Siria. 18mila morti nelle carceri, violenze da incubo per i detenuti

La denuncia di Amnesty International

BEIRUT – Quasi 18.000 persone sono morte in carcere in Siria dal marzo 2011, dall’inizio della crisi con lo scoppio di inedite proteste contro il presidente Bashar al-Assad e l’inizio del sanguinoso conflitto tuttora in atto. E’ quanto emerge dal rapporto di Amnesty International “Ti spezza l’umanità. Tortura, malattie e morte nelle prigioni della Siria”, che stima in 17.723 il numero delle persone morte in prigione in Siria dall’inizio della crisi allo scorso dicembre: una media di oltre 300 morti al mese. Il rapporto, che contiene nuove statistiche del Gruppo di analisi sui dati relativi ai diritti umani (Hrdag), denuncia crimini contro l’umanità commessi dalle forze governative di Damasco, le terribili esperienze dei detenuti sottoposti “a una tortura dilagante”, dettagli agghiaccianti su torture, condizioni detentive inumane e decessi in massa nelle prigioni siriane. Il documento ricostruisce l’esperienza di migliaia di detenuti attraverso i casi di 65 sopravvissuti alla tortura. Dai racconti emergono le “agghiaccianti e inumane condizioni delle strutture detentive gestite dai vari servizi di sicurezza siriani” e nel carcere militare di Saydnaya, alla periferia della capitale.

La maggior parte dei testimoni, sottolinea Amnesty, ha riferito di aver assistito alla morte di compagni di prigionia e alcuni hanno raccontato di essere stati tenuti in celle insieme a cadaveri. In una nota Amnesty chiede il rilascio di tutti i prigionieri di coscienza, sottolineando come tutti gli altri detenuti dovrebbero essere sottoposti a un giusto processo in linea con gli standard internazionali oppure rilasciati, mentre osservatori indipendenti dovrebbero poter visitare “immediatamente e senza ostacoli” tutti i centri di detenzione. 

“Il campionario di orrori contenuti in questo rapporto ricostruisce in raccapriccianti dettagli le violenze da incubo inflitte ai detenuti sin dal momento dell’arresto e poi durante gli interrogatori, svolti a porte chiuse all’interno dei famigerati centri di detenzione dei servizi di sicurezza siriani: un incubo che spesso termina con la morte, che può arrivare in ogni fase della detenzione”, ha dichiarato Philip Luther, direttore del programma Medio Oriente e Nord Africa di Amnesty International. “Da decenni le forze governative siriane usano la tortura per stroncare gli oppositori. Oggi viene usata nell’ambito di attacchi sistematici contro chiunque, nella popolazione civile, sia sospettato di non stare dalla parte del governo – ha aggiunto – Siamo di fronte a crimini contro l’umanità, i cui responsabili devono essere portati di fronte alla giustizia”. “I Paesi della comunità internazionale, soprattutto Russia e Stati Uniti che condividono la direzione dei colloqui di pace sulla Siria, devono mettere questo tema in cima all’agenda delle discussioni tanto col governo quanto coi gruppi armati e – ha proseguito Luther – sollecitare gli uni e gli altri a porre fine alla tortura”.

In occasione del lancio del suo rapporto Amnesty ha collaborato con un team di specialisti di Architettura forense per creare una ricostruzione virtuale in 3D della prigione militare di Saydnaya, dove le condizioni sono “particolarmente atroci”: utilizzando modelli architettonici e acustici e le testimonianze degli ex detenuti, viene ricostruito il “terrore” quotidiano vissuto all’interno della prigione e le “agghiaccianti” condizioni detentive. La tortura a Saydnaya “pare far parte di un tentativo sistematico di degradare, punire e umiliare i prigionieri”, denuncia Amnesty che riporta come secondo i sopravvissuti a Saydnaya picchiare a morte i detenuti sia la “norma”. “Per la prima volta, mettendo insieme le tecniche tridimensionali e la memoria dei sopravvissuti, siamo in grado di entrare dentro uno dei più famigerati centri di tortura della Siria – ha spiegato Luther – La deliberata e sistematica natura della tortura nel carcere di Saydnaya rappresenta la forma più manifesta di crudeltà e di abietta mancanza di umanità”. “La comunità internazionale deve considerare prioritario porre fine a questa situazione vergognosa. Per anni la Russia ha usato il suo potere di veto all’interno del Consiglio di sicurezza per proteggere il governo siriano suo alleato e – ha aggiunto – per impedire che i responsabili di crimini di guerra e contro l’umanità fossero portati di fronte al Tribunale penale internazionale. Questo scandaloso tradimento dell’umanità di fronte alla sofferenza di massa deve cessare subito”.

