Grazia, Graziella e grazie a chi… Morte del Pd

ROMA – Napolitano lascia aperta la porta alla grazia per Berlusconi. Qualcuno invoca l’amnistia. Marx è morto, il Pd è morto e neanche io mi sento tanto bene!

La roulette russa funziona così. C’è un proiettile in canna, si gira il tamburo e poi si fanno i conti con il grilletto (non più con i grillini). Mentre il temburo girava ci siamo presi il tempo per mortificare Prodi, per scoprire che ci sono centouno Giuda senza volto in Parlamento, per allearci col centrodestra e per  chiudere gli occhi sulla condanna a Silvio. Renzi a forza di scalpitare è diventato qualcosa di più di un amico di Enrico Letta e il Congresso è stato rimandato a fine anno.
Lo sparo non si è sentito, ma c’è stato. C’è stato e come! In questo agosto di rimandi – dell’Imu, del taglio ai prossimi rimborsi ai Partiti, della Legge elettorale, dei Processi, delle pene, delle risposte, della ripresa economica – c’è stata una vittima, il Pd.
Il carnefice? La Dirigenza del Partito.

Dalle ultime elezioni i sondaggi dicono che siamo riusciti a recuperare un solo punto percentuale. Forse perché i sondaggisti non hanno potuto sentire tutti, ma proprio tutti gli elettori del Pd, vista la crisi gli avranno staccato il telefono! Vale a dire che quel che resta del Partito, ben che vada, rappresenti un quarto delle persone italiane, non la metà più uno. Inoltre si sono rotte le alleanze, i sette punti di Sel – raddoppiata nel consenso dopo il divorzio – li vediamo lontani. Molto lontani.
Paghiamo scelte sbagliate che non volevamo e che non ci appartenevano.
Siamo il terzo polo in un Paese che pensavamo bipolare. Il primo è quello degli astenuti, il secondo dei Berluscones, il terzo è il nostro, ma potremmo essere scalzati dai grillini, fermi al 20%, nel caso in cui il comico ripetesse la marcia populista del 2012 o nel caso in cui ci scippasero altri pezzi di sinistra, mettendo la testa a posto.

Stavolta non ci sono vie d’uscita. Non ci sono assi nella manica. Possiamo campare fino ad ottobre, ci siamo legati al Governo, non capendo che solo slegandosi da questo avremmo avuto spiragli di salvezza.
Così Letta va, fino a che lo si lascia andare. Poi comunque la metti sarà di nuovo destra. Tecnica o populista, che Dio ce ne scampi! Abbiamo già dato.

Dura la vita dei dissidenti normali, di quelli come me e Tonino, che non si ritrovano nel Partito. Dura la vita se sei un ragazzo di trent’anni, cassaintegrato, che passava il tempo in sezione a dire sempre di sì. E’ dura perché ora che sono in grado di dire di no, penso di aver contribuito a buttare il mio futuro al cesso, assecondando il Partito. Eppure non mi sono mai sottratto alla fatica. Dura per quelli come Tonino, che non hanno parola, perché non hanno giornali, televisioni… Poco importa la loro saggezza, resteranno per sempre degli ubriaconi. Poco importa che Tonino non sia mai alticcio e si dica compagno da sessant’anni. Siamo elettori qualunque, elettori a cui non basta sentir dire: ti tolgo l’Imu. A cui non va giù di essere presi in giro. Siamo elettori senza partito.

Malgrado tutto siamo noi a decidere quando staccarvi la spina e se ora lo avessimo deciso?

Non importa che Silvio vi ricatti. No. Non vogliamo sentire altro.

Scendo al bar, da Tonino, è l’ultima volta per parlare del Pd.
Quando mi vede si alza dal tavolino. Mi viene incontro. Si ferma all’altezza del bancone.
“Fijo mio, n’è che mò me lasci solo? Mò c’è bisogno de sta ‘nsieme. De sta stretti e più vicini!”
La voce tremante, gli occhi lucidi, le sue mani callose che si avvicinano al mio volto per stringermi le guance… Il suo camminare trascinato, precario… Non mi aspettavo un gesto così.
Alzo gli occhi verso il tavolo, vuoto. C’è il suo bicchiere, pieno a metà, il suo fazzoletto di stoffa, intriso di sudore. A terra, il suo bastone ferma il posto, il tempo.
La mia faccia diventa ebete, allora la dolcezza di Tonino si trasforma in una sberla. Uno schiaffo che lascia il rossore delle dita sulla pelle.
“A rincojonito! L’hai capito o no che sei giovane! Rimortacci tua! Svejo! Morto ‘n partito, se scenne pe’ strada. Se lascia voto ‘n tavolo. Se costruisce er conflitto. N’arternativa”.

