Enrico Letta, l’eurottimista critico

Riflessioni sul nuovo libro di Enrico Letta e sul futuro dell’Europa

“Avete presente Enrico Letta?” si domandava esterrefatto Diego Bianchi a “Gazebo”, sotto gli occhi di un non meno stupito Marco Damilano. Entrambi facevano fatica a credere che Letta, al termine della “Andreatta Le ture” tenuta da Amato, avesse davvero accettato di assumere in una foto la posa tipica della Dab Dance, imitando Pogba insieme ai suoi ragazzi. E quando dico i suoi ragazzi, intendo noi, i suoi allievi, i protagonisti della Scuola di Politiche che ha fondato due anni fa, intitolandola proprio ad Andreatta, e che in questi anni si stanno formando per provare a diventare la classe dirigente di domani. 

Una classe dirigente umile e votata all’ascolto, altruista e refrattaria a qualsivoglia forma di populismo o di cedimento alla barbarie contemporanea: questa sono le condizioni essenziali che Letta ci ha posto fin dal primo giorno, oltre alla necessità di trovarci un lavoro per dedicarci alla politica con la massima libertà, apprezzandone la bellezza senza divenirne schiavi. 

E questi sono anche i temi che affronta nel suo nuovo libro: “Contro venti e maree. Idee sull’Italia e sull’Europa”, realizzato grazie a una lunga intervista a cura di Sébastien Maillard, corrispondente da Roma del quotidiano cattolico francese “La Croix”. 

Un’opera avvincente, nata, per ammissione dello stesso autore, all’alba di due giornate drammatiche per l’Occidente: l’alba del 24 giugno 2016, quando la tragedia della Brexit era diventata ormai una realtà, mettendo a repentaglio l’irreversibilità del progetto europeo e facendoci toccare con mano le falle, le pecche e le ingiustizie di una costruzione continentale inadeguata, e l’alba del 9 novembre 2016, quando l’incubo Trump era, a sua volta, diventato realtà, materializzandosi in un’America che aveva preferito l’avventura di un magnate miliardario, le cui idee si stanno ora palesando in tutta la loro inefficacia e pericolosità, piuttosto che affidarsi alla protagonista di una stagione ormai passata e irripetibile, ispiratrice di politiche oggettivamente sbagliate e responsabile, agli occhi di molti, e in particolare dei ceti sociali più deboli, della deriva della sinistra verso un moderatismo volto a soddisfare unicamente le esigenze delle multinazionali e dei ceti sociali più abbienti. 

È di fronte a queste vicende epocali, che hanno colto la maggior parte degli osservatori internazionali totalmente impreparati, che il professor Letta, Dean di Sciences Po, ha deciso di dire la sua, proponendo una serie di ricette per democratizzare la costruzione europea e riavvicinarla ai cittadini, contrastando anche una certa tendenza all’uso strumentale dei referendum, divenuti effettivamente delle clave da brandire contro gli avversari, fino a subire una torsione plebiscitaria che rende pressoché impossibile restare nel merito degli argomenti specifici. 

Un’Europa che Letta osserva dal suo duplice osservatorio italo-francese, seguendo con apprensione la campagna elettorale d’Oltralpe che, per la prima volta, vedrà quasi sicuramente al ballottaggio due esponenti estranei alle famiglie politiche tradizionali, a dimostrazione di quanto sia profonda la crisi della politica e dei suoi attori novecenteschi, purtroppo incapaci di rinnovarsi, di cambiare il metodo di selezione delle proprie classi dirigenti e di sfruttare al meglio la rivoluzione telematica costituita dalla diffusione della rete e dei social network. 

Così, se il Letta di qualche anno fa era un eurottimista convinto, addirittura sostenitore della necessità di “Morire per Maastricht”, in contrasto con il direttore di “Limes”, nonché suo interlocutore abituale, Lucio Caracciolo, il Letta attuale è un eurottimista critico, estremamente preoccupato per ciò che sta avvenendo. 

Le quattro crisi contemporanee (economia, migranti, terrorismo e Brexit), del resto, hanno sconvolto ogni equilibrio, stravolto ogni prospettiva e minato anche le certezze più solide, al punto che ormai si naviga a vista, di incertezza in incertezza, fra mille ansie e tormenti, al cospetto di una globalizzazione iniqua e sregolata, di un’Unione Europea che non è più nel cuore di milioni di persone e di una costruzione tecno-burocratica e centrata unicamente su Bruxelles che trasmette un senso di chiusura, di lontananza dalle esigenze dei singoli paesi nonché l’impressione di una volontà di dominio svincolata da qualsivoglia principio democratico. 

