“Luana” di Francesco Costanzo

Continuiamo il racconto di Francesco Costanzo  “Luana” dove vediamo il seguito ironicamente delle disavventure di un Casanova romano

VI

Il benzinaio mi lasciò parcheggiare davanti al distributore  della benzina verde … nonostante il traffico dell’ora di pranzo del sabato … strano.
Pensai all’inizio, quando lo vidi sbracciarsi per indicarmi di parcheggiare nell’area del distributore, che stesse scherzando. Mi avvicinai incredulo verso di lui a venti all’ora … mi fece segno di andare più veloce. Pensai che mi avrebbe menato.
Gli avevo rotto le scatole un sacco di volte con la mia macchina. E per di più mi aveva visto uscire con le due donne più fiche del quartiere.
Invece no.
Non scesi subito dall’auto.
Abbassai il finestrino per cautela e neanche tanto, non a sufficienza per impedirgli di infilare la mano dentro la macchina.
Ma mi rassicurai quasi subito. Non stava scherzando:
“Lasciala qui la macchina tranquillo, mettila vicino alla pompa della benzina verde, tanto io mi organizzo lo stesso”.
Che mi avesse scambiato per qualche politico?
Non cincischiai troppo. Il posto mi serviva come il pane. E per qualche ora.
Quella volta ero invitato a pranzo a casa di Luana
“Grazie, ma io dovrei stare un paio di orette”
“Non ti preoccupare, tanto io tra un’ora chiudo e la puoi lasciare qui quanto ti pare”
“Vai da Luana eh?” disse con un gesto eloquente della mano che mi mise un po’ in imbarazzo.
Gli mostrai i fiori tanto per placarlo un attimo.
“Gran bella ragazza la Luana e anche la madre è una gran bella …”
“Si, si” e lo bloccai.
“Mi raccomando però comportati bene, Luana è mia nipote, la figlia di mio fratello”
Adesso stava rimettendo in viso il suo ghigno minaccioso.
Lo riconobbi nuovamente.
“Si, si tranquillo. Comunque mi chiamo Francesco”
“Ernesto piacere ma puoi chiamarmi zio Ernesto. Sai le prime volte che un uomo viene a prendere Luana io sono sempre un po’ guardingo. Ma superata la quarta quinta volta, metto il semaforo verde.”
“Grazie zio Ernesto. Allora adesso vado che sono un po’ in ritardo. Ciao!”
La sua stretta di mano fu a dir poco energica.
Nel frattempo Luana si era affacciata.
Sentii la sua voce celestiale salutare lo zio Ernesto.
Presi le scale.
Dell’ascensore non mi fido mai. Sono rimasto chiuso dentro due volte e mi sono sentito morire.
Erano sette piani. Me li feci tutti d’un fiato.
Troppo tutti d’un fiato.
Per fortuna il bacio di Luana mi rianimò all’istante.
Mi tirò dentro casa.
Cercai di articolare le parole che avevo costruito nella mia testa mentre salivo le scale.
“Scusa ma non me lo potevi dire che il benzinaio è tuo zio? Se oggi non avesse fatto lui il gesto di riappacificazione sarebbe finita a male parole come minimo”.
“Tranquillo lui ricompone sempre le situazioni con i miei spasimanti poco prima che esplodano”.
“Ho capito però se me lo dicevi sarei stato anche un po’ più gentile”.
“Fa parte del percorso di guerra con me. Prima il cane, poi la mamma, poi lo zio … poi…”
Abbozzai un sorriso.
Ma mi giravano non poco.
Però lei era troppo stupenda per obiettare qualunque cosa.
Pur di averla avrei fatto qualunque cosa.
E ormai ero a casa sua, io e lei da soli.
Era in assetto da combattimento.
Le gambe mi si offrivano nude nella loro perfezione artistica.
Il seno sfidava la forza di gravità.
Mi fece accomodare sul divano.
Mi portò l’aperitivo.
Una musica misteriosa fluttuava nell’aria.
I miei sensi erano scossi e non solo.
Cominciammo a baciarci sul divano.
In modo appassionato.
La strinsi a me. La palpai a fondo.
Anche lei cercò le mie parti intime.
Le tolsi la gonna.
Il semaforo era verde. Niente slip.
Avvicinai la mia testa al suo ventre come un cane fedele.
Cercai di guadagnarmi la pagnotta.
E non era per niente un hard work.
Aspettai che invocasse il mio cambio di marcia.
Ma non lo fece esplicitamente. I suoi movimenti e i suoi sospiri mi indirizzavano però sempre più in quella direzione.
Mi decisi.
Presi il fidato palloncino e lo indossai.
La guardai. Mi guardò.
Mi sorrise. Silenzio-assenso?
Mi piegai su di lei.
Ma la sua mano si piantò con forza sul mio stomaco.
Passaggio a livello all’ultimo secondo.
Mi misi seduto accanto a lei ancora ansimante.
“Che succede?”
“Non me la sento, è ancora presto”.
Pensai che forse poteva  c’entrare qualcosa quello che era successo con la madre. Sapeva qualcosa o lo sospettava?
Provai a smuovere le acque.
“Ma non è che temi che possa tornare tua madre da un momento all’altro?”
“No, non è quello mia madre non torna prima di stasera. Ma tu l’hai vista per caso recentemente?
Eccola si scopriva …
“Ma” dissi un po’ imbarazzato “dove la dovrei incontrare?”
“Ma lei comunque lavora nella zona dove abiti tu quindi pensavo che magari per caso …”.
“No non l’ho più vista” dissi più risoluto.
Cercai di mantenere la calma ma ero furibondo.
Ero arrivato  vicinissimo all’estasi ed ero stato ricacciato indietro.
Ma forse era colpa mia.
Forse mi ero giocato tutto con l’incauto coito con la mammina.
Le carezzai il viso.
Poi la baciai sulla fronte.
Perfetto romantic style.
“Non preoccuparti tesoro, se non sei pronto sarà per un’altra volta”
Sorrise
Si appese letteralmente al mio braccio.
Accese la tv.
Guardammo un film di totò.
Rise molto.
Io mi sforzai di ridere.
Ma un po’ mi veniva da piangere.

