Giornata mondiale contro la pena di morte

E’ allarme sui Paesi che violano il diritto internazionale

ROMA – La pena di morte continua a essere utilizzata come strumento della cosiddetta “guerra alla droga”, con un allarmante numero di stati in tutto il mondo che mette a morte persone condannate per imputazioni legate alla droga, in palese violazione del diritto internazionale, ha dichiarato Amnesty International in occasione della Giornata mondiale contro la pena di morte il 10 ottobre.

Almeno 11 paesi in tutto il mondo – tra cui Cina, Indonesia, Iran, Malesia e Arabia Saudita – hanno emesso condanne capitali o messo a morte persone per reati legati alla droga nel corso degli ultimi due anni, mentre decine di stati mantengono la pena di morte per questi reati. 

“È sconfortante che tanti paesi siano ancora attaccati all’idea sbagliata che uccidere le persone possa in un modo o nell’altro porre fine alla tossicodipendenza o ridurre la criminalità. La pena di morte non fa nulla per affrontare il crimine o permettere alle persone che hanno bisogno di aiuto di accedere ai trattamenti per la disintossicazione” ha dichiarato Chiara Sangiorgio, esperta di Amnesty International sulla pena di morte.

Il diritto internazionale limita l’uso della pena di morte ai “reati più gravi”, definizione che generalmente include solo l’omicidio volontario. I reati di droga non rientrano in questa categoria. Il diritto internazionale inoltre stabilisce per gli stati l’obiettivo di muoversi verso l’abolizione della pena di morte.

Eppure molti stati giustificano l’uso della pena di morte come un modo per affrontare il traffico di droga o l’uso problematico delle droghe. Questi stati stanno ignorando il fatto che una risposta basata sui diritti umani e sulla salute pubblica, compresa la prevenzione dell&’abuso di sostanze e l’accesso al trattamento, risulta efficace per porre fine ai decessi per droga e prevenire la trasmissione di malattie infettive. Anche in relazione a crimini violenti, non c’è uno straccio di prova che la minaccia dell’esecuzione costituisca un deterrente maggiore rispetto a qualsiasi altra forma di punizione.

In Indonesia, per esempio, il governo del presidente Joko Widodo ha annunciato di utilizzare la pena di morte per combattere una “emergenza nazionale droga”. Quattordici persone condannate per reati legati alla droga sono state messe a morte sinora nel 2015 e il governo ha dichiarato che respingerà tutte le richieste di clemenza presentate da persone condannate per droga.

“L’uso della pena di morte per reati legati al commercio di droga è ben lungi dall’essere l’unica preoccupazione. In Malesia Shahrul Izani Suparman, per esempio, aveva appena 19 anni quando è stato trovato in possesso di più di 200 grammi di cannabis, quantitativo minimo per essere accusati di traffico di droga. È stato automaticamente considerato colpevole di traffico di droga, gli è stata comminata una condanna a morte obbligatoria”  ha aggiunto Chiara Sangiorgio.

In molti dei paesi in cui viene applicata la pena di morte per reati legati alla droga, l’ingiustizia è aggravata da condanne a morte emesse al termine di processi manifestamente iniqui. Agli imputati è regolarmente negato l’accesso agli avvocati oppure sono costretti a fornire “confessioni” sotto tortura o altri maltrattamenti che sono poi ammesse come prove in paesi come Indonesia, Iran e Arabia Saudita.

Nell’aprile 2016 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite, il principale organo deliberativo delle Nazioni Unite, si riunirà in una sessione speciale sulle droghe per discutere le priorità di controllo della droga nel mondo, incluso l’uso della pena di morte per reati legati alla droga. L’ultima volta che una sessione speciale sulla droga si è svolta è stata nel 1998.

“La sessione speciale del prossimo anno dell’Assemblea generale dell’Onu offrirà un’opportunità fondamentale per gli stati affinché garantiscano che le politiche sulla droga a livello nazionale e internazionale rispettino i diritti umani. Gli stati membri devono una volta per tutte porre fine all’uso della pena di morte per reati legati alla droga come primo passo verso la sua completa abolizione” – ha concluso Chiara Sangiorgio.

Esempi in alcuni paesi

Nel 2014, la Cina ha messo a morte più persone rispetto al resto del mondo messo insieme, ma con i dati sulla pena di morte trattati come segreto di stato il numero esatto è impossibile da determinare. Sulla base dei dati che si è in grado di confermare, le persone condannate per reati legati alla droga costituiscono una percentuale significativa di coloro che sono messi a morte. La Cina ha compiuto timidi passi avanti per ridurre il ricorso alla pena di morte negli anni recenti, anche riducendo i reati punibili con la morte. I reati legati alla droga, tuttavia, continuano a causare condanne ed esecuzioni.

L’Indonesia ha messo a morte 14 persone quest’anno, tutte accusate di traffico di droga. É stato un passo indietro per un paese che sembrava muoversi verso la fine delle esecuzioni solo pochi anni fa e che ha tentato con successo di ottenere la commutazione di condanne a morte per cittadini indonesiani nel braccio della morte in altri paesi. L’uso della pena di morte in Indonesia è fortemente viziato, con l’uso regolare della tortura per ottenere confessioni e la celebrazione di processi iniqui. 

L’Iran è al secondo posto per numero di esecuzioni al mondo, dietro la Cina. Negli ultimi decenni ha messo a morte migliaia di persone per reati di droga. Le leggi sulla droga sono estremamente dure: una persona può essere condannata a morte per il possesso di 30 grammi di eroina o cocaina. Solo nel 2015, sono state effettuate più di 700 esecuzioni, molte delle quali ai danni di cittadini stranieri e di persone provenienti da ambienti socioeconomici svantaggiati.

Il traffico di droga in Malesia comporta la condanna a morte obbligatoria e le persone che si trovano in possesso di una certa quantità di sostanze illecite sono automaticamente presunte trafficanti di droga. Il governo non rende note le informazioni sulle esecuzioni, ma secondo Amnesty International la metà delle condanne a morte imposte negli ultimi anni ha riguardato il traffico di droga.

In Arabia Saudita le esecuzioni per reati legati alla droga sono salite alle stelle. Nel 2014, quasi la metà delle 92 persone messe a morte erano state condannate per reati legati alla droga. Il sistema giudiziario manca delle garanzie più elementari per garantire il diritto a un processo equo. Spesso le condanne a morte sono inflitte dopo procedimenti iniqui e sommari che si tengono, in alcuni casi, in segreto.

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