Egitto. Scontri: il popolo sfida il regime e la polizia gli spara contro. Oltre 100 i morti

I due figli del presidente egiziano Hosni Mubarak, Alaa e Jamal, sono arrivati da poco a Londra con le loro famiglie. Lo ha annunciato una fonte della comunita’ egiziana in Gran bretagna alla tv araba ‘al-Jazeera’. Con loro anche Suzanne Mubarak, consorte del presidente egiziano

IL CAIRO – Tra oggi e domani si decide del destino dell’Egitto.

Il Paese mediorientale traballa sotto il colpi della rivolta del popolo egiziano. L’attenzione della comunità internazionale verso il Paese mediorientale, considerato il caposaldo dell’occidente nel mondo arabo, è alta. Tutte le cancellerie monitorano strettamente gli eventi nel Paese dei Faraoni. Il mondo occidentale è preoccupato dall’idea di perdere, a causa della rivoluzione, un valido alleato ed è forte il timore che questo possa essere fortemente destabilizzante nell’area del bacino del Mediterraneo. In Egitto il livello di allerta sicurezza è al massimo. La sommossa del popolo egiziano è ormai al suo quinto giorno di proteste. Sono almeno 100 le persone uccise, almeno 50 solo ieri, e migliaia quelle rimaste ferite. E’ questo il tragico bilancio, ancora provvisorio, di quattro giorni di manifestazioni anti governative con cui si chiede al presidente egiziano, Hosni Mubarak di lasciare il potere che detiene dal 1981. Proteste che continueranno finche il regime non cadrà. I morti accertati sono 23 ad Alessandria, almeno 17 a Suez e altri 30 al Cairo, tra cui due bambini, e 5 nella città egiziana di Damanhur, a nord del Cairo. Molti dei feriti sono gravi e si teme per la loro vita.

La conferma è arrivata dalle autorità sanitarie di queste città. Anche se sta usando una violenza inaudita, per reprimere i manifestanti, la polizia appare però, fortemente in difficoltà a contenere i manifestanti e alla fine, nelle  strade, sono scesi i blindati dell’esercito che ora presidiano i palazzi del potere e le sedi istituzionali e della Tv di Stato. Ieri è stato imposto anche il coprifuoco dalle 18 alle 7 al Cairo, a Suez e ad Alessandra d’Egitto, le tre città teatro degli scontri più violenti. Coprifuoco che oggi è stato esteso dalle 16 alle 8. Nonostante tutto ciò anche oggi i manifestanti si sono radunati in piazza Tahrir al Cairo, divenuta l’epicentro di quella che è ormai tutti indicano come la ‘Rivoluzione del 25 gennaio’, il giorno dell’inizio della sommossa. Si stima che i manifestanti siano almeno 50 mila. La piazza è presidiata da poliziotti e soldati con  carri armati. Nella capitale egiziana l’atmosfera è tesa e la polizia ha esploso gas lacrimogeni per allontanare una folla di manifestanti radunatisi davanti dal ministero dell’Interno. Ormai la protesta è anche contro i militari che affiancano la polizia nel presidiare le strade. Ieri erano invece, stati accolti benevolmente dai dimostranti.

 

Oggi una nuova manifestazione anche nella città di Alessandria dove alcune centinaia di persone si sono riunite davanti la moschea ‘al-Ibrahim’, da cui ieri era partito un corteo contro il governo. Sono invece, un centinaio le persone che stanno manifestando nella città egiziana di Suez teatro, nei giorni scorsi, di violenti scontri tra polizia e manifestanti. Violenti scontri sono scoppiati anche nella città di Ismailia, sul canale di Suez, tra le forze dell’ordine e i manifestanti. Di fatto anche oggi si stanno registrando episodi da guerriglia urbana. Questo mentre i rottami, ancora fumanti dei blindati della polizia, distrutti ieri dai manifestanti, sono ancora nelle strade. E’ evidente che i tumulti popolari scoppiati in Egitto sono ormai degenerati in violenza pura dopo che la rabbia del popolo è arrivata al culmine. Da una parte i manifestanti anti governativi, che lanciano slogan e pietre ed incendiano sedi del potere e assaltano stazioni e mezzi della polizia, dandoli al fuoco, e dall’altro militari e poliziotti. Quest’ultimi rispondono con il lancio di gas lacrimogeni e sparando proiettili di gomma. Inizialmente colpi indirizzati in aria, ma poi anche ad altezza d’uomo, seguiti da cariche sulla folla. Nella notte si sono registrati anche saccheggi in centri commerciali di diversi quartieri della capitale egiziana. Il popolo egiziano in questo modo sta anche facendo capire che non ha accolto benevolmente il discorso televisivo tenuto ieri da Mubarak. Un discorso con cui il presidente egiziano ha annunciato l’invio dell’esercito nelle strade, al fianco della polizia, un rimpasto del governo e ha promesso riforme democratiche. Il numero uno egiziano di fatto ha  implicitamente fatto sapere che intende restare al potere nel Paese. Cosa questa che è il contrario del volere del popolo. Q