La maggior parte dei sopravvissuti, le cui testimonianze hanno contribuito al rapporto, ha raccontato ad Amnesty che le torture iniziano al momento stesso dell’arresto e durante il trasferimento nei luoghi di detenzione. Qui, all’arrivo, i detenuti sono sottoposti al cosiddetto ‘haflet al-istiqbal’ (“festa di benvenuto”: duri pestaggi, spesso con spranghe di silicone o di metallo e cavi elettrici). E alla “festa di benvenuto” spesso seguono i “controlli di sicurezza” durante i quali le donne vengono sottoposte ad aggressioni sessuali e a stupri da parte di personale di sesso maschile. “Ci trattavano come bestie. Volevano raggiungere il massimo dell’inumanità. Ho visto sangue scorrere a fiumi. Non avrei mai immaginato che l’umanità potesse toccare livelli così bassi. Non si facevano alcun problema a uccidere persone a casaccio”, ha raccontato Samer, un avvocato arrestato nei pressi di Hama. All’interno dei centri di detenzione dei servizi di sicurezza, i detenuti subiscono costanti torture, durante gli interrogatori per ottenere “confessioni” o altre informazioni, oppure semplicemente come punizione, denuncia Amnesty. I metodi di tortura descritti dagli ex detenuti comprendono il ‘dulab’ (“pneumatico”: il corpo della vittima viene contorto fino a farlo entrare in uno pneumatico) e la ‘falaqa’ (“bastonatura”, pestaggi sulle piante dei piedi), ma anche le scariche elettriche, lo stupro, l’estirpazione delle unghie delle mani o dei piedi, le ustioni con acqua bollente e le bruciature con sigarette.

Ali, detenuto presso la sede dei servizi di sicurezza militari di Homs, ha raccontato di essere stato sottoposto alla tortura dello ‘shabeh’ (“impiccato”: il detenuto viene tenuto appeso per i polsi, coi piedi nel vuoto, e picchiato ripetutamente per parecchie ore). Le celle, hanno raccontato gli ex detenuti, erano così sovraffollate da rendere necessario fare i turni per dormire o, in alternativa, dormire rannicchiati. Ziad, nome di fantasia per proteggere l’identità del testimone, ha denunciato che un giorno, nella sezione 235 dei servizi di sicurezza militari di Damasco, l’impianto di aerazione si sia rotto e sette detenuti siano morti soffocati: “Ci prendevano a calci per vedere chi era morto e chi no. Ad alcuni di noi hanno ordinato di alzarci in piedi. In quel momento mi sono reso conto che c’erano sette morti, che avevo dormito accanto a sette cadaveri. Poi nel corridoio ho visto gli altri, circa 25 cadaveri”. Gli ex detenuti hanno raccontato che l’accesso al cibo, all’acqua e ai servizi igienico-sanitari viene spesso limitato. In questo ambiente, si legge nella nota di Amnesty, scabbia, pidocchi e altre infezioni proliferano. Poiché alla maggior parte dei detenuti vengono negate cure mediche adeguate, in molti casi i detenuti ricorrono a medicamenti rudimentali, cosa che ha contribuito al drammatico aumento dei decessi in carcere dal 2011, denuncia l’organizzazione. In generale, i detenuti non hanno contatti con medici, familiari o avvocati: una condizione che in molti casi equivale a una “sparizione forzata”. Amnesty sollecita, infine, la comunità internazionale ad assicurare che i sopravvissuti alla tortura ricevano le cure mediche e psicologiche così come l’assistenza sociale necessarie per la loro riabilitazione e sottolinea come molti dei sopravvissuti siano fuggiti all’estero dopo il rilascio e facciano parte degli oltre 11 milioni di siriani costretti a lasciare le loro case.

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