VII

Non me ne accorsi subito.
Avevo sempre la sensazione che qualcuno mi stesse pedinando, ma in genere spesso mi sento osservato quando cammino per strada.
Quindi non detti molto peso a questa sensazione. Mi ero un po’ fissato, pensai.
E d’altronde mi capitava di fissarmi su delle cose.
Non era mica roba da starci male.
Ognuno ha le sue fissazioni.
Però effettivamente mi sentivo come una telecamera puntata addosso in continuazione.
Insomma i sospetti c’erano ma le prove tardavano a venire.
Mi muovevo comunque con circospezione da varie settimane.
Niente più osservazioni troppo meticolose della fauna di città, niente raid nei reparti di cosmetici femminili dei grandi magazzini.
Neanche i manichini delle donne di certi negozi guardavo più.
Eppure ce ne sono alcuni di veramente fantastici.
Vicino casa mia una volta c’era un manichino di donna messo a novanta gradi con un’espressione del viso da film erotico di gran classe.
Violava la pubblica decenza?
Forse. Ma ormai come si fa stabilire cosa è decente e cosa non lo è?
E come fa la Chiesa ad arrogarsi tale diritto?
Quando vedo tutte le chiese di Roma con tutti i loro sfarzi penso che dovrebbero tacere per ‘pubblica decenza’.
Perché sono i più ricchi del mondo e dicono che aiutano i poveri. Lo so non c’entra un cazzo con la pubblica decenza, però ecco la chiesa “muta deve stare” questo è il concetto.
Mi sforzavo di restare irreprensibile, ma alla fine mi feci beccare.
E non fu colpa mia.
È che proprio alle volte la sfiga ti si appicca addosso e non ti molla.
Accade una mattina freddissima.

