Degenerazioni retiniche. Lo zafferano abruzzese sembra avere effetti antiossidanti e antiapoptotici

ROMA – Il 10 marzo scorso, a Pescara, è stato conferito il premio Ethic Award all’oftalmologo Benedetto Falsini, il quale si occupa di malattie oculari e, in particolare, di scoprire come rallentare le malattie causa di cecità.

Secondo i suoi studi lo zafferano abruzzese mostrerebbe importanti potenzialità in questo senso e non è il solo ad aver considerato promettenti i risultati ottenuti. Infatti la ricerca, ancora in corso, ha ottenuto il finanziamento di Telethon.
La cerimonia di consegna degli Ethic Award è avvenuta nell’ambito dell’Oscar Pomilio Forum 2014, incontro che ha per tema l’etica al servizio dello sviluppo economico.

 
Benedetto Falsini, nato a Roma nel 1956, è un oftalmologo dell’Università Cattolica di Roma, dove è tornato dopo un lungo periodo di lavoro negli  Stati Uniti, ed è responsabile dell’ambulatorio di degenerazioni retiniche ereditarie, del laboratorio di Neurofisiologia della visione e del centro di Neuroftalmologia pediatrica.
L’Ethic Award gli è stato conferito per una ricerca ancora in corso che, se continuerà a produrre risultati positivi, potrebbe portare a una cura semplice ed economica per quelle degenerazioni retiniche che portano alla cecità milioni di persone come: la maculopatia senile, quella miopica, la retinite pigmentosa ed altre di cui si è molto parlato recentemente a proposito dei farmaci molto costosi con cui alcune di queste possono essere curate.

La storia delle ricerche di Falsini, secondo la sintesi fatta da Telethon, è iniziata da Silvia Bisti del dipartimento di Biotecnologie e scienze applicate dell’Università de l’Aquila. Nella sua vita professionale ha sempre studiato gli occhi, per andare a fondo dei meccanismi che permettono la visione e che con l’età o in alcune malattie si bloccano. Quando parla dei fotorecettori –  le cellule nervose che trasformano la luce in segnali elettrici per il cervello  –  li definisce “dei gioielli, che la natura ha perfezionato nel corso dell’evoluzione”.
I fotorecettori sono cellule sofisticate, con un intenso metabolismo, e per funzionare correttamente hanno bisogno di un elevato apporto di ossigeno. Con gli anni il meccanismo tende a incepparsi e l’ossigeno da vitale può diventare tossico per queste cellule, fino a provocarne la morte: è quello che avviene in diverse forme di cecità senile, ma anche – a causa di difetti genetici – in maculopatie ereditarie come la sindrome di Stargardt.

Attualmente non esiste cura per queste patologie: nel frattempo, però, molti ricercatori come Silvia si sono chiesti se e come sia possibile contrastare il danno da ossigeno – azione antiossidante – e rallentare così il processo degenerativo. Per ritardare il più possibile la perdita della vista, ma anche per dare il tempo alla scienza di trovare strategie di cura definitive.
Così la Bisti si è messa studiare quali sostanze già disponibili potessero avere un effetto antiossidante e, lavorando a L’Aquila ha pensato allo zafferano, di cui l’Abruzzo è grande produttore, mentre da tempo sono note le sue capacità di influire sul metabolismo dell’ossigeno e di contrastare i processi di morte cellulare (apoptosi).

Il primo esperimento è su ratti albini che, a causa di una mutazione genetica, vanno incontro alla perdita dei fotorecettori se esposti alla luce. Ebbene, somministrato a questi animali lo zafferano si è dimostrato capace di proteggerli dai danni luminosi, molto più del beta-carotene che fino a quel momento era la sostanza più promettente in questo senso.
La ricercatrice ha chiesto la collaborazione di alcuni colleghi australiani a loro volta esperti di fisiologia dei fotorecettori: insieme hanno scoperto che lo zafferano era in grado di influire sull’attività di diversi geni, alcuni responsabili dell’infiammazione in risposta allo stress ossidativo a carico della retina, altri dalla funzione ancora ignota. Un dato che faceva pensare a un’azione specifica della sostanza.
Già, ma quale sostanza? Esistono tantissimi tipi di zafferano, preparati in modo differente, e dai test condotti finora sembra che quello abruzzese sia l’unico ad avere un effetto protettivo sulla retina.

Come spesso accade nella scienza, gli incontri giusti al momento giusto possono far decollare le idee e i buoni risultati. Durante un convegno a L’Aquila la Bisti racconta a Falsini i risultati sui ratti albini. Si decide per una sperimentazione sull’uomo e si producono pasticche di zafferano e pasticche identiche ma senza lo zafferano, il placebo, per poter fare dei confronti tra chi assume la sostanza e chi no.

”La prima sperimentazione su 30 malati ha risultati insperati: persone che prima non riuscivano a leggere riescono a farlo – racconta Falsini – Per chi come me da anni si occupa di malati di questo tipo il risultato è una grande soddisfazione, ma anche fonte di grandi preoccupazioni. Bisogna provare a replicare il risultato, confermarlo, avere la certezza che sia davvero un effetto dello zafferano. Non bisogna illudere le persone, chi sa che non ha speranze è disposto ad assumere qualsiasi cosa, ad andare al supermercato e a fare incetta di tutto lo zafferano presente sul bancone. Anche se l’unico che ha dimostrato una qualche efficacia è quello abruzzese e non è assolutamente detto, anzi è altamente improbabile, che quello che troveranno sul bancone abbia qualche effetto. Per un ricercatore tutto questo potrebbe anche significare perdere una credibilità acquisita faticosamente negli anni”.

Nel 2009 il terremoto da L’Aquila distrugge nel laboratorio della Bisti i computer con i dati, reagenti, campioni biologici e quanto altro le ricerche sinora avevano prodotto. Senza alcun supporto pubblico il gruppo riprende le ricerche e alla fine di luglio la svolta: arrivano i primi finanziamenti di Telethon per sperimentare lo zafferano su malati con sindrome di Stargardt, una forma di degenerazione maculare simile alla senile ma ereditaria. Si manifesta a partire dall’adolescenza e porta alla diminuzione progressiva della vista nella porzione centrale del campo visivo, fino ad arrivare alla cecità. Attualmente non esiste una terapia risolutiva. Al Tigem di Napoli i ricercatori stanno lavorando da anni alla terapia genica, che sul modello animale ha già dato risultati molto positivi.
La Commissione scientifica di Telethon ha riconosciuto la correttezza del metodo di ricerca sullo zafferano e quindi le potenzialità di una terapia che lo usi.

”Ricevere fondi da Telethon – dice Falsini, titolare del finanziamento – significa di fatto avere un riconoscimento sulla qualità del proprio lavoro e sulla solidità delle proprie ipotesi”.
Prossimi passi: Falsini verificherà l’effetto dello zafferano su un primo gruppo di pazienti affetti da sindrome di Stargardt, la Bisti indagherà i meccanismi biochimici con cui questa sostanza protegge la retina, e le eventuali influenze del profilo genetico dei pazienti sugli effetti terapeutici.

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