Penso a Ingroia, a Vendola, a Grillo, ma so che Tonino parla d’altro.
Mi mette la mano sulla spalla.
“A Piddì, ma ‘n fondo ‘n fondo, fosse tutta colpa nostra? De quelli come noi, cornuti e mazziati? Stamo chiusi a bestemmià er Pd, mentre Golia se magna Davide ‘n Val di Susa, ‘n fabbrica, a Lampedusa! Dentro a’n bar, sì, dentro a’n bar, perché ce se sta a magnà pure a noi. Solo che quelli come noi se so persi pe’ strada da tanto tempo. Hanno mollato. Nun stanno là coi denti stretti a resiste’. A chiede’ rinforzo. Se semo adagiati na’a sconfitta. Avemo parlato de Berlinguer, de Occhetto, de D’Alema, de Bersani, de Renzi, d’Enrico Letta, ma mo’? Mo’ che ce resta ‘n mano?”
Tonino si tocca le parti basse.
“Sto ber par de palle! C’avemo n’alibi, essese affidati ar ricordo der Pci, pe’ me, d’essese affidati ar sogno der Centro-sinistra de governo, pe’ te. Ma mo’. Mo’ se semo fatti toje la possibilità de’ sognà. E’ pe’ questo c’aspettamo ‘n salvatore. Semo passati da esse amanti della politica abbocconi a esse amanti della politica religiosi. Vecchi, non più sognatori. Nun volemo cambià realmente le cose, volemo uno che scenda dall’arto e ce dica la strada. Aoh! Aoh! Sveja!”.
Lo vedo agitato, sento il bisogno di tranquillizzarlo.
“Tonino, ma siamo qui per sancire lo stacco della spina”.
“Nun basta. Er Pd è già morto da solo. S’è suicidato, nun ha testato i bisogni della gente. Ma noi se volemo sarvà oppure no? Pe’ quale cazzo de motivo sti scienziati da’a politica devono fa fa’ dei sondaggi pe’ capì come la pensamo? ‘N semo capaci de mettese ‘nsieme e fajelo sentì forte. Prima se faceva, mo’ se semo impigriti. Nun ce va de manifestà. Lo delegamo all’artri. All’amici tua dei Centri Sociali, ai gruppi locali: No Tav, No Muos, No discariche e così via. Così loro, i pori cristi che protestano so’ i cattivi, i politici, so’ i boni e noi semo dei cojoni”.

E’ forte, il vecchio! E’ ancora giovane e ribelle. Lo invito a farci l’ultimo bicchiere di Lambro.
Ride, s’incammina, poi si volta.
“Famme ‘n piacere, Piddino, prima va ar cesso, ‘n fondo a destra. Guardate allo specchio, fatte ‘n giro antiorario su te stesso e si nun te trasformi ‘n superman, armeno smettila de crede alle favole, fatte forza che qua c’è da riprennese tutto!”.
Ci vado al bagno, contento. Mi guardo allo specchio e penso al Sub Comandante Marcos. Lui dice che se riesci a guardare il tuo volto, quello è il volto che si cela dietro la sua misteriosa identità. Mi chiedo: ma uno come me può essere come lui? Che cosa ho fatto nella vita per pensare di cambiarla? Io sono del Pd. Lo sarò per sempre. Con il Pd vivo e con il Pd morto…

Raggiungo Tonino con l’amaro in bocca. Vigliacco.
Tonino mi ha riempito il bicchiere.
Io balbetto:
“Ce-certo se cadesse il go-governo per colpa di Be-berlusconi, il P-pì-d ce la po-potrebbe fa-fare…”
“Piddì, come ti chiami? Lo sai che nun me l’hai mai detto!”
“Gianni”.
“Gianni, smettila de preoccupatte se te piace Renzi o meno, è Renzi che se deve preoccupà de piacette o meno. Smettila de pensà se er Pd è vivo o morto. E’ er Pd che doveva preoccupasse de vedette quasi morto e che mo’ te dovrà rincorre pe’ resta’ ‘n vita. La politica nun è quella che ce semo subiti. Nun so’ du’ partiti che se misurano co’ la Borsa, co’ l’andamento dello Spread. Se devono misura’ co’ le piazze. Noi riprennemo a fa’ er nostro, a sta ‘nsieme, a raccoje le esperienze. Famose vede’ uniti, no distanti. Ce vole un movimento: ‘na rete de sconfitti. A noi nun ce spetta de fa’ i carcoli del Debito. Noi dovemo difenne i nostri diritti. E chiede. Chiede co’ forza l’impossibile. Dovemo esse giovani. Così c’avremo ‘n peso”.

Il Lambrusco sembra più buono. Ce la posso fare. Per Tonino il momento è maturo. Non sono più un piddino, sono Gianni.
“Vecchio ed ora?”
“Mo’ chiami tutti i tuoi colleghi, quelli che come te annavano a lavorà quanno figuravano in cassaintegrazione e poi prennemo n’appuntamento da ‘n’avvocato amico mio. Poi passamo ‘n sezione a rompeje i cojoni. Ce sarà quarcuno che se salva! ‘N civatiano, ‘n pazzo, ‘n’indeciso: parlamoce, nun c’avemo niente da perde’. E ‘o sai perché? Perché loro senza de’ noi nun so’ ‘n  cazzo. Famo ‘n Comitato de Quartiere e perché no? Se famo ‘na manifestazione ‘nsieme”.

Alzo il bicchiere con la mano destra, il pugno chiuso con la sinistra.

Non me ne frega niente della mozione Boccia, dell’equilibrismo di Letta, dei calcoli di e su Matteo, il protagonista d’ora in poi sono io.
   
 

 
 

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