Berlinguer, te vojo bene! Governo di solidarietà nazionale vs inciucio

Una cosa dovevano fare. L’hanno rimandata. La legge elettorale. Mentre i renziani provano il colpo Mattarellum, il mio Pd volta la faccia per l’ennesima volta ai suoi elettori. E bracetto braccetto con la destra ha deciso di tenersi il Porcellum sperando di riformare prima la Costituzione.

Così mentre i miei coetanei di destra rispondono all’appello di un imprenditore veneto e formano l’Esercito di Silvio, io accetto la sfida di Tonino. Torno indietro al Pci. Se loro si arruolano per la difesa della loro divinità, io scendo al bar con la moleskine. Pronto a prendere appunti.

Noi semo quella razza che non sta troppo bene che di giorno salta i fossi e la sera le cene, lo posso grida’ forte, fino a diventa’ fioco, noi semo quella razza che tromba tanto poco, noi semo quella razza che al cinema si intasa pe’ vede’ donne gnude, e farsi seghe a casa, eppure la natura ci insegna sia sui monti sia a valle, che si po’ nasce bruchi pe’ diventà farfalle, ecco noi semo quella razza che l’è fra le più strane, che bruchi semo nati e bruchi si rimane, quella razza semo noi è inutile fa’ finta, c’ha trombato la miseria e semo rimasti incinta.
(Recitata da Bozzone in “Berlinguer ti voglio bene” scritta da Benigni).

