Venezia 69. “Pietà”: denaro e violenza nel Leone d’oro. Recensione. Trailer

ROMA – Nel quartiere di Cheonggyecheon l’incubo dei proprietari delle officine manifatturiere si chiama Kang-do, lo strozzino incaricato del recupero crediti.

I suoi metodi sono crudeli e per questo efficaci: mutilare i debitori per poter incassare i soldi dell’assicurazione. Qualcuno preferisce morire piuttosto che restare storpio a vita, imprigionato nelle grinfie di un vero e proprio demonio. All’improvviso compare in scena una donna misteriosa che dice a Kang-do di essere sua madre. In lei prevale la necessità di scrollarsi di dosso il senso di colpa per aver abbandonato il ragazzo trent’anni fa, in lui domina inizialmente la rabbia che chiude la strada al perdono. Sarà proprio l’affetto materno a far convertire Kang-do e a fargli provare quel sentimento di pietà che tante volte le sue vittime avevano invocato.

Il diciottesimo film di Kim Ki-duk – come sottolineano i titoli di testa – non si discosta tanto dalla filmografia del regista coreano, trionfatore dell’ultima Mostra del cinema di Venezia. Lo stile registra qualche significativa variazione, come le improvvise zoomate che frammentano il flusso delle immagini, mentre i temi sono quelli a cui il regista è più affezionato: la violenza, su uomini e animali, il sacrificio, la vendetta. La riflessione dell’autore questa volta si sposta sul ruolo del denaro nella società capitalistica che sembra andare a braccetto proprio con la violenza, l’elemento che caratterizza ogni rapporto umano presente nel film. La dialettica dei sentimenti opposti – l’amore e l’odio, l’empietà, la depravazione e la devozione – di cui il regista vuole scoprire i confini, sono incarnati a fasi alterne dai diversi personaggi che finiscono per diventare i protagonisti di un gioco con continui ribaltamenti di ruolo.

Pietà
Un film scritto, diretto e prodotto da Kim Ki-duk
Con Cho Min-soo e Lee Jung-jin

Pietà – trailer

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