Emofilia. Molinari (Gaslini): “La sfida oggi è prevenire le complicanze”. L’intervista

Se i centri emofilia funzionano bene i costi del paziente si riducono anche del 60 per cento. E’ uno dei temi emersi a Torino nel corso del progetto ER Safe Fator

ROMA – “Oggi la vera sfida per chi si occupa di emofilia non è la gestione ordinaria del soggetto con forma grave, che in età pediatrica segue quasi sempre un regime di profilassi, e in età adulta ha una grande esperienza nel riconoscere e gestire gli eventi emorragici: i problemi maggiori li generano i soggetti con forma lieve o moderata. Sono pazienti che seguono una terapia ‘al bisogno’ e che, quando si manifesta questa necessità, avrebbero bisogno di una risposta competente e veloce, che non sempre trovano. A dirlo nel corso del convegno ‘L’urgenza nelle patologie emorragiche congenite’ è stato il dottor Angelo Claudio Molinari responsabile del Centro di Riferimento per le Malattie Emorragiche dell’Istituto Scientifico Giannina Gaslini di Genova. Il convegno è parte di una serie d’iniziative e incontri formativi che rientrano nel progetto ER Safe Factor voluto da Fedemo e sostenuto da Bayer. “Oggi – ha spiegato Molinari – il paziente emofilico può arrivare all’età adulta aspettandosi  di avere nella vita le stesse soddisfazioni e fare le stesse attività di un soggetto sano. A patto però che si sappiano prevenire le complicanze, che vanno dal rischio di un’emorragia grave e potenzialmente mortale fino a, casi ben più frequenti, quelle emorragie interne che portano all’accumulo di sangue a livello degli arti (emartro) o nei muscoli (ematomi). Queste sono complicanze che portare  a delle vere e proprie invalidità e di conseguenza fanno peggiorare la qualità di vita del paziente, oltre ad avere costi a lungo termine molto importanti”.    

Che succede quando un emofilico arriva in pronto soccorso in seguito ad un trauma?
In primo luogo è necessario che ci sia un’organizzazione tale da garantire al paziente di ricevere il fattore della coagulazione mancante nella forma farmaceutica normalmente utilizzata, nel più breve tempo possibile e nella dose adeguata. Se si tratta di un paziente grave che pratica normalmente la profilassi, o che ha un’elevata frequenza di emorragie, è in genere lui stesso (o i familiari) a portare da casa il farmaco. Se invece è qualcuno che segue una terapia ‘al bisogno’ la cosa può complicarsi. Magari a casa hanno il farmaco, ma proprio nel momento del bisogno si accorgono che è scaduto. E lo stesso può essere per il pronto soccorso, dove il paziente è accettato: questi prodotti vengono usati poco perché appunto sono per una malattia rara, ci si può aspettare che un grande pronto soccorso ce l’abbia, magari uno più piccolo no. Capita che scadano, ed è uno spreco perché sono farmaci molto costosi. E’ evidente che c’è un problema di organizzazione.     

E se il farmaco non è disponibile?
Vi è un rischio ragionevolmente elevato che il paziente non sia infuso con tempestività, lasciando che il sanguinamento interno prosegua, o che il paziente venga trasferito dal 118 in altri pronti soccorsi alla ricerca del farmaco. Ma il rischio è anche che in mancanza dell’assistenza di un medico esperto, il concentrato non sia infuso nella dose giusta con rischi assimilabili a quelli della non somministrazione…..     

Eppure l’emofilia, per quanto rara, dovrebbe essere una malattia nota ai medici.
Tutti conoscono la storia della Regina Vittoria e dei suoi discendenti, probabilmente, ma sulla gestione pratica nei libri non si trovano che poche righe, e molte cose negli ultimi anni sono cambiate significativamente. Come per tutte le malattie, rare e non, per trattarle bene serve esperienza, e può darsi che molti medici non abbiano mai avuto un paziente emofilico. Per trattare ‘al bisogno’ è necessario che questo bisogno venga colto. E a volte non se ne rende conto nemmeno il paziente, che magari può sottovalutare un trauma piccolo fin che l’emorragia interna non causa complicanze. In questa situazione un medico che non ha mai visto un emofilico non può essere molto di aiuto….     

Dice che il sistema non è ben organizzato, ma non ci sono i centri di riferimento regionali e i centri emofilia sul territorio?
Intanto i centri ci sono, ma non sono distribuiti in maniera omogenea, basti pensare che in Basilicata e Molise non ne hanno nemmeno uno. E poi anche dove ci sono i centri regionali regolarmente riconosciuti con apposito decreto va detto che questi, nella gran parte dei casi, non sono stati dotati, anche in termini di personale, delle adeguate risorse. I centri non sono configurati amministrativamente come dei reparti veri e propri, che hanno un personale e un organico definito, spesso sono veramente poche le persone che ci lavorano. Ed è un problema che con i tagli attuali si fa sentire ancora di più.     

