Enrico Brignano, cuore e anima di Roma

Cinquant’anni di vita, trent’anni di carriera, una passione viscerale per il teatro e una buona riuscita anche al cinema e in televisione; scuola Proietti, valente scrittore, finissimo umorista e discreto polemista anche per quanto concerne le questioni politiche: parliamo di Enrico Brignano, un simbolo della romanità contemporanea, nativo della frazione di Dragona, con i suoi pregi e i suoi difetti, le sue virtù e i suoi vizi, le sue caratteristiche e la sua levantina propensione a lasciare che tutto scorra, che tutto si dipani secondo regole ormai consolidate, che tutto cambi affinché nulla cambi, in una sorta di eterno gattopardismo all’amatriciana, non poi così dissimile da quello magistralmente descritto da Tomasi di Lampedusa ne “Il gattopardo”.

Da questo punto di vista, tuttavia, Brignano costituisce un grido, un urlo ironico ma graffiante, una denuncia simpatica e apparentemente disimpegnata ma in realtà pungente di tutto ciò che non va, di una realtà insostenibile, di un contesto storico difficile da decifrare e anche da vivere, data la sua mutevolezza, la sua assurdità e le sue caratteristiche a metà fra la follia e l’inquietudine, l’assedio e la perdita di ogni speranza. 

Proprio come Proietti e come altri grandi della scuola comica romana, anche Brignano ha la capacità di ricoprire ruoli intensi e ruoli spensierati, di interpretare personaggi scanzonati e vagamente naïf come il Giacinto di “Un medico in famiglia” e figure appassionanti come il Rugantino di Garinei e Giovannini, emblema della romanità nonché consacrazione di alcuni dei suoi massimi interpreti: da Nino Manfredi a Toni Ucci, senza dimenticare Enrico Montesano e Valerio Mastandrea. 

Poliedrico, dunque, abile nel mutare d’abito e d’atteggiamento a seconda dei contesti ma non per questo voltagabbana o privo di una rettitudine morale, talvolta, come detto, anche politicamente impegnato, battagliero a modo suo, pur caratterizzando ogni sfida con quel senso dell’umorismo e della leggerezza che lascia intravedere sullo sfondo Calvino e le grandi maschere della commedia dell’arte. 
Stupisce, incanta, diverte, si muove da istrione sul palcoscenico ma possiede comunque uno spiccato senso del collettivo e della comunità, padroneggia molteplici registri e sa essere, al tempo stesso, mattatore e spalla, talvolta finanche di se stesso: un attore completo, quindi, cui forse manca solo una parte drammatica per affermare definitivamente le proprie qualità. Non ci sorprenderebbe se ci stesse già pensando, trattandosi di un uomo curioso e appassionato del proprio lavoro, al pari di quegli esploratori sempre alla ricerca di un nuovo viaggio e di una nuova terra da scoprire. E su quel lembo di meraviglie chiamato novità attendiamo all’opera questo cantore della Roma contemporanea, innamorato della sua città ma sufficientemente critico per metterne in evidenza difetti, limiti, contraddizioni e mancanze, senza pretendere di avere la verità in tasca, lui che, come tutti i dissacratori di professione, non può fare a meno del dubbio.

 

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