Un Letta, e questo è un aspetto interessante anche ai fini del dibattito interno, assai critico pure nei confronti della definizione di “populisti”, scagliata con ferocia dall’establishment e dai suoi alleati contro chiunque si azzardi a metterne in discussione i dogmi: che sia esso di destra, di sinistra o al di fuori di questi due schieramenti. E dunque sarebbero “populisti” Wilders e la Le Pen, Trump e il M5S, Farage e Frauke Petry, senza rendersi conto di quanto questo puntare il dito, questo inutile e meschino condannare a prescindere, questo escludere e questo montare continuamente in cattedra generi un sentimento di fastidio fra gli elettori, inducendo milioni di cittadini a solidarizzare con compagini che, sia pur nella maniera sbagliata, in alcuni casi sollevano questioni giuste e ineludibili. 

Un Letta moroteo che fa dell’inclusione e della valorizzazione delle diversità la propria bandiera, che invita a comprendere le ragioni dei più deboli, degli ultimi, degli esclusi, di coloro che non frequentano l’università, non partecipano all’Erasmus, non percepiscono nella propria vita i vantaggi apportati dall’Unione Europea e, pertanto, sono più sensibili alle sirene di chi propone quelle che Bauman definiva le “utopie regressive”: il ritorno ad una stagione ideale che se pure è mai esistita, di sicuro non può tornare, essendo mutate le condizioni globali ed essendo questo un mondo in cui i singoli stati europei, da soli, sono destinati ad avere sempre meno potere e possibilità d’azione. 

Senza dimenticare la sfida costituita da Donald Trump: un grosso problema ma anche una straordinaria opportunità per l’Europa di diventare adulta, di crescere, di imparare a difendersi da sola e di dotarsi di forze di sicurezza comunitarie, in grado di cooperare e di contrastare adeguatamente le minacce derivanti da un terrorismo che ormai agisce non solo sotto forma di organizzazioni vaste e armate di tutto punto ma anche di lupi solitari apparentemente inarrestabili, i quali beneficiano della propria imprevedibilità e di modalità d’azione difficili da prevenire se non con un accurato lavoro di intelligence. 

Farà, quindi, fatica a riconoscerlo chi era abituato al Letta istituzionale e figlio di un determinato milieu culturale e politico: raramente mi è capitato di assistere alla trasformazione tanto radicale di una persona, fedele alla propria visione del mondo ma, al contempo, in grado di aggiornarla e di compiere un’autocritica che poche figure nella sua posizione hanno avuto il coraggio di compiere. 

Volendo rimanere seri, si può dire che gli abbia fatto un gran bene il confronto a distanza con papa Francesco: un pontefice in grado di interrogare da vicino l’intero universo cattolico, il pontefice degli ultimi e delle periferie, il pontefice che va a Milano e visita i detenuti di San Vittore, una famiglia musulmana, le persone in difficoltà e, infine, condanna ogni forma di discriminazione e di bullismo, spronando le nuove generazioni a trasformare la pace e il benessere raggiunti anche grazie all’Europa nel propulsore di una modernità più accogliente e all’insegna della riscoperta del valore dell’umanità. 

Volendo essere scherzosi, ma non troppo, si può dire che gli abbia fatto un gran bene il renzismo: libero da vecchi schemi, dalle prudenze cui costringe la politica e da certe necessità diplomatiche, infatti, il professor Letta, da Parigi, ha potuto lavorare su se stesso, comprendendo, per sua stessa ammissione, tante cose che in vent’anni di politica attiva ai massimi livelli non aveva compreso. 

Avete presente Enrico Letta? Se volete capirlo, oggi, dovete osservarlo insieme a noi, come se stessimo assistendo al capolavoro di Roberto Andò in cui un politico tradizionale, con tutti i pregi e i difetti tipici del politico tradizionale, viene sostituito dal suo fratello gemello nel bel mezzo della campagna elettorale e rimonta nei sondaggi con una risalita vertiginosa, frutto della follia creativa, dell’autenticità e della travolgente carica innovativa di quest’ultimo. E sapete come si intitolava questo film? Si intitolava: “Viva la libertà!”.

Avete presente Enrico Letta? Attualmente è un uomo che ha superato la boa dei cinquant’anni, vive, come ripete spesso, del suo lavoro e ha le mani libere, la mente sgombra e, non appaia irridente, una serenità d’animo che ho potuto constatare in più di un’occasione. 

Un docente, un politico ma, soprattutto, una persona che ha capito che per cambiare il Paese e l’Europa bisogna cambiare innanzitutto se stessi: questo ci ha insegnato e questo abbiamo provato a fare. E così, chi cercava un’affermazione personale ha imparato ad apprezzare il valore dell’essere una comunità, chi era esuberante ha imparato a stare in gruppo, chi era timido si è fatto coraggio; di sicuro, nessuno di noi è rimasto com’era prima di quest’avventura, in quanto essa ci ha cambiato nel profondo e reso complessivamente migliori. 

Avete presente Enrico Letta? Beh, se non lo riconoscete e questo libro vi sorprende nell’intimo, vuol dire che ha raggiunto lo scopo che si era prefissato. Viva l’Europa! Viva la libertà.

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