Turchia. Allarme repressione dopo il fallito golpe

ROMA – Amnesty International ha lanciato l’allarme sul pericolo per la situazione dei diritti umani all’indomani del sanguinoso tentativo di colpo di stato del 15 luglio, a seguito del quale sono morte almeno 208 persone e sono stati eseguiti quasi 8000 arresti. Inoltre, diversi esponenti governativi hanno proposto la reintroduzione della pena di morte per punire i responsabili del fallito colpo di stato. 

Amnesty International sta indagando sulle notizie di detenuti sottoposti a maltrattamenti ad Ankara e Istanbul e ai quali verrebbe negato l’accesso agli avvocati.

“L’elevato numero di arresti e di rimozioni dall’incarico è allarmante e stiamo monitorando attentamente la situazione. Il tentativo di colpo di stato ha scatenato un impressionante livello di violenza. I responsabili di uccisioni illegali e di altre violazioni dei diritti umani devono essere portati di fronte alla giustizia, ma la repressione contro il dissenso e la minaccia di ripristinare la pena di morte sono un’altra cosa rispetto alla giustizia” – ha dichiarato John Dalhuisen, direttore per l’Europa e l’Asia centrale di Amnesty International. 

“Sollecitiamo le autorità turche a esercitare moderazione e a rispettare lo stato di diritto nello svolgimento delle necessarie indagini, a garantire processi equi a tutti i detenuti e a rilasciare tutti coloro contro i quali non vi sono prove concrete di aver preso parte ad azioni criminali. Un arretramento nel campo dei diritti umani è l’ultima cosa di cui la Turchia ha bisogno” – ha aggiunto Dalhuisen. 

In assenza di numeri esatti, le autorità turche hanno riferito che venerdì notte 208 persone sono state uccise e oltre 1400 ferite a Istanbul e Ankara. Tra le persone uccise figurano 24 “complottisti”, alcuni dei quali sarebbero stati linciati dopo che avevano cercato di arrendersi. Tra le vittime, figurano anche civili scesi in strada a fronteggiare carri armati ed elicotteri in risposta all’appello a protestare rivolto dal presidente Erdogan.

Nei giorni successivi al fallito colpo di stato, le autorità turche hanno avviato rapide purghe all’interno dell’esercito, del potere giudiziario e dell’amministrazione civile del ministero dell’Interno: 7543 “complottisti” arrestati, 318 dei quali posti in detenzione preventiva; 7000 poliziotti sospesi, 2700 giudici e procuratori rimossi dall’incarico (appena meno di un quinto del personale della magistratura), 450 dei quali arrestati. 

Le dichiarazioni del presidente Erdogan e di rappresentanti del governo circa il ripristino della pena di morte e il suo uso retroattivo per punire i responsabili del tentato colpo di stato sono particolarmente inquietanti: un passo del genere violerebbe le convenzioni sui diritti umani di cui la Turchia è parte, oltre che le stesse garanzie costituzionali del paese. 

“Gli arresti di massa e le rimozioni dall’incarico costituiscono sviluppi preoccupanti in un contesto di crescente intolleranza verso il dissenso pacifico da parte del governo turco. Il rischio è che il giro di vite si estenda ai giornalisti e agli attivisti della società civile. Negli ultimi mesi attivisti politici, giornalisti e altre voci critiche sono stati frequentemente presi di mira e mezzi d’informazione sono stati chiusi” – ha commentato Dalhuisen.

“Ora è più importante che mai che il governo turco rispetti i diritti umani e lo stato di diritto, esattamente come i promotori del colpo di stato non hanno fatto” – ha concluso Dalhuisen. 

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