Ipercolesterolemia, i farmaci biologici sono le prossime scommesse terapeutiche

ROMA – Il futuro per il trattamento dell’ipercolesterolemia? Sono i farmaci biologici. Si tratta di di anticorpi monoclonali, prodotti grazie a specifiche applicazioni genetiche, che vanno ad agire sulla proteina PC-SK9. Tale proteina inibisce la capacità del fegato di rimuovere il colesterolo LDL (chiamato ‘cattivo’) dal circolo sanguigno. Tale inibizione è alla base dell’innalzamento della colesterolemia. La proteina PC-SK9 agisce, infatti, bloccando i recettori LDL presenti sugli epatociti che hanno la funzione di captare le particelle di colesterolo e trasportarle all’interno della cellula, dove ha luogo la loro degradazione.

A spiegare l’importanza di questi nuovi farmaci è stato un articolo di Maria Rita Montebelli, pubblicato il 15 aprile scorso su La Repubblica. Il pezzo spiega i risultati di due recenti studi sperimentali su questa classe di farmaci, presentati al congresso dell’American College of Cardiology tenutosi a Washington poche settimane fa.

Come spiegato dal Dottor Peter Libby, professore di Medicina Cardiovascolare all’Università di Harvard, PC-SK9 è stata individuata come bersagio terapeutico nell’ambito di studi sull’ipercolesterolemia familiare.

Anche i farmaci ‘tradizionali’, ovvero le statine, agiscono a livello epatico inibendo un enzima necessario per la produzione d colesterolo. Purtroppo però, a causa di intolleranza o in presenza di situazioni gravi di ipercolesterolemia, questi farmaci non sono sufficienti. E’ necessario, quindi, cercare nuove vie terapeutiche. Proprio per questa ragione sono stati realizzati gli studi Laplace-2 e Gauss-2.

Nello studio Laplace-2 è stato testato l’anticorpo monoclonale evolocumab rispetto al placebo mentre Gauss-2 si è occupato di confrontare evolocumab con ezetimibe, in pazienti con ipercolesterolemi alta e intolleranti alle statine.

Nello studio Gauss-2 si è ottenuta una riduzione del colesterolo LDL superiore del 38% nel gruppo trattato con l’inibitore di PC-SK9 rispetto al gruppo trattato con ezetimibe. Nel Laplace-2, invece, evelocumab ha portato ad un abbattimento dell’LDL fino al 75% dei valori iniziali, potenziando così l’attività delle statine.

Come spiegato dall’autrice dell’articolo ridurre il colesterolo è ‘solo’ un obiettivo intermedio di tali studi che mirano a sviluppare trattamenti in grado di proteggere i pazienti affetti da ipercolesterolemia da infarto e ictus. Evolocumab è anche al centro di un programma di studi, il Proficio, che coinvolgerà più di 30 mia pazienti in una ventina di trial clinici. Inoltre il mondo scientifico attende con ansia e grande aspettativa i risultati del trial Fourier, previsti per il 2018.

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