David Trezeguet e la Francia bianconera

Con la sua classe purissima e il suo talento cristallino, David Trezeguet non fece altro che rinnovare una tradizione calcistica di altissimo livello, ossia il rapporto privilegiato fra la Francia e i colori bianconeri. E se “Le Roi” Platini è fuori dalla portata di chiunque, e Zidane diciamo pure, è bene ricordare che “Trezegol”, come venne affettuosamente ribattezzato dai tifosi di Madama, venne dopo Deschamps, Combin e Henry e in contemporanea con campioni del calibro di Thuram e Vieira; senza dimenticare, negli anni successivi, Paul Pogba e ora Blaise Matuidi. 

Fatto sta che in Trezegol c’era un qualcosa di magico, di ineguagliabile: quella poesia sublime che solo il gol sa regalare, e lui di reti, da attaccante di razza qual era, se ne intendeva come pochi al mondo. 

Centosettantuno marcature in dieci stagioni: una media impressionante, resa ancor più notevole dagli infortuni che talvolta hanno limitato il rendimento di uno dei cannonieri più forti di sempre, capace di fare spesso la differenza e di regalare alla Juve una messe di vittorie interrotte solo dalla retrocessione in Serie B figlia di Calciopoli. Una retrocessione in seguito alla quale alcuni fuoriclasse, tra cui proprio Thuram e Vieira, scelsero di abbandonare la Vecchia Signora mentre David decise di restare, di affrontare il Purgatorio di una serie inferiore e di tornare in A a suon di gol e di prestazioni straordinarie, giurando amore eterno ad una squadra di cui oggi presiede le “legends”, vecchie glorie sempre amate dai tifosi, e di cui è divenuto una sorta di ambasciatore nonché un simbolo e un punto di riferimento. 

Trezegol, per quanto mi riguarda, è una delle ragioni della mia juventinità, avendone sempre ammirato la correttezza, la puntualità sotto porta, l’umiltà, la dedizione al lavoro e lo stile, perfettamente in linea con i parametri e la storia della Juve. 

Mai falloso, mai sopra le righe, mai irrispettoso, sempre pronto a fare la propria parte e infine di nuovo a casa, con la saggia gratitudine di chi sa di aver ricevuto dai colori bianconeri non solo la possibilità di affermarsi come calciatore ma anche l’opportunità di crescere e maturare come uomo. 

E son quaranta, Roi David: il tempo è passato su di noi, siamo cresciuti insieme, quasi tenendoci per mano, e oggi convivono in me la nostalgia e l’affetto, la dolcezza e qualche inevitabile rimpianto, come sempre accade per le passioni di gioventù di cui, con lo scorrere degli anni, rimane solo la bellezza mentre le amarezze svaniscono, al pari dell’infinita serie di ostacoli che abbiamo dovuto superare per diventare ciò che siamo.

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