Ipercolesterolemia omozigote, confermata l’efficacia di lomitapide

In aggiunta alla terapia standard riduce efficacemente il colesterolo LDL

 

ROMA – Una nuova terapia per l’ipercolesterolemia familiare omozigote: si tratta di lomitapide, già farmaco orfano negli USA, sviluppato da Aegerion.
Uno studio di fase III che ne ha confermato l’efficacia, è stato presentato pochi giorni fa a Milano, all’ European Atherosclerosis Society (EAS) Congress. L’inibitore della proteina microsomiale di trasporto dei trigliceridi (MTP) lomitapide, in aggiunta alla terapia ipolipemizzante standard, ha dimostrato di ridurre efficacemente il colesterolo LDL e di avere un profilo di sicurezza accettabile.

Alla base dell’ipercolesterolemia familiare omozigote, forma rara della malattia, vi è l’assenza del recettore dell’LDL, che è l’obiettivo principale del trattamento dell’ipercolesterolemia. “Questo è il motivo per cui la patologia è refrattaria agli attuali farmaci ipolipemizzanti” ha spiegato Marina Cuchel, della University of Pennsylvania di Philadelphia, presentando i dati.

Come riportato da Pharmastar lo studio ha coinvolto 29 pazienti, con un’ età media di 31 anni, sottoposti da almeno 6 settimane a  una terapia ipolipemizzante stabile (che stavano seguendo una dieta povera di grassi). I partecipanti sono stati trattati con lomitapide, iniziando con 5 mg e poi salendo col dosaggio fino ad arrivare alla dose massima tollerata di 60 mg/die.

L’endpoint primario di efficacia era la variazione media rispetto al basale del colesterolo LDL dopo 26 settimane di trattamento (nella popolazione intention-to-treat), terminate le quali 23 pazienti hanno continuato il trattamento col farmaco per le valutazioni sulla sicurezza. La dose media è stata di 40 mg/die.

I livelli di colesterolo LDL si sono ridotti del 40 per cento rispetto al basale  e questa riduzione si è mantenuta fino alla settimana 56.

Il farmaco, ha riferito l’autrice dello studio, è stato generalmente ben tollerato. I sintomi gastrointestinali sono stati gli eventi avversi più comuni. Quattro pazienti hanno mostrato aumenti delle transaminasi epatiche che si sono risolti riducendo la dose o sospendendo temporaneamente il farmaco in studio, mentre non si sono osservate variazioni della bilirubina o della fosfatasi alcalina. In ogni caso, nessun paziente ha interrotto il trattamento a causa di alterazioni della funzionalità epatica. La Cuchel ha inoltre riferito che i pazienti che hanno continuato lo studio fino alla fine, hanno presentato una riduzione degli eventi avversi e della loro intensità durante la seconda fase del trial.

L’autrice ha anche detto che sebbene il contenuto di grasso epatico sia aumentato nelle prime 26 settimane, passando dallo 0,9 al 9,0 per cento, per tutto il resto dello studio è rimasto stabile, senza ulteriori incrementi.

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