 

uella di Mubarak è stata una mossa non del tutto inaspettata. Un tentativo già visto nel caso della crisi tunisina. Di fatto un tentativo di cercare di frenare la rivolta popolare in corso nel Paese mediorientale. La promessa di riforme e di un nuovo governo è il classico tentativo dei regimi in difficoltà per cercare di placare gli animi delle masse popolari in fermento. Tutto questo però, non basta più. Le riforme andavano fatte prima, ora al popolo interessa un radicale cambiamento politico e democratico. L’unico modo per ottenerlo è la cacciata di Mubarak e lo scioglimento del partito al potere nel Paese mediorientale, il Partito Democratico Nazionale, PDN, a cui appartiene il presidente egiziano. Il popolo sta dirigendo la sua rabbia anche verso gli esponenti di questo partito, che fanno parte della nomenclatura del regime. Nei giorni scorsi i manifestanti hanno distrutto anche la sede principale al Cairo del Partito. Alle parole del presidente egiziano hanno fatto eco quelle del leader dell’opposizione laica egiziana, Mohammed el Baradei:  “Il presidente Mubarak non ha capito il messaggio del popolo egiziano. Il suo discorso era totalmente deludente, le proteste continueranno con sempre più intensità fino a che il regime non cadrà”.

 

El Baradei è l’ex capo dell’agenzia ONU Aiea e non è a capo di alcun partito, ma è comunque il più credibile degli oppositori di Mubarak. A lui però, fa capo il movimento, l’Associazione Nazionale per il cambiamento, che difende la necessità di riforme democratiche e sociali nel Paese. El Baradei, che è soprattutto seguito dai giovani e dalle classi medie, ha annunciato che: “Scenderò in piazza oggi con i miei colleghi per contribuire a un cambiamento e per dire al presidente Mubarak che deve andarsene. Quando un regime si comporta con tale bassezza e usa gli idranti su uno che ha vinto il Nobel per la pace, vuol dire che è l’inizio della fine e che è ora che se ne vada”. L’ex diplomatico di fatto ha chiesto a Mubarak che annunci le proprie dimissioni, avvii la transizione verso la democrazia, sciolga il Parlamento e indica elezioni democratiche. Un intervento del leader dell’opposizione laica egiziana che arriva dopo che ieri  era stato colpito da un idrante all’uscita dalla Moschea e poi, fermato e costretto a restare in casa mentre nelle piazze il popolo manifestava. Il Premio Nobel per la Pace è il probabile candidato alle presidenziali che si terranno in autunno in Egitto. In merito alla questione egiziana stamani si è espresso anche il presidente americano, Barack Obama che ha affermato. “Gli Stati Uniti sostengono il diritto di libera associazione e la libertà di esprimersi in Egitto, come in tutto il mondo: tutti i governi hanno il dovere di governare sulla base del consenso. Gli Stati Uniti sono a fianco del popolo egiziano”. Anche il segretario generale dell’ONU, Ban Ki-moon ha esortato al pieno rispetto della libertà di espressione e riunione. Il presidente dell’Unione Europea, Herman Van Rompuy, ha invece, rivolto un appello affinchè si fermi la violenza perpetrata nei confronti dei manifestanti in Egitto.

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