Screening, studio austriaco su malattie lisosomiali mostra incidenza maggiore di quella attesa

Su quasi 35mila neonati individuati 15 casi di malattia, molti quelli ad esordio tardivo

ROMA – Quando esiste una terapia efficace generalmente aumentano le diagnosi e l’interesse a giungervi più velocemente possibile. Molte malattie da accumulo lisosomiale negli ultimi anni hanno visto approvate terapie enzimatiche sostitutive efficaci: per questo si discute della possibilità di effettuare lo screening neonatale. In Italia larga parte della comunità scientifica ritiene che effettuarlo su tutti i nuovi nati sarebbe troppo complesso e costoso considerato il basso numero di bambini che verrebbero diagnosticati (vedi intervista alla Dottoressa Mongini). Per lo più si propende per uno screening selettivo sui casi che destino anche solo il minimo sospetto. La questione però è tutt’altro che chiusa, lo dimostra un articolo recentemente pubblicato sul  Lancet e  firmato da un gruppo di ricercatori dell’Università di Vienna.

“In Austria  – spiegano gli autori – è stato effettuato uno studio prospettico di screening per la malattia di Gaucher, la malattia di Pompe, la malattia di Fabry, e la malattia di Niemann-Pick tipo A e B, che ha incluso l’analisi di mutazione per valutare la praticabilità e l’opportunità di includere queste malattie nei panel di screening neonatale”. Gli esami sono stati compiuti su macchie di sangue secco di 34.736 neonati.    
I campioni, anonimi, sono stati analizzati per l’attività enzimatica di beta-glucocerebrosidasi, alfa-galattosidasi, alfa-glucosidasi, e sfingomielinasi acida mediante spettrometria di massa tandem a ionizzazione elettrospray. Le analisi di mutazione nei campioni sono state effettuate in caso di sospetto deficit enzimatico.
“In 38 dei quasi 34mila campioni – riassumono gli autori – sono state rilevate basse attività enzimatiche ma solo in 15 casi l’ulteriore analisi delle mutazioni ha confermato la presenza della malattia da accumulo.

L’analisi mutazionale ha rilevato prevalentemente mutazioni missense associate a un fenotipo ad esordio tardivo”.    
Lo studio rilancia due differenti problematiche.     
Da una parte, stando ai dati dello studio, la proporzione complessiva di neonati portatori di una mutazione per una malattia da accumulo lisosomiale è risultata superiore alle attese. Significa che l’incidenza di queste patologie potrebbe essere superiore a quanto si ritiene e conferma l’esistenza di un numero non indifferente di casi che sfuggono alla diagnosi. Questo sarebbe un punto a favore dello screening, che si questo neonatale o su specifiche coorti.     
Dall’altro, però, lo studio ripropone il problema non ancora del tutto risolto di una diagnosi precoce, addirittura neonatale e comunque in fase asintomatica, di malattie – come quella di Pompe – che possono esordire molto avanti nell’età. Un rischio concreto dimostrato proprio dal fatto che l’analisi delle mutazioni genetiche ha rilevato prevalentemente la presenza di questa tipologia di malattia. Se si fosse trattato di test non anonimi ci si sarebbe trovati di fronte al problema di comunicare (o non comunicare) alle famiglie la diagnosi di una malattia che si sarebbe potuta manifestare a 15 – 30 o anche a 50 anni. Su come affrontare questa problematica il dibattito è ancora aperto.

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