In Liguria il Gaslini è l’unico centro di riferimento regionale, voi come vi trovate?
Il nostro ospedale, pur essendo un centro pediatrico, gestisce tutti i pazienti della Regione, che sono quasi 300, anche gli adulti. Abbiamo l’unico laboratorio di riferimento e sono affiancato da una collega con un incarico periodicamente rinnovato, che ha già una grandissima esperienza sul campo e una coltura formata in corsi e stage all’estero. Le cose dovrebbero cambiare in meglio con la futura riorganizzazione dell’ospedale. Per la gestione ci siamo attrezzati ma poi i problemi si fanno gestire quando in un’urgenza il paziente si rivolge al pronto soccorso a lui più vicino. In Liguria ce ne sono ben ventuno, ma non si può pensare che ognuno abbia medici esperti e abbia scorte del fattore della coagulazione necessario. Poiché l’ottanta per cento dei pazienti risiede nell’Asl tre, quella di Genova, forniamo direttamente noi i concentrati in urgenza grazie alla reperibilità nostra e dei farmacisti.  Ma non copriamo certamente tutta la regione. E qui cominciano i problemi, che sarebbero superabili con una migliore organizzazione, per alcune cose abbiamo trovato delle soluzioni, ma sono pratiche che fanno affidamento più che altro sulla volontà e la disponibilità di alcuni.     


Cioè?
In alcuni pronti soccorsi abbiamo creato uno ‘stock’ di concentrati per i pazienti che risiedono nell’area di competenza della struttura, ma non è coperto ancora tutto il territorio.
Facciamo l’esempio di un paziente che ha un trauma e non ha a casa il farmaco che utilizza normalmente. In un sistema che funziona lui chiama il 118 e questo servizio automaticamente dovrebbe sapere che a quel numero di telefono corrisponde un paziente che ha bisogno di un dato farmaco conservato in un determinato armadio, o frigorifero. In automatico il personale del 118 dovrebbe andare prima a prendere il farmaco lì dove è disponibile e poi dal paziente. E’ probabile a quel punto che non ci sia nemmeno bisogno di trasportarlo chissà dove ma che il problema si risolva con l’infusione nel luogo dove si trova. Ma questo avviene per ora in pochi casi organizzati con grande difficoltà, e ancora talvolta il paziente viene caricato e portato in giro per la città, verso un pronto soccorso più grande. Perché questo non accada più, c’è bisogno di un sistema ben coordinato.    


E se è il paziente ad andare al pronto soccorso più vicino da voi cosa si fa?    
Noi abbiamo cercato di dare un aiuto ai medici dei pronto soccorso che non hanno una competenza specifica sviluppando un sistema informatico che rende possibile una consulenza scritta sulle 24 ore.  Quando arriva la segnalazione noi siamo in grado di capire a distanza la situazione e suggerire al medico che cosa infondere, in che quantità e con quale cadenza, mandando con un palmare un documento chiaro con tanto di firma elettronica. Questo garantisce il paziente come  anche il medico che applica quel trattamento. Ora stiamo lavorando a una versione nuova del progetto, grazie a BlackBerry Italia e altri sponsor privati, anche farmaceutici. Così potremo gestire in mobilità anche le giacenze di farmaci con disponibilità e scadenze annullando gli sprechi. Però accade anche che a volte non ci chiamino. E’ comunque è un sistema che si regge sulla disponibilità di pochissimi a essere sempre reperibili, e anche questo non è facile. 
Invece un esempio di ottima organizzazione è quello dell’Emilia Romagna, messo in piedi dalla mia collega Annarita Tagliaferri con il supporto di un’amministrazione regionale decisamente lungimirante. Lì tutti i medici sapranno a breve a chi rivolgersi e come agire di fronte al paziente emofilico, c’è un ottimo coordinamento, ma è un’eccellenza non facile da replicare in tutte le Regioni.    


Se tutti i pazienti usassero la profilassi, non si eviterebbero tante complicanze?    
Probabilmente sì ma costerebbe molto, almeno nell’immediato. Anche se effettivamente conosco pazienti che passando da una terapia al bisogno a una di profilassi hanno addirittura ridotto la quantità di fattore della coagulazione utilizzato e al tempo stesso hanno una migliore qualità di vita e la situazione articolare. Ma l’indicazione alla profilassi va valutata con attenzione e singolarmente quando l’emofilico non è grave, e per questo i medici dovrebbero avere più tempo per parlare con i pazienti e far emergere le loro difficoltà, il dialogo medico paziente è fondamentale anche per questa patologia. La cronica mancanza di risorse umane si riflette anche su questi aspetti.  La letteratura dimostra che se i centri emofilia funzionano bene, i costi di questi pazienti si riducono anche del 60 per cento: parliamo di decine di migliaia di Euro. Ma è un mesaggio che non raggiunge gli amministratori.

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