Intervista a Lidia Vitale. “La bellezza del somaro”, il buddismo e la Fallaci

ROMA – Lidia Vitale, 38 anni,  volto di fascino intellettuale,   ha all’attivo film importanti come “La meglio gioventù”, “Anche libero va bene”, “Giulia non esce la sera”, “La doppia ora”  sino al recente “La bellezza del somaro”  per la regia di Sergio Castellitto, nel quale è stata salutata dalla stampa come attrice più brava.

La sua casa nel cuore di Trastevere calda, colorata, vissuta, tappezzata di libri,  di foto sue e di Anna Magnani, della quale è la bella copia,  ha   nel soggiorno il gohonzon: pergamena davanti a cui i buddisti recitano,  curano la mente e si esercitano alla felicità.  Lidia racconta con voce serica la sua storia di donna indipendente, che non nasconde le fragilità e le trasforma in fertilizzante.

D. Come è nato il desiderio di fare l’attrice?

L. V.   Da qualche parte c’è sempre stato. Alle elementari partecipavo al doposcuola e nel pomeriggio si faceva teatro. Io ero quasi sempre la protagonista. Un giorno GBR venne per girare  e decise di mettere in scena “Grease”. In quell’occasione sperimentai la prima raccomandazione storica: volevo fare la parte principale, quella di Olivia Newton John, e invece fu affidata alla figlia della maestra,  che si baciava pure il mio fidanzatino delle scuole elementari…  io ho fatto  Betty Rizzo che “ha la pagnotta nel forno”… da qui una carriera di donne “sfrante” dalle situazioni, vedove, ruoli forti…  A quel tempo fu un trauma, oggi capisco quanto questi caratteri siano belli… Il sogno di impersonare Sandy, protagonista di Grease, non si è realizzato ancora ma si realizzerà…

D. Per usare un linguaggio buddista, visto che lo sei, come hai superato questo karma?

L. V. Non lo identifico come negativo il mio karma, anche se all’inizio ho avuto delle circostanze avverse. Di fatto sono difficoltà che incontriamo tutti, quando apriamo le braccia al sogno è inevitabile che degli ostacoli appaiano. Prima di cominciare a fare realmente questo lavoro ci ho messo anni ma è stata la più grande palestra… in riferimento alla pratica buddista,  gli ostacoli  sono stati occasione da trasformare in opportunità… le avversità usate al fine di migliorare sempre, strutturando un forte carattere… per diventare un essere umano più completo.

D. I tuoi sforzi sono stati premiati perché “La bellezza del somaro” è un film importante, tanto più che i giornali hanno scritto che eri l’attrice più brava…

L.V.   Il fatto che il mio lavoro non venisse riconosciuto mi faceva soffrire. Con questo film è iniziata una fase nuova del mio percorso, è finalmente “sbocciato il mio fiore”… anche in questo film mi sembrava che gli altri non riconoscessero il mio valore e ho scoperto invece che ero io a non riconoscere i miei sforzi, le mie qualità… una grande offesa che stavo facendo alla mia vita –  senza arroganza, senza falsa modestia – quella di essere io  la prima a non dare valore a ciò che costantemente creavo…

D. Ne “La bellezza del somaro” hai interpretato Delfina, una giornalista inviata di guerra. Cosa ha contribuito al fatto, da tutti riconosciuto,  che ti calassi così bene nella parte?

L.V.  Io lavoro sui personaggi attraverso due aspetti fondamentali: uno è il bisogno primario, quella parte di noi che si forma tra zero e quattro anni, quella che spesso viene bloccata, spaventata dalla mancanza dell’amore o da altri problemi… la parte più profonda di ciascuno… poi lavoro sulla persona pubblica, cioè su quello che il personaggio fa affinché gli altri non vedano questo bisogno, cosa che nel 99% delle volte porta  a non soddisfare mai tali esigenze…  riguardo a Delfina la cosa che ho sentito di più era il bisogno di essere accettata… dai genitori, dalle amiche… poi la facciata pubblica di questa “stronza”  che in qualche modo “ti mette il culo in faccia”…  mi sono affidata alle letture di Oriana Fallaci, ho scelto lei come giornalista di riferimento, ho studiato i suoi tratti umani…  Oriana Fallaci mi ha dato la possibilità di caratterizzare   Delfina in maniera umana.

D. Tu sei più giovane e più carina di Oriana Fallaci, ai tempi della fama… però i tuoi tratti somatici ricordano questa grande figura  di donna. Ti piacerebbe interpretarla?

L. V. Sarebbe un grande onore. Io sono amante delle biografie, ne ho lette tantissime. Il desiderio più sentito come attrice  è interpretare persone realmente vissute… sarebbe una bella sfida calarmi nel ruolo della Fallaci, personaggio che ammiro moltissimo.

D. Di nuovo una figura femminile con grinta e interiorità. Quali problemi può incontrare in questa società un’attrice che ha un forte lato maschile ?

L.V   Io cerco intanto di bilanciare in me questi due aspetti, ritengo che il lato femminile e  maschile   vadano assolutamente bilanciati. Sicuramente la vita mi ha dotato di un aspetto maschile molto forte – non è un caso che io costruisca e smonti mobili, faccia l’elettricista e l’idraulico – il mio lato maschile è la prima cosa che da all’occhio; quello femminile, molto fragile, si fa più fatica a percepirlo… con il tempo sto imparando a manifestare il mio lato femminile.  A volte un lato maschile forte crea qualche ostacolo, sicuramente una forma femminile di seduzione è meno presente…  di fatto solamente una forma più timida…

D. Più donna oggetto?

L.V.   Un femminile più manifesto non è affatto sinonimo di donna oggetto. Non mi riconosco in questa classificazione. Semplicemente sono alla ricerca di un equilibrio.

D. Tu hai scelto una strada impervia ma di spessore, prevedibilmente anche più lunga. Il buddismo in questo ti ha aiutato?

L.V.  Il buddismo mi ha aiuta sempre. Mi aiuta soprattutto nei momenti molto bui, specialmente in questo periodo lavorativo nero – l’Italia è specchio della crisi economica globale –  pensiamo al taglio dei fondi al cinema e al teatro… soprattutto in mancanza di prospettive e soldi la pratica mi aiuta tantissimo, mettendo in luce i lati positivi della vita, dandomi una grande energia vitale per affrontare le difficoltà.   L’altro aspetto in cui mi aiuta, al di là di queste circostanze, è quando devo decidere: la pratica mi ha portato a non demonizzare il desiderio ma a usarlo come strumento per realizzare un percorso, a fare delle scelte. Mi porta a vedere cose latenti come manifeste,  a crearmi dentro serenità, a percepire come realizzato ciò che al momento non c’è ancora.  A trarre fuori lati inconsci che hanno bisogno di essere manifestati.   Con la pratica buddista tutto questo succede.

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