Andrea Pirlo: l’ultimo brandello della mia infanzia

Andrea Pirlo dice basta, appende gli scarpini al chiodo e mi fa capire, se ancora ce ne fosse bisogno, che la mia infanzia è definitivamente terminata

È trascorsa una generazione, non solo sportiva, da quella magnifica notte di diciassette anni fa a Bratislava: era il 4 giugno 2000 e l’Under 21 di Tardelli affrontava, nella finale dell’Europeo di categoria, la Repubblica Ceca. Pareggiavamo 1 a 1 quando ecco che, a dieci minuti dalla fine dei tempi regolamentari, Pirlo va a battere un calcio di punizione non lontano dal limite dell’area e il telecronista quasi lo implora di regalarci una delle sue magie; Andrea dà il meglio di sé e la magia prontamente arriva, come tante altre ne sarebbero arrivate negli anni successivi. 

Perché Pirlo era questo: un giocoliere in campo, un sublime regista, un Van Gogh che dipingeva con i piedi, una pennellata dopo l’altra, rendendo grande qualunque squadra abbia avuto l’onore di vederlo indossare la propria maglia.

E non era un’eresia asserire che fosse l’unico centrocampista al mondo che sarebbe stato titolare nel Barcellona dei marziani Xavi ed Iniesta, in quanto di sicuro non avrebbe sfigurato al loro fianco, così come ha rischiarato tante giornate delle rondinelle bresciane, della Milano nerazzurra prima e, soprattutto, di quella rossonere poi, per spigolare infine le ultime glorie nella Juve di Marotta e Paratici desiderosa di rinascere. Senza dimenticare, del resto come potremmo, il suo Mondiale tedesco vissuto da assoluto protagonista, al centro delle geometrie lippiane e perfetto ispiratore di un gioco meno spettacolare rispetto a quello di altre nazionali ma senza dubbio più efficace e concreto. 

Si è trasferito in America per un’ultima avventura: una sgambata che non gli sarà senz’altro servita sul piano della notorietà e dei successi individuali ma che, in compenso, gli ha consentito di concludere la carriera con la sobrietà che ha sempre amato, per la quale si è sempre distinto e che d’ora in poi, in questo calcio isterico e forsennato, ci mancherà più di quanto egli stesso non creda. 

A me mancherà soprattutto quell’ultimo brandello di infanzia e di gioventù che riviveva nella lampada magica di questo Aladino contemporaneo, come se bastasse sfregare quell’oggetto per tornare, almeno per qualche istante, a quei giorni semplici e spensierati. 

Pirlo e la sua punizione contro la Francia nel novembre del ’99, Pirlo e il suo gioiello in Slovacchia, Pirlo e il suo gol contro il Ghana all’esordio dei Mondiali di Germania, Pirlo e il suo assist a Lichtsteiner nel giorno in cui lo Stadium ha aperto ufficialmente i battenti, Pirlo e il bambino che sono stato, con i miei sogni, la mia ingenuità e i miei pomeriggi trascorsi a giocare su un campetto di terra brulla o sul cemento dell’oratorio, Pirlo e quell’indimenticabile sera di luglio trascorsa col cuore in gola, prima che dalla sua lampada uscisse il passaggio decisivo per Grosso che stese i tedeschi padroni di casa e ci proiettò verso la finale di Berlino, Pirlo e il guardarsi allo specchio con tristezza, vedendo un uomo là dove prima vedevo un adolescente. Tutto è trascorso troppo in fretta, tutto è finito troppo presto, tutto è stato domani ma a me quell’emozione di tanti anni fa, solo in cucina, con un braccio rotto e quasi assorto in preghiera davanti al televisore, quell’emozione, dicevo, mi è rimasta dentro, unica e inimitabile, proprio come il genio di questo funambolo che ora si arrende alla crudeltà dell’anagrafe, facendo calare il sipario su una stagione che purtroppo non tornerà più.

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