Stavo uscendo di casa per andare al lavoro.
Ero in ritardo come al solito.
Avrei dovuto prendere un taxi per arrivare puntuale.
Intanto scesi le scale più in fretta che potevo.
Aprii il portone e senza guardare svoltai verso sinistra.
Non feci più di due passi.
L’atterraggio fu morbido. Fui letteralmente respinto da due airbag.
Le tette di Joyce per fortuna arrivarono prima della sua testa ed evitarono la dolorosa craniata.
Petto contro petto per fortuna.
E la dovetti abbracciare.
Loredana era lì con la sua smart nera.
La vidi passare mentre io e Joyce cercavamo entrambi di scusarci.
Cercare di spiegarle l’equivoco sarebbe stato inutile: l’abbraccio, assolutamente fortuito, per Loredana era una prova più che certa e in effetti l’abbraccio sembrava reale.
Visto che le sanzioni di Loredana si sarebbero comunque abbattute su di me, mi dilungai un po’ con Joyce.
Era giamaicana, separato da un bastardo romano che la tradiva da tre anni.
Adesso faceva la parrucchiera.
Mi disse che se volevo potevo passarla a trovare al negozio per un caffè.
Annotai l’indirizzo del negozio, tanto ormai perso per perso.
Poi mi incamminai verso il mio amaro destino.
La smart nera era vicino alla metro.
Mi aveva seguito per settimane.
Conosceva tutti i miei movimenti.
E’ impossibile competere con la scaltrezza di una donna anche se io sono davvero tonto.
Mi fece salire in macchina.
Misi le mani avanti subito.
“Lo so che non ci credi ma quella donna di colore con cui mi ha visto abbracciato io non la conosco. Questa mattina l’ho incontrata per la prima volta. Insomma prima di abbattere i tuoi strali su di me non credi che dovresti beccarmi un po’ di più con le mani nella marmellata?!
“Ma non è quello il problema … posso anche credere a questa storia … però il problema è il tuo atteggiamento complessivo… io ti ho seguito in queste ultime settimane e ho visto che…”
“Scusa ma tu non devi lavorare?”
“Ho tanti bravi giovani avvocati che mi possono sostituire … dunque ti dicevo, non cercare di svicolare …”
Sembrava proprio incazzata. Mi ritrassi con la testa fino al vetro assumendo un’aria innocente. Provai a interromperla..
“Ma che ho fatto? Non guardo nessuna per strada. Sto sempre da solo con il mio walkman..”
“Si chiama i-pod” puntualizzò con tono professorale
“Va bene, io sono affezionato ai termini tradizionali. Quando mia nonna mi regalò il primo walkman si chiamava walkman … quindi perché dovrei cambiargli il nome?
“Comunque al di là del walkman sembri troppo un cane bastonato. Si vede che ti limiti apposta, che se potessi guarderesti tutte le donne che ci sono in giro. Le cose devono venire spontanee. Non devono essere artificiali, costruite”.
“ Quindi?” azzardai
“Quindi niente, sono molto vicino alla decisione di comunicare a mia figlia di lasciar perdere con te”.
“Ma tu lo sai che potrei denunciarti per questi appostamenti che mi fai?”
“Non credo proprio” disse sicura.
La fissai. Non capivo dove volesse arrivare.
“Allora tu tacitamente hai accettato di farti seguire. Io te l’ho detto che ti avrei tenuto d’occhio e tu hai accettato. È come se avessimo concluso un contratto. Noo?”
Non credevo alle mie orecchie. Le mie sepolte nozioni di diritto si ribellarono.
“Un contratto nullo perché contrario alla legge … non si può fare un contratto avente ad oggetto un diritto indisponibile come quello alla privacy…”
“Bravo sei un ottimo avvocato. Peccato che l’esame non l’hai mai superato …”
A quel punto realizzai che la mammina di Luana era cotta di me.
Insistere non sarebbe servito a niente.
Mi rimisi alle sue pazze conclusioni legali e accettai il verdetto.
Per lo meno riuscii ad ottenere che il periodo di osservazione  avesse un termine certo.
Mi diede altre due settimane per risalire la china.
Ma mi avvertì che avevo poche possibilità. Ero quasi spacciato.
Mi accompagnò al lavoro. Arrivai in tempo. Almeno quello.

