Bagnino per passione e per professione

ROMA – Assistenti bagnanti, addetti al salvataggio, bagnini, un lavoro storico, indispensabile per la normale attività balneare di tutte le coste italiane.Dietro questi ragazzi e uomini di ogni età, bellocci e un po’ affascinanti anche solo per la maglietta rossa che indossano, si nasconde un mondo del lavoro inconsueto e curioso.

Quello che può sembrare un lavoretto estivo per sbarcare il lunario nella pausa dallo studio, è in realtà una ragione di vita per tanti, una professione voluta e mantenuta nell’arco degli anni.Sulla costiera romagnola, come in Versilia, sono tanti quelli che da diversi anni svolgono quest’attività, aspettando da una stagione all’altra per poter trovare un nuovo posto come bagnino.

Vista la forte stagionalità infatti, è un lavoro, che in Italia, si svolge da maggio a settembre al massimo per 4 o 5 mesi; lavoro duro, 7 giorni su 7 per 10 ore al dì, e poi più nulla per tutto l’inverno.  Niente certezze, nessuna concreta assicurazione di essere richiamati il maggio successivo, solo la parola data del datore di lavoro: “secondo una legge, avremmo un diritto di prelazione se inviassimo una lettera entro tre mesi dall’ultimo giorno di lavoro – spiega Benedetto, – ma non si usa, sembra brutto. Come se non ci fidassimo di quello che ci ha promesso il proprietario dello stabilimento.” 

Tanta è la passione per questo tipo di lavoro, che la maggior parte di loro si arrangia con qualche lavoretto improvvisato fino alla nuova stagione estiva, affidandosi ai minimi ammortizzatori sociali.  Molti, quindi, diventano bagnini “stagionali” di professione. “Faccio questo mestiere da 40 anni – racconta Pino, ormai sessantenne– e non c’è nessun riguardo nei nostri confronti, nessun riconoscimento, anche per un lavoro, a lungo andare, usurante.” 

Già, perché andando avanti con contratti a tempo determinato di stagione in stagione, non c’è nessuna tutela, nessun riconoscimento professionale, scatto di anzianità o diritti acquisiti.  Ma le istituzioni – locali o nazionali che siano – non potrebbero organizzare i diversi mesi di inattività, durante i quali concede l’indennità di disoccupazione? Si potrebbero prevedere corsi professionali o formazione lavoro…  Certo, non tutti ne sarebbero entusiasti, qualcuno di loro si è un po’ abituato ad una vita lavorativa di part time verticale, massimo 6 mesi l’anno. 

Non Paulo, però, un bagnino argentino 50enne, che durante il nostro inverno torna in Sud America per svolgere il suo lavoro, e mette in evidenza le tante le differenze: “si lavora massimo 6 ore al giorno, perché l’impegno fisico è tanto, e la stanchezza rischierebbe di compromettere la sicurezza di tutti, bagnino e bagnanti!”.  Ecco un’altra criticità:  la mancanza di sicurezza, non in senso stretto, ma come conseguenza della superficialità e delle carenze organizzative.  Dalla poca formazione dei neo patentanti assistenti bagnanti alle tante mansioni extra richieste o ai mezzi di soccorso carenti e obsoleti; per non parlare del tanto lavoro irregolare, del bagnino “improvvisato” e senza nessuna competenza e della mole di lavoro giornaliera. 

“Venite a vedere quando lavoriamo in piena stagione” racconta Davide, “ci chiedono di fare di tutto, dal buttare la spazzatura alla sistemazione dei lettini e se dovesse passare la guardia costiera in quel momento, verremmo multati noi e non i padroni dello stabilimento”. 

“Prevenzione, soccorso e salvataggio, questa dovrebbe essere la sequenza dei nostri incarichi” spiega Lucio, “e con una corretta prevenzione si potrebbe non arrivare mai a dover correre a salvare qualcuno.” 

E se qualcuno è in pericolo in mezzo al mare? 

Il buon vecchio pattino è il mezzo di soccorso, secondo la legge, autorizzato per il salvataggio, mentre le belle e pratiche tavole da surf, utilizzate anche tra le onde oceaniche, non sono a norma, e se il salvataggio non andasse a buon fine sarebbe il bagnino a pagarne le conseguenze – da non immaginare eventuali ipotesi di acquisto di moto ad acqua. 

Formazione, dignità, riconoscimento professionale ed economico, sono le richieste di questi lavoratori, un potenziale umano su cui si dovrebbe investire, vista la tanta passione e voglia di professionalità, ma soprattutto vista la lunghezza e l’importanza delle coste italiane e i tanti turisti che le frequentano. 

 

NB. I nomi utilizzati sono di fantasia, è tanto il timore di perdere il lavoro ed essere contrassegnato come “uno che crea problemi”. 

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