ha portato, fino all’ultimo, a interrogarsi, a guardarsi intorno e a porsi il problema delle nuove generazioni. 

Berlingueriano con qualche venatura di ingraismo potremmo dire, al punto che pochi giorni fa, ormai malato, ha scritto ancora per chiedere alle nuove generazioni di dirigenti della sinistra di preservare questo patrimonio straordinario ed evitare che andasse perduto, consegnandoci un testamento spirituale di una profondità e di un’intensità difficilmente eguagliabili. 

Leggendolo si capiva che l’autore fosse ormai alle ultime battute, che quest’avventura lunga quasi un secolo volgesse ormai al termine ed era difficile non farsi prendere dall’emozione, specie per chi ha avuto l’onore di conoscerlo e di ascoltarlo da vicino: un conforto nei momento difficili, uno sprone in ogni circostanza, un punto di riferimento quando le cose andavano bene ed era necessario mantenere un minimo di sobrietà e di equilibrio. 

Mi torna in mente un pomeriggio alla Camera, era il luglio del 2014, quando nel corso di una riunione riservata del gruppo più vicino a Bersani per dar vita ad un sito di idee, Reichlin prese la parola e pose al centro del dibattito il tema dei giovani che emigrano, immedesimandosi nel loro dramma, nelle loro angosce, nella loro disperazione e nella loro ansia di riscatto. 

Mi torna in mente questo episodio perché credo che dentro di sé abbinasse la questione giovanile di oggi alla questione meridionale di sempre: due intollerabili forme di esclusione e discriminazione che non poteva e non voleva in alcun modo accettare.

O ancora la volta che telefonò a Speranza per analizzare il voto del 4 dicembre ed indurlo a riflettere sul fatto che al referendum si fosse tornati a votare per classi: un monito inequivocabile sul ruolo e sulla funzione sociale che avrebbe dovuto ricoprire la sinistra nei prossimi anni, al fine di strutturarsi come una forza politica moderna, in grado di stare al passo coi tempi e di far fronte alle terribili e affascinanti sfide del Ventunesimo secolo.

La fine della storia, la fine del mondo ed altre estremizzazioni prive di senso, a metà fra il millenarismo e la pura ridicolaggine, non lo hanno mai sfiorato né, tanto meno, convinto; la lucidità di pensiero e la forza del suo sguardo controcorrente non lo ha mai abbandonato nemmeno per un istante. 

Ci lascia Alfredo Reichlin e ci guardiamo intorno spaesati, alla ricerca di un pensiero solido, di un’idea forte, di un valore autentico o, più semplicemente, di una figura della quale poterci fidare in questa stagione così complessa e difficile. 

E la tristezza ci assale, insieme alla paura, allo sgomento, alla difficoltà e, al contempo, al dovere di andare comunque avanti, come del resto lui per primo ci esortava a fare.

Buon viaggio, compagno Reichlin.

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