In uscita Piccioni e farfalle fanno la rivoluzione. Intervista all’autore

ROMA – L’1 marzo esce ufficialmente l’attesa versione cartacea di “Piccioni e farfalle fanno la rivoluzione – Neve a Primavalle”, romanzo già edito da DazebaoNews in una versione a puntate nel 2014, che ha riscosso i favori del web segnando migliaia di lettori, follower e Mi Piace, convincendo così Terre Sommerse a investire nel testo in un momento difficile anche per il mondo dell’editoria.

Abbiamo intervistato Maurizio Mequio, redattore del nostro giornale, antropologo, educatore, ma soprattutto autore di “Piccioni e farfalle”.

Come arrivi a scrivere un romanzo?

Ci arrivo male, per incomprensioni con gli altri legate al linguaggio, e per noia da sabato sera, di fronte a un bivio: parlare di calcio e politica o spaccare tutto cantando la ninnananna su Foucault e Deleuze? Ci arrivo anche per rispondere a chi crede che scrivere sia scrivere per sé stessi o peggio ancora, che tradursi sia troppo pericoloso. Ci arrivo perché avevo bisogno di allenarmi a parlare con mia figlia e i linguaggi in cui mi ero finora cimentato non erano indicati. Ce lo vedi un neopapà come me a parlare in forma scientifica oppure giornalistica, perché si sa che quando si è di fronte a discorsi importanti si cerca di darsi un tono, no? Invece è il caso di parlare come tutti quanti, come sempre, ma senza abbassare l’asticella, come direbbe Delemberte.

Che libro consiglieresti di leggere a un giovane?

“Piccioni e farfalle fanno la rivoluzione”. Sicuro! Poi se hanno tempo si leggessero “Occhio a Pinocchio” di Jamila Ockayovà, si rileggessero “Il Piccolo Principe”, ogni settimana, ma anche “il Giovane Holden”, “Ebano” di Kapuscinsky, “La luna e i falò” e perché no? “Due di due”.

Cosa pensi degli eBook?

A me piacciono, ma in un’ottica free. Nel senso di una riproduzione digitale per tutti dell’oggetto cartaceo per pochi, non eletti, ma veri amanti del testo. Ho molta stima dei Wu Ming e sono pienamente in sintonia con la loro politica di distribuzione del sapere. Da anni pubblicano in cartaceo, ma regalano una versione digitale a tutti, scaricabile dal loro sito. Nel mio piccolo ho voluto che restasse una versione free di Piccioni e farfalle a disposizione di tutti, quella a puntate di Dazebao, raccolta anche su  www.piccioniefarfalle.tk  . Per un esordiente della narrativa è molto rischioso, ma ho trovato degli editori più spericolati di me.

La scrittura vera è quella del romanzo popolare?

La scrittura vera è nella parola, che in un mondo di parolacce buttate all’aria dovrebbe far pensare. Nessuna cosa è (sia) dove la parola manca, così dice una poesia di George analizzata da Heidegger in “In cammino verso il linguaggio”. Ecco, immagino che alla parola capace di far esistere, di realizzare, di creare, di modificare questo mondo di merda, a questo tipo di parola, a una parola poetica, dovrebbe tendere la vera scrittura.

Cosa ti ha spinto a scrivere questo libro?

L’amore per il mio quartiere e per tutti i Sud del mondo, quegli angoli bui che sono bui solo perché qualcuno ha deciso di puntare il faro altrove. Volevo fare una prova, vedere se portando la piazzetta in un romanzo, questa si trasformasse da non luogo a luogo vero e proprio, di carne e ossa.

Quale messaggio vuoi inviare al lettore?

Di non avere paura, di non cercare di essere come i potenti, che siamo tutti benzinai, sporchi di bitume, fuori, ma puliti dentro. Che siamo degli eroi quando camminiamo per la strada, quando la abitiamo. Con le nostre lotte per arrivare alla fine del mese. Che insieme ce la si può fare, che la parola è la nostra arma e che solo se ci si mette insieme questa dà sfogo alla sua potenza e magicamente diviene linguaggio. Linguaggio altro da tutto ciò che ci intristisce e anestetizza.

La scrittura era un sogno nel cassetto già da piccolo o ne hai preso coscienza pian piano nel corso della tua vita?

Era il mio sogno da piccolo, poi mi ero dimenticato addirittura come funzionasse la punteggiatura. Mia moglie mi ha fatto rinascere, mi ha costretto a riprendere a studiare, è incredibile questa cosa, lo so, ma è così, diaciamo che è incredibile mia moglie, e come ai banchi di scuola, pur di non fare il mio dovere ho riniziato a scrivere, a scarabocchiare, di tutto.

C’è un episodio legato alla nascita o alla scrittura del libro che ricordi con piacere?

Sì, questo romanzo l’ho scritto mentre lavoravo in un Centro di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati politici. Giravo sempre con il computer in macchina, mi ricordo che un giorno di ritorno dal turno di notte avevo in mente qualcosa e mi sono fermato all’autogrill del raccordo, con due occhiaie che arrivavano a terra, volevo un caffé, ma non scesi, mi misi a scrivere un capitolo felice fino ad addormentarmi un attimo e poi correre a casa per leggerlo a mia moglie.

Ha mai pensato, durante la stesura del libro, di non portarlo a termine?

No. Mai. Non so perché, ma sapevo che lo avrei finito.

Cosa ha significato Dazebao per “Piccioni e farfalle”?

Tutto. L’idea del feuilleton mi era venuta tanto tempo fa, con Alessandro Ambrosin l’avevamo sperimentata con buoni risultati per “Diario dalla Terra” e per “Pd. In fondo a destra”, ma mai avrei immaginato di arrivare a tante persone come con “Piccioni e farfalle” e in una modalità così intensa. La differenza credo l’abbiano fatta i social, a cui questa volta ho dedicato più attenzione. “Piccioni e farfalle” ha coinvolto dei grandi artisti, i miei contatti e i loro contatti, creando una bella comunità, capace di produrre una colonna sonora del romanzo e due reportage fotografici. Anche il contributo di Omino71, con lo splendido disegno in copertina, mi ha aiutato tanto. Dazebao è stata una vetrina, ma non solo, un libero terreno di sperimentazione, uno dei pochi che nel mondo dell’informazione abbia finora incontrato.

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