Tonino è in forma oggi:
“Enrico è tanta roba, è il comunista più amato d’Italia. Ce sarà un motivo, no? Si te capita de beccà un servizio ‘n televisione te diranno che è pe’ quello c’ha fatto come politico, ma io sò convinto che quanno la gente t’ama, nun po’ esse solo pe’ na battaglia. E’ perché te sei fatto vedé omo. Enrico veniva dall’aristocrazia, ma era uno di noi. Se percepiva. Inflessibile, serio. Pochi sorisi, mai ‘no sgaro. Tanto preciso. Tutti lo sapevamo che c’aveva pure lui li cazzi sua, i suoi problemi. Ecco, era un politico vero. Un uomo che te dava sicurezza, de cui te fidavi. Però me poi capì, quanno c’hai davanti uno silenzioso, bravo, timido, riservato inizi a fissallo, t’ennamori dei suoi gesti, delle smorfie, interpreti i toni. Nun aspetti artro che faccia inconsapevolmente qualcosa di strano. Ma lui impeccabile. Allora su de lui avemo buttato addosso co’ l’immaginazione paure, ansie, gioie e sogni collettivi. In lui c’avemo visto er massimo e forse er mejo che potevamo esse’. Tutto un popolo ha visto ortre al politico, ha visto l’omo. E jè piaciuto. Un po’ de particolari, dopo vent’anni da segretario te li devo dì. S’è beccato dei fischi a un congresso del Psi, nel 1984. Lui manco mosse un ciglio. Ja rimbarzavano. Stava là pe’ capi se c’erano ancora omini di sinistra in quel partito. Quer partito che c’aveva dentro tanto Pdl. Nun era un La Russa qualunque, che schiaccia i piedi a quelli delle Iene. Nun era uno de quelli che te rompe er tapiro addosso. O che s’arza in studio e t’abbandona solo perché qualcuno ti contesta. Nun so se se sarebbe prestato a sto magn magna televisivo, de sicuro sarebbe stato elegante, senza lascià niente al caso o alla commedia. C’aveva le spalle grandi. C’aveva le palle. Lo sai come è morto? Jè preso un ictus, mentre diceva: Compagni, lavorate tutti, casa per casa, strada per strada, azienda per azienda. Diceva che c’è sempre bisogno di comunismo nella democrazia italiana. E invitava tutti a fare politica. Un maledetto comizio a Padova. Nun ha fatto finta come tanti, stava male, ma nun ha smesso de parlà. Stava sempre peggio, ma lui lì tra la gente a mettece la faccia. Je gridavano: Enrico! Enrico! Basta!, ma niente. Doveva finire. Lo portarono in albergo, entrò in coma, l’ospedale e poi ciao. Ar funerale c’erano un milione d’italiani, c’erano le bandiere rosse. Le lacrime all’occhi. C’era l’amore. Cose così forse solo quanno era morto Togliatti! Fu ‘no spettacolo. Pé noi era un poeta. Le sue poesie i suoi discorsi, belli e brutti, erano opera sua, der suo lavoro, delle sue idee. Nun erano cazzate pe vendete ‘n prodotto”.
Penso a Don Gallo, al suo funerale e mi commuovo anch’io. Poi però:
“Ok, Tonì, questo è l’uomo, ma il politico?”
E il vecchio:
“Aspè… Erano artri tempi, tanto ‘o sò dove voi annà a parà: all’inciucio. Ma prima dell’inciucio devi sapé che Partito c’era, che storia coreva. Sinnò pure io te posso dì che Palmiro se l’era fatta co tutti in nome dell’antifascismo. Peccato che c’aveva l’America che lo controllava e era appena finita la guera. E cazzo, era obbligato a fasse aiutà a ricostruì un Paese. Ad assicurasse che quarche fascistello nun ce se ripiasse”.
Allora ordino la mia birra e chiedo a Tonino di proseguire.
“Eravamo forti, facevamo tremà il mondo. I comunisti più votati d’occidente. Co’ la scomunica sur groppone e coi potenti che ce facevano passà pe delinquenti. Se sarebbe scosso er mondo pe nun facce vince le elezioni. Era ‘na politica meno anglosassone, più italiana. C’era il proporzionale, nun bastava avé i consensi, dovevi fa le alleanze e quelle se potevano fa pure dopo le elezioni. Nun se votava pe schieramenti, non proprio. Noi votavamo pe’ ideologie. Eravamo marxisti e leninisti. Le lotte potevano essé pure su singoli temi, ma sta sicuro che se ce ascortavano, pure poco poco, quarcosa la si cambiava. Noi c’avevamo le nostre risposte su tutto. Nun è come adesso che nun se capisce niente, che non sai se devi esse pe’ l’Imu oppure no, pe’ l’eutanasia o meno. A quei tempi quarsiasi iscritto al partito te poteva risponne. Enrico però cercò de tirà fori il conijo dar cilindro. Cercò de sfonnà un portone, voleva annà al governo”.
Tonino mi spiega che lo fece muovendosi su due livelli, quello della politica estera, il rapporto con la casa madre, l’Urss, e quello interno, il rapporto con la Dc.
“Noi semo sempre stati un po’ atipici come comunisti e a quei tempi era un valore. Eravamo vivi, pensa a Gramsci per esempio. Enrico prese le distanze dall’invasione della Cecoslovacchia e dalle posizioni russe sul comunismo cinese. Ma questo non bastava. Essere comunisti significava esse pe’ la libertà di religione, se non atei, significava esse’ contro la Nato e antiamericano. E’ qui che Enrico provò a formulare un comunismo europeo, indipendente, tanto più originale quanto più digeribile dagli italiani. Sur fronte interno serviva uno slancio, serviva n’occasione. C’hai presente l’amico Grillo? Berlinguer lavorava pe’ ritrovasse nei panni dei Cinque Stelle dopo il voto. Voleva avecce la possibilità de fa le cose. Voleva esse provato pe’ convince tutti che, sì, sto cazzo de Paese poteva votà i comunisti senza paura e che perché no? Poteva e doveva esse la culla de ‘n socialismo equo improntato sui diritti”.
Allora domando:
“Sì, ma l’inciucio c’è stato o nun c’è stato?”
“L’inciucio c’è stato e nun c’è stato. Ner senso che Enrico ce l’aveva detto, era chiaro. Caso mai era la Dc che nun sapeva come dillo ai suoi elettori. Erano loro che nun ce volevano. Sapevano che se ce davano un dito, noi se prendevamo ‘na mano e poi chi lo sa in futuro cosa poteva accadere? Magari crescevamo de consenso. Chi lo sa? E’ per questo che c’era la conventio ad escludendum”.
Non capivo:
“Secondo te l’inciucio non c’è stato perché Berlinguer ve l’aveva detto? E voi come l’avevate presa?”
“Me metti in difficoltà, io prima Enrico non lo amavo. Me sembrava un mezzotraditore. Quer compromesso storico non lo mandavo giù. E fui contento quando nel ’77 gli Indiani Metropolitani e Autonomia Operaia cacciarono Lama dall’Università La Sapienza!”.
Ma allora? Vedo Tonino provato, si è dimenticato della bottiglia. Me lo immagino giovane e lo vedo più simile a me di quanto dica. Lui allora già faceva il falegname. Forse viveva da solo. Avrà avuto più capelli, la barba sempre incolta, ma di sicuro anche lui era in crisi per le posizioni del suo partito.
“Anche tu stavi con la testa dietro ad Enrico e col cuore col movimento?”
“Sì, ma di lì a poco capii che avevo fatto bene a seguire la testa amico mio! Ce stavano in ballo cose più grosse de noi. E non sto a parlà dell’interessi de quarche investirore. Il compromesso storico nasce ner mezzo della strategia della tensione, con le stragi de piazza Fontana, Gioia Tauro, Pateano, della questura di Milano, de Piazza della Loggia e dell’Italicus. Dopo er golpe in Cile, er tentativo golpista italiano di Borghese e l’elezione di Leone alla Presidenza della Repubblica. Avevano acchittato n’intesa che solo a pensacce ancora me fa venì i brividi: Dc-Msi! Finisce dopo er sequestro de Aldo Moro, ma è seguito dalla strage di Bologna e dall’attentato al treno rapido 904. Che cazzo de storie!”

