ROMA – Già nel 2008 Andrea Jublin aveva fatto colpo sulla giuria degli Oscar, conquistandosi una nomination per il cortometraggio Il Supplente.
Quest’anno il regista torinese ha portato nelle sale Banana, una commedia divertente e profonda alla stesso tempo, ma soprattutto un film come raramente se ne vedono in Italia. È la storia di un ragazzino, soprannominato appunto Banana, con una grande passione per il calcio brasiliano e un ottimismo apparentemente inesauribile. La vita, certo, non gli risparmia schiaffi: è cicciotto, decisamente “sfigato”, e spesso è bersaglio delle prepotenze dei compagni di classe. Ma lui non si arrende mai, e in un mondo dove tutti si rassegnano e faticano a sognare, affronta ogni cosa con la stessa intraprendenza dei calciatori che ammira. La sfida più difficile, però, arriva quando si innamora di una delle ragazze più carine della scuola. Anche stavolta non si dà per vinto e decide di aiutarla a non essere bocciata, ma l’ardua impresa metterà a dura prova anche il suo proverbiale ottimismo.
Banana è un film che merita di essere visto. Prima di tutto perché riesce ad usare i toni della commedia per raccontare una storia profonda, che diverte senza nascondere l’amarezza e che affronta temi impegnativi senza cadere nel buonismo o in soluzioni di maniera. In più, il mondo dei ragazzi è rappresentato in maniera efficacissima, in tutta la sua complessità: un vero e proprio termine di paragone con la realtà degli adulti. Merito anche di un cast azzeccato e di una scelta di toni che non sacrifica né l’umorismo, né la riflessione. A Roma non ha forse ottenuto la distribuzione che meritava, ma chi lo ha visto ha potuto concedersi una parentesi di cinema un po’ diverso dal solito, che può piacere o non piacere, magari, ma che di sicuro ha colori e contenuti assai interessanti. Per darci un’occhiata più da vicino, ne abbiamo parlato direttamente con il regista.
D. Andrea Jublin, per prima cosa come è nata l’idea del film?
L’idea nasce dalla volontà di raccontare una specie di Don Chisciotte di periferia, che al posto del suo Ronzinante ha una bicicletta.
D.Quindi il punto di partenza sono state le due ruote, e non il calcio…
In qualche modo sì: questa biciclettina, che andava per questa periferia italiana. Non necessariamente romana, perché abbiamo voluto descrivere una periferia di una qualunque città, che potrebbe essere Bari, per esempio, o Torino. La prima immagine è stata questa. Poi quando siamo entrati nella filosofia del personaggio, e ci siamo chiesti qual era il modo migliore per raccontarla, allora è venuto fuori il parallelismo col calcio.
D. Il film si sviluppa in gran parte all’interno di una scuola. Il suo cortometraggio, Il Supplente, aveva un’ambientazione simile. C’è un motivo particolare per questa scelta?
Si, ma si tratta di due luoghi differenti. In Banana la visione della scuola è molto negativa. È l’espressione di un’Italia stanca, rotta, a pezzi. Nel Supplente, invece, la scuola era un luogo pieno di vita, pieno di gioia, pieno di giovinezza, più vicino all’origine. Il protagonista del corto usciva dal suo mondo grigio e codificato, e si riavvicinava per un attimo all’infanzia.
D.L’immagine “negativa” della scuola di Banana si può allora applicare anche al mondo degli adulti in generale?
Assolutamente si. In questo film il mondo degli adulti e la scuola sono due contesti molto vicini, dove quasi nessuno si salva.
D.In effetti nel film c’è un’amarezza di fondo che non viene mai nascosta. Banana non si arrende mai, ma spesso fallisce. Per lei è un vincente o un perdente?
Banana secondo me è un vincente, nel senso che vince dove anche i vincenti perdono. Vince nella sua capacità di mantenersi vivo, che è l’unica cosa veramente importante del film.
D. Parlando delle inquadrature, i campi lunghi o le riprese di palazzi e paesaggi sono sempre tremolanti, non c’è mai la camera fissa. Perché?
Non c’è mai, per dare l’impressione di essere un po’ in guerra. È tutto macchina a mano, perché Banana porta avanti una sorta di battaglia contro il resto del mondo. E in guerra, se puoi fare riprese, non è che puoi mettere tanti cavalletti.
D.Com’è girare un lungometraggio oggi in Italia? Quali ostacoli ci sono?
Dalla candidatura all’Oscar a oggi ho fatto molta fatica. Sono morti un po’ di progetti, e poi è una strada difficile. È molto complicato trovare il denaro, e non è semplice quindi portare avanti qualcosa in cui veramente credi. Poi in questo caso la distribuzione è stata, diciamo eufemisticamente, molto limitata. Insomma, nel sistema-cinema italiano fare un film è molto faticoso.
D. Visto che ci avviciniamo alla notte degli Oscar, ci racconta la sua esperienza del 2008?
È stato molto bello. Gli Oscar sono questa specie di miscuglio iper americano dove vedi grandissime professionalità come Scorsese insieme, magari, a Paris Hilton. Me lo ricordo come un periodo molto divertente, ed ero contento di essere là.
D.Qual è il segreto per far colpo sulla giuria degli Oscar?
Credo che ci vogliano storie un po’ particolari, con degli elementi universali. Bisogna trovare un tema che al fondo è sincero, che quindi può toccare tutti. E credo che non sia solo il segreto dell’Academy, ma anche del buon cinema in generale.
Banana
GENERE: Commedia
REGIA: Andrea Jublin
SCENEGGIATURA: Andrea Jublin
ATTORI: Marco Todisco, Beatrice Modica, Camilla Filippi, Gianfelice Imparato, Giselda Volodi, Anna Bonaiuto, Giorgio Colangeli, Andrea Jublin, Ascanio Balbo
FOTOGRAFIA: Gherardo Gossi
MONTAGGIO: Esmeralda Calabria
MUSICHE: Nicola Piovani
PRODUZIONE: Good Films
DISTRIBUZIONE: Good Films
PAESE: Italia
DURATA: 83 Min