Biennale di Venezia. L’IILA presenta l’Indipendenza latinoamericana

VENEZIA – Entre Siempre y Jamás (Fra Sempre e Mai) è la mostra presentata dall’Istituto Italo Latino Americano alla 54° Biennale di Venezia ed  è dedicata al Bicentenario dell’Indipendenza latinoamericana. Il titolo dell’esposizione riprende un verso di una poesia dello scrittore uruguayano Mario Benedetti.

Anche in questa occasione l’IILA (Istituto Italo-Latino Americano), che opera per la cooperazione tra America Latina ed Europa, come sottolinea il suo Segretario Generale Giorgio Malfatti di Monte Tretto, si propone quale ‘strumento di osservazione e di comprensione del continente Latino Americano, della sua diversità culturale che diviene sinonimo di ricchezza da tutelare e trasmettere’.
La mostra si ispira alla Carta de Jamaica (lettera di Giamaica) di Simon Bolivar, uno scritto indirizzato ad un amico inglese dal suo esilio di Kingston, in cui Bolivar si rammarica per il futuro incerto dell’America Latina.
Le opere esposte dei venti artisti provenienti dai vari paesi latinoamericani, oltre a quattro artisti europei, offrono non solo una lettura in chiave contemporanea del pensiero di Bolivar, ma anche di alcuni specifici aspetti dell’attuale realtà del continente Latino Americano. Il fine non è tanto quello di fornire un disegno politico o soluzioni a problemi contingenti, ma piuttosto di re-interpretare il progetto ‘utopico’ di Bolivar, esplorare i 200 anni dell’Indipendenza dell’America Latina e il suo patrimonio culturale.

L’arte diviene in questo modo un’occasione di riflessione e un efficace strumento di analisi per comprendere il senso storico, sociale, culturale che il Bicentenario rappresenta per un continente in piena e frettolosa evoluzione. Il suo significato infatti varia a seconda dei punti di vista e può essere un momento di presa di coscienza e un modo per imparare dalla storia, anche per non ripeterla. Gli artisti che hanno partecipato a questa mostra sono riusciti ad intrecciare abilmente i fili di una storia fatta di sovrapposizioni tra passato, presente e futuro, che concentra in sé contraddizioni e sfaccettature e lo hanno fatto muovendosi essenzialmente su tre assi tematici. Alcuni di loro hanno rivisitato e rielaborato, talvolta anche in chiave ironica se non addirittura sarcastica, la storia di questo continente. E’ il caso dell’artista uruguayano Martin Sastre che ha lavorato sul tema della nuova ‘dipendenza’ dell’America Latina nei confronti dell’America del Nord. Lo ha fatto re-interpretando in chiave ‘pop’ la realtà, anzi offrendo una ‘cover’ di quest’ultima. In Spagna ha trovato un sosia dell’attuale Presidente degli Stati Uniti e con lui ha realizzato una performance dal titolo appunto ‘Tango con Obama’ in cui ballano un tango di fronte al Museo Reina Sofia.

L’artista guatemalteca Regina José Galindo realizzando un ‘Falso Leone d’oro’ (ambito premio della Biennale, da lei stessa vinto nel 2005 come artista under 35) cerca la strada migliore per cancellare ed abbattere l’eredità della dominazione coloniale degli ultimi secoli, così come le sue forme sociali crudeli, distruttive e di depredazione (l’opera ‘Looting’/’Saccheggio’, sempre in mostra, ne è una simbolizzazione contemporanea).
Altri artisti si sono concentrati sulle tradizioni ed eredità indigene spesso sconosciute e lontane di questo continente. Neville D’Almeida, artista brasiliano, ha documentato una comunità indigena di circa 700 abitanti nel villaggio Caiapò Ukre, ubicato nell’entroterra del Brasile. Ne ha evidenziato i rituali, le danze, i canti tribali, quindi la sua cultura rimasta intatta e non contaminata dalla modernità, ma soprattutto la forte relazione che esiste ancora tra uomo e natura.

Altri ancora, si sono soffermati sul concetto di precarietà del contemporaneo. La serie di sculture ‘Joyas de Pobre’ (Gioielli per Poveri) di Rolando Castellon  ad esempio è un insieme di oggetti decorativi, realizzati con materiali poveri, che simulano una serie di gioielli modesti, appunto per poveri. Castellon critica la disuguaglianza socio-economica della sua regione (Nicaragua) nota per la rapacità delle sue classi ricche, completamente estranee ad ogni responsabilità sociale in un regime socioeconomico che non è né nuovo né liberale.
L’artista dominicano David Pérez Karmadavis, attraverso una performance ripresa in video, ha voluto presentare simbolicamente la situazione di Haiti e della Repubblica Dominicana, due luoghi uniti dallo stesso corpo territoriale, ma fondamentalmente divisi non solo da posizioni politiche ma anche da beghe di confine e da piccoli egoismi di territorio. Simbolo di queste due realtà sono due invalidi: un dominicano cieco che porta in braccio una haitiana senza gambe. Insieme creano una ‘struttura’ unita, coesa che gli consente di procedere, di andare avanti in strada, superando ciascuno i propri limiti fisici: potere dell’unione e della collaborazione anche in un comune contesto di difficoltà.
Nel loro gioco di interazioni le opere di questa mostra stimolano ad una serie di considerazioni e l’arte diviene il mezzo non solo per rileggere il passato ma anche per proiettarsi verso l’avvenire. Anche i  festeggiamenti per il Bicentenario, hanno un significato se si staccano dalla pura e semplice celebrazione del passato e diventano invece lo spunto per una riflessione sui risultati raggiunti, in cui il presente diviene proiezione ma anche definizione del futuro.

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