Il cameriere vede Tonino in silenzio, gli porta un bicchiere d’acqua e lui:
“Lascia perdere l’acqua”.
Me la bevo io, poi gli verso il lambrusco e lui va avanti.
“Fatto sta che per come c’era stato presentato non era un inciucio. Era tutto alla luce del sole. Non è male che ci sia una sinistra più a sinistra. Non è male che i giovani siano più radicali degli adulti. Gli anni settanta sò complessi. Sò stati violenti, ma pure bellissimi. Prendevi ‘na chitara e scendevi in piazza. C’era il punk. Non occorreva sapé cantà, bastava volello. Anche i compagni che usavano la violenza lo facevano perché ce credevano. Lo facevano faccia a faccia, prendendo e dando pugni ai fascisti. Pure io l’ho dati! Solo che quarcosa è sfuggito. Da protesta è diventato terrore. Quer compromesso nun stava bene ad alcuni di noi, ma nemmeno a loro. Te lo ripeto, c’è quarcosa de più grosso. Lasciamo sta sto discorso, tornamo a noi. A Berlinguer. L’inciucio non c’è stato perché nel ’76 non votammo la fiducia, ma ci astenemmo. Er discorso è rimandato al governo successivo, nel ’78. Enrico parlava co’ Moro. ‘Na persona seria. Scomparso lui, non c’erano scelte: votammo la fiducia ad Andreotti. Nel ’79 uscimmo dalla maggioranza. Qua se potrebbe parlà di inciucio perché saltò il precedente tavolo degli accordi, c’erano discorsi da ritessé, e perché Giulio era più de destra, ma che dovevi fa? Co’ Moro assassinato dovevi fa andà avanti la baracca. Impuntasse lì significava fa scattà ‘na guera”.
“E tu Tonino, come stavi?”
“Stavo incazzato, ma ce stavo. Nonostante Enrico non ce l’abbia fatta, sò state fatte delle riforme: la legge 180, l’aborto, l’equo canone, il servizio sanitario nazionale. Io lavoravo e sognavo. Continuavo a sognà er futuro perché a fianco c’avevo un sacco de compagni e davanti c’avevo Enrico. Pe me lui restava comunista, de questo nun c’avevo dubbi. Io volevo tanto, c’era chi addirittura voleva la luna, aspettavo quarcosa, ma nun sapevo bene cosa. C’è chi dice che quell’esperienza ha tolto la forza politica agli studenti, agli operai. C’è chi s’è un po’ demotivato. C’è chi dice che la morte del Pci è nata qui. Che avemo iniziato a rincorre l’artri, a svendece come le puttane. Ma io non la penso così. Berlinguer ha costruito un’eredità, mò sta a noi falla fruttà. Se un giorno vinceremo, noi comunisti, sarà merito suo. Io a Berlinguer, lo sai che te dico? Je vojo un sacco bene!”
Guardo Tonino, lui mi fa:
“E te che pensi?”
“Tonino, cosa penso?”
Non rispondo, poi:
“Ti voglio bene”.
Lo abbraccio forte, mi alzo, pago il conto e torno a casa.

Penso che se i miei figli mi chiederanno perché abbiamo inciuciato oggi, non saprei rispondergli.

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