VIII

Joyce mi cercò su face book.
E mi inviò un bel bacio telematico sulla bacheca.
A quel punto  quando Luana mi mandò un sms convocandomi a cena a casa alla presenza anche della madre quella sera mi sentivo veramente come un dead man walking.
Entrambe erano mie amiche di face book.
Entrambe compulsavano face book molteplici volte al giorno.
Risposi con un “agli ordini” accompagnato da un punto esclamativo per cercare di alleggerire un po’ l’atmosfera, ma ero sicuro che quella sarebbe stata la mia ultima cena nella casa di quelle donne.
Se dovevo uscire di scena però lo volevo fare in grande stile.
Cominciai dall’abbigliamento.
Tirai fuori il mio abito grigio scuro, quello dei matrimoni.
Lo avevo indossato l’ultima volta al matrimonio di mio fratello.
Avevo fatto un figurone.
Lucidai le scarpe.
La cravatta la evitai.
Mi sembrava un po’ troppo.
Decisi di non prendere la macchina quella volta.
Presi un taxi.
Comprai due enormi mazzi di fiori, due cd di Lang Lang e due collane.
Si sarebbero ricordate di me, in ogni caso.
Lo zio Ernesto mi aspettava sotto il palazzo.
Aveva dismesso la divisa da benzinaio, indossava dei jeans da adolescente, con buchi da tutte le parti.
Era ridicolo.
Nonostante fossi abbastanza teso perché stavo andando al patibolo, mi veniva comunque da ridere.
Mi dovetti trattenere e non fu facile.
È una mia caratteristica.
Ogni volta che qualcuno mi fa ridere non riesco a trattenermi. Devo per forza ridergli in faccia.
Mi accolse comunque in modo abbastanza affettuoso.
Lo zio Ernesto era ancora dalla mia parte, probabilmente non era a conoscenza delle mie malefatte.
“Come stai Francesco? Oggi senza macchina? Come adesso che hai il parcheggio sicuro non vieni più in macchina?”
Non mi andava di spiegargli tutto il mio travaglio psicologico.
E così mi limitai a constatare che la mia macchina era dal meccanico e avevo dovuto prendere un taxi.
Anche lui era invitato a cena. Che stronze, mi avrebbero smerdato anche davanti allo zio benzinaio.
Forse le collane le avrei potute evitare.
Ero ancora in tempo. I pacchettini erano separati. Avrei potuto consegnare solo i cd e i fiori.
La tavola era apparecchiata con tutti i crismi.
Sembrava la sera della vigilia di natale. La tovaglia rossa, le candele, sei-sette piatti per ciascuno, tanti bicchieri.
Almeno avrei mangiato bene.
Mamma e figlia facevano a gare a essere più fighe.
Erano in gonna corta entrambe, tacco alto, rossetto rosso. Entrambe sembravano uscite fresche dal parrucchiere.
E mi sembravano allegre, frizzanti, non certo avevano la faccia di due che stavano per darmi il benservito.
Consegnai i miei regali.
Li scartarono festanti.
Lo zio rideva di gusto anche lui. Mi diede una robusta pacca sulle spalle
“Ti sei proprio svenato con tutti ‘sti regali eh? Ma tanto te lo puoi permettere con il lavoro che fai …”
Anche lui come benzinaio proprietario della sua pompa di benzina non doveva passarsela male, ma evitai di ribattere.
Ci sedemmo a tavola.
Mi era venuta una gran fame. I profumi dei cibi si mischiavano a quelli delle due donne e cominciai a sentirmi meno in pericolo.
Forse l’avevo fatto franca anche questa volta.

E qui finisce il racconto di Francesco Costanzo …  Qualsiasi vostro commento è gradito … a presto.

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