In Italia è vietato parlare di suicidio. Intervista a Alessandro Tartaglia Polcini

Parla il produttore di Suicidio Italia – Storie di estrema dignità, vincitore del Globo d’oro per la regia di Filippo Soldi

ROMA – “Suicidio della crisi”. Una parola da evitare accuratamente. Perché mette angoscia, inquieta e soprattutto può influenzare gli animi più sensibili e soprattutto evocare il folle gesto per emulazione. Insomma, meglio voltarsi dalla parte opposta, fare finta di niente, cambiare argomento e perché no, metterci proprio una pietra sopra.
Lo sa  bene anche chi scrive di questo dramma dilagante, nonostante  la parola suicidio non sia stata mai bandita dal codice deontologico da chi detta le regole dell’informazione.  Eppure di questo fenomeno  che si è imposto alle cronache durante una crisi economica devastante, è meglio parlarne il meno possibile, contrariamente al risultato raggiunto da un documentario uscito appena 6 mesi fa, Suicidio Italia,  vincitore del Globo d’oro 2013 nella sezione documentari, l’ambitissimo premio  cinematografico italiano assegnato ogni anno dai giornalisti della Associazione della Stampa Estera in Italia.

Abbiamo incontrato Alessandro Tartaglia Polcini, produttore di Suicidio Italia – Storie di estrema dignità.  In Italia spesso si evita di parlare dei suicidi della crisi, tant’è che al momento non esiste neppure un osservatorio su questo fenomeno che cresce di pari passo con la crisi. Fenomeno trasversale in cui le vittime, nonostante la differente estrazione sociale politica ed economica, spesso sono accomunati da quel senso di frustrazione e isolamento, dove lo Stato spesso non è  presente con i suoi strumenti di prevenzione.

Perché a tuo avviso si parla poco in Italia di questo fenomeno, nonostante i numeri destino una grande preoccupazione…Ricordiamo che un recente studio  sulle vittime della crisi, realizzato da Vincenzo Maria Mastronardi, docente di Psicopatologia forense alla Sapienza  di Roma, riporta che il 6,3% dei suicidi ha un esclusivo movente economico …

Verrebbe da dire: ecco l’Italia 6.3, quella a cui tanto auspicavano i governi che negli ultimi 20 anni si sono avvicendati e per lungo tempo hanno lavorato per portare il paese nelle condizioni nelle quali si trova. Ma vengo alla domanda: non se ne parla perché i signori di questa colossale truffa nazionale non vogliono sentirsi smascherati agli occhi di un Paese intero. Il 6,3 % dei suicidi in Italia, come ricorda appunto Mastronardi, ha un movente economico. A togliersi la vita per problemi legati a soldi sono quasi esclusivamente uomini, per lo più di età compresa tra i 45 e i 64 anni, e i più “a rischio” sono i disoccupati, seguiti da imprenditori e liberi professionisti. Il legame tra crisi e l’aumento dei gesti estremi è innegabile e sotto gli occhi di tutti, anche sotto gli occhi di chi governa, che ha una doppia responsabilità, quella di non porre alcun rimedio a questa catastrofica escalation. Il nostro è un Paese ferito in profondità da persone incapaci di gestire la Cosa Pubblica. Il professor Mastronardi fa inoltre una intelligente comparazione con altri paesi che subiscono questa singolare crisi, che non esito a definire indotta e non strutturale (ricordo che i soldi nel nostro Paese ci sono e sono anche tanti. Il punto è che sono fermi o amministrati male o, peggio, rubati), vedi la Grecia, la Spagna, il Portogallo, l’Irlanda dove si evidenzia una situazione di grande criticità che ovviamente non risparmia il nostro Paese. In sostanza, ciò che voglio dire è che l’Italia non rischia di finire come la Grecia. L’Italia sta peggio della Grecia. Si tratta di solo di aspettare quando il grande bubbone esploderà. Quando abbiamo proposto ad alcune reti televisive nazionali di parlare del nostro film, o quanto meno di farne cenno, ciò che ci è stato risposto è che la parola suicidio non si può pronunciare. Si corre il rischio dell’emulazione… E voi questa la chiamate informazione?

Le cronache riportano i fatti, ultimi gesti estremi e disperati che quasi repentinamente cadono nell’oblio. Durante l’esperienza di questo film cos’hai maturato rispetto a questi drammi?

