Venezia 1754. Una baby gang ante litteram

VENEZIA – I mass media oggi registrano sempre con maggior frequenza, casi di violenza ad opera di minorenni. Durante il periodo dell’adolescenza sembra non ci siano più modelli positivi ai quali far riferimento e i giovani tendono a deviare per imboccare la strada della criminalità. Ma questo è un fenomeno recente della nostra società ? Quanto ritrovato nell’Archivio di Stato di Venezia dimostrerebbe di no.  

Quando il chirurgo Francesco Tiepolo, alle due di notte del 22 aprile 1754, andò nella casa di Domenico Fornari in salizada di fronte alla calle del Lasagner in Santa Ternità, si aspettava di dover fare un semplice prelievo di sangue, invece trovò Domenico figlio di Girolamo con una brutta ferita al capo. Sotto pressione da parte dei famigliari fece una medicazione ma il giorno successivo, verso mezzanotte, il paziente ebbe delle convulsioni e pochi attimi dopo perse conoscenza. Fornari mori quella mattina stessa verso le sei. Aveva soli 35 anni. Secondo il chirurgo, la ferita sopra la testa, precisamente alla tempia sinistra, era stata provocata probabilmente da un sasso. Domenico Fornari però, non era caduto, Domenico Fornari era stato ucciso. Fino a quel momento non si sapeva ancora come e perché. Il giorno successivo Tomaso Doglioni, chirurgo della contrà di San Martin, fu accompagnato dal fante del collegio dei Signori di Notte al Criminal, in salizada in Santa Ternità, dove trovò il cadavere. Fece la sua perizia giovedì alle ore 20 circa e la consegnò alla magistratura. Non c’erano ulteriori indizi rispetto a quanto già rilevato dal chirurgo. Iniziarono subito gli interrogatori. Il fascicolo conservato presso la magistratura dell’Avogaria di Comun, descrive il caso di un incidente, uno scherzo di cattivo gusto, che fini in tragedia. Di questo triste caso, due sono gli aspetti inquietanti e terribilmente attuali.

 

Il primo è che gli autori di questo crimine non erano nemmeno maggiorenni e potrebbero benissimo essere definiti oggi una baby gang, il secondo, Domenico Fornari era un disabile e per questo era stato preso di mira. Come si svolsero i fatti ? Secondo numerosi testimoni la sera di sabato 19 aprile all’una e mezza di notte, nella Salizada di Santa Giustina, Domenico Fornari stava camminando come faceva spesso per tornare a casa. La gente della parrocchia lo conosceva bene, quell’uomo, che ragionava con la testa di un bambino, si portava spesso un legno sulla schiena. Nel mentre, arrivarono alcuni ragazzini che lo prendevano continuamente in giro per il suo stato. Uno di questi gli prese il legno e glielo tirò addosso, colpendolo alla schiena, gli altri, tutti attorno, lo deridevano. Nessun aiuto proveniva dalla gente che osservava. Il povero Fornari cercò di ripararsi ed aumentò il passo per scappare, borbottando tra se e se qualche parola. Tra i ragazzini vi era anche Antonio Reati, un quindicenne che vendeva frutta nei pressi di quella parrocchia e che poteva sembrare il capo branco. Incitato dai compagni prese una pietra da terra e la lanciò contro l’uomo. Il sasso con una traiettoria precisa colpì alla tempia l’uomo, il quale barcollò per un attimo e cadde a terra sanguinando. A quel punto i ragazzi capirono di aver oltrepassato il limite e si diedero alla fuga mentre, finalmente, alcuni passanti aiutarono il Fornari ad alzarsi e a tornare a casa. Era stato un brutto colpo alla testa ma per per alcuni giorni si vide la vittima uscire di casa e sembrava che tutto fosse finito li. Tutti ignoravano, invece, che l’uomo aveva probabilmente una commozione celebrale e che gli restavano pochi giorni di vita ancora. Dopo la sua morte la Serenissima cominciò ad indagare. Non ci volle molto per trovare il colpevole. Il 5 settembre venne emesso il bando e proclamato sulle scale del ponte di Rialto che Antonio Reati si presentasse entro otto giorni alle prigioni del Palazzo Ducale per discolparsi dalla grave accusa.

Non presentandosi nessuno il 13 marzo dell’anno successivo viene formalmente accusato di omicidio e per tale motivo avrebbe dovuto scontare un anno in carcere e se fuggiva dalla prigione oltre al bando vi era la taglia di 200 lire di piccoli. Inoltre, come voleva la legge, non si sarebbe potuto liberare dal bando se prima non avesse risarcito i parenti della povera vittima. Il tempo trascorse e nessuno si presentò. Era stato proclamato anche il secondo bando sempre sulle scale di Rialto, in modo tale che tutti potessero essere a conoscenza della taglia. Il 20 maggio dello stesso anno, Antonio Calegari e Agostino Spartin inviano una lettera all’ufficio della Avogaria di Comun, per comunicare che  alle cinque del pomeriggio hanno arrestato il Reati in contraffazione di bando e già condotto ai camerotti del Palazzo Ducale. Quando il magistrato diede ordine di interrogare il ragazzo si trovò davanti un ragazzino di sedici anni. Capelli bruni senza barba, vestiva con un cappotto color oliva, stracciato in alcuni punti, una camicia a strisce di tela, un cappello nero in testa, calze bianche e scarpe senza fibbia.

Spaventato da quanto gli stava accadendo, quando il giudice gli chiese se sapeva il motivo del suo arresto, il ragazzo gli disse che aveva intuito che fosse per la morte di quell’uomo che l’anno scorso aveva colpito con un sasso. Disse al magistrato che non sapeva assolutamente del bando e trovandosi nella propria casa c’è da supporre che affermasse il vero. Il problema stava nel fatto che se non aveva soldi doveva scontare la pena. Finire nelle carceri a Venezia poteva significare una vita dura e per un ragazzino di sedici anni poteva anche significare morirci dentro. Ma la giustizia doveva essere severa e cosi il ragazzo fini nei famigerati camerotti del Palazzo Ducale.

Il caso fu preso a cuore da parte di alcuni avvocati d’ufficio che aveva intuito che il ragazzo non voleva uccidere. Ad agosto chiesero alla magistratura di commutare la pena in un versamento di un ducato nella pubblica cassa,  scontato dalla carità della Pia Fraterna delle Prigioni per gli esborsi.

Il 15 agosto venne dichiarato che fosse rilasciato libero e a fine mese venne accettato il rilascio. Erano passai poco più di tre mesi dal suo arresto.  Un ultimo dato interessante si può trovare nel fascicolo, tra le carte, vi è la ricevuta della taglia. Il ragazzo era stato arrestato, infatti, su una soffiata. Il benefattore della somma che cadeva sopra la testa di Antonio Reati era tale Capitano Pietro Malatini, il quale per aver fatto arrestare un ragazzino di sedici anni che non sapeva nemmeno di essere accusato della morte dell’uomo, ricevette dal notaio Sola, dodici ducati. Quando il Malatini si presentò a riscuotere, non sapendo scrivere fece una croce. Cosi si chiuse il caso di una baby gang ante litteram che prendeva in giro un povero disabile nella Venezia del Settecento.

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