Le notizie che riprendono i “suicidi per la crisi” comparsi nella stampa online nei primi tre mesi del 2012 sono più di 120. In tutto il 2012 se ne contano oltre 700.  Solo Il Fatto Quotidiano le ha tracciate attraverso Google News e raccolte sottoforma di visualizzazioni interattive. Un aggregato di notizie sconvolgenti sul tutto territorio italiano, riportando data, luogo, vicenda e fonte. Da questa mappa emerge una particolare presenza di notizie provenienti dal Nord-Est, a testimoniare l’impatto della crisi su uno dei maggiori distretti imprenditoriali del Paese.
I giornali che titolano il tenore drammatico del nostro Paese sono davvero pochi, e quei pochi che lo fanno riportano tali notizie come fossero dei semplici riempitivi. Persino i TG nazionali liquidano la cosa relegandola come notizia spicciola a ridosso dei titoli di coda. La cima, o meglio, il fondo, lo ha toccato Monti quando era Presidente del Consiglio, dichiarando: “I morti per la crisi in Italia sono poca cosa rispetto ai 1200 suicidi avvenuti in Grecia…”.  Lo ha fatto nel tentativo di sminuire i drammatici sviluppi di questa crisi programmata a tavolino. Il perverso meccanismo del signoraggio bancario operato dalla BCE, unito a molti anni di sprechi delle risorse nazionali, ha reso nullo il valore del lavoro e del risparmio. Chi ha sempre lavorato con lo stesso ritmo e con la stessa produttività, si è visto inspiegabilmente aumentare il proprio debito verso lo stato. Tutto è stato orchestrato in modo da costringere al debito anche chi aveva i conti a posto. Multe, aumenti di tasse, ricarichi fuori controllo su piccoli debiti iniziali, dei quali il malcapitato poteva essere magari ignaro, hanno costruito un debito dal quale è impossibile sottrarsi. Quasi tutti noi assistiamo all’implacabile crollo di quella parvenza di stabilità che ci siamo costruiti a prezzo di una vita di lavoro e di sacrifici. Oggi perdere il lavoro a 50 anni, vedersi pignorare la casa per un debito di pochi euro gonfiato ad arte per giustificare l’ipoteca e la vendita all’asta della propria abitazione è diventato qualcosa di tuttosommato ordinario. Queste continue vessazioni da parte della Pubblica Amministrazione non possono che istigare il suicidio in chi ha speso tutto per guadagnarsi una vita decorosa, per se e per la propria famiglia, e che si rende conto di non avere più il tempo per recuperare. Questo a voler sottolineare, anche in ragione del nostro viaggio fatto per realizzare questo documentario, che  le persone incontrate in più un anno di lavoro, ci hanno insegnato che ad annientarli è il vuoto intorno a loro. Restare senza lavoro significa poco se ad esso non si aggiunge che il lavoro è parte della tua identità, è parte della tua socialità, è sentirti utile… In una parola è “essere”. Non solo per chi è dipendente, i piccoli e medi imprenditori il loro lavoro se lo inventano, lo costruiscono pezzo a pezzo, ora dopo ora, sacrificio dopo sacrificio e nessuno li protegge, men che mai le Istituzioni.
Noi con questo documentario abbiamo voluto rendere omaggio a chi, trovandosi completamente  solo,  ha compiuto un gesto estremo come unico atto che lo potesse liberare insieme ai suoi cari.

Come giudichi la vittoria di Suicidio Italia al Globo d’oro? Pensi che la stampa estera vi abbia premiati di questo riconoscimento ambito perché ha una maggiore sensibilità sulla situazione in cui versa l’Italia oppure per via della maggiore libertà d’informazione, spesso senza censure,  di cui godono i cronisti stranieri?

Cominciamo col dire che questa vittoria è stata per tutti noi inaspettata. Trovarsi in nomination con “Girlfriend in a coma” di Annalisa Piras, documentario che avuto grande risonanza mediatica anche in vizio (o in virtù), di una singolare censura da parte di Giovanna Melandri, e con il bel documentario di Francesco Cordio, “Lo stato della Follia”, sul dramma degli OPG, e vincere, beh, che dire, siamo rimasti quanto meno sorpresi, ancorché molto contenti.
Ritengo che l’Associazione della Stampa Estera in Italia ci abbia premiato per avere fatto la reale fotografia dell’Italia, senza alcun filtro, senza alcun rimaneggiamento. Ne ha colto quindi la grande pulizia e onestà intellettuale di chi lo ha scritto, di chi lo ha diretto, di chi lo ha prodotto. Pertanto ritengo che la giuria che ha dato il premio a “Suicidio Italia” lo abbia fatto per entrambi i motivi: per quella sensibilità che si deve avere nel affrontare argomenti delicati come il suicidio e per l’indiscutibile indipendenza e libertà che abbiamo usato nel sintetizzarli in un film documentario come il nostro. Non ho alcuna difficoltà nel sostenere che l’Associazione della Stampa Estera in Italia è l’ultimo baluardo di informazione qui nel nostro Paese.
Ma attenzione, non vorrei che quest’opera fosse intesa come un epitaffio perché vuole essere esattamente il suo opposto.
Quei morti ci stanno chiamando e nessuno può né deve fingere di non sentirli.

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