Cannes 68. Intervista al regista Làszlò Nemes

Il figlio di Saul  lo sguardo di un uomo sugli orrori di  di  Auschwitz-Birkenau

CANNES (corrispondente) – Un film in competizione  che fa riflettere  durante questa  sessantottesima edizione del Festival del Cinema di Cannes,  il figlio di Saul, del regista ungherese Làszlò Nemes, suo film d’esordio. Saul Auslander, il protagonista del film, è membro del Sonderkommando un gruppo di prigionieri ebrei isolato dal resto del campo e obbligati ad assistere i nazisti nel loro progetto di sterminio.  Lavora in uno di questi crematori e là riconosce suo figlio.  L’uomo  decide di fare una sua personale  intima ribellione, salvare il corpo del figlio dalle fiamme per dargli una sepoltura.

Saul Auslander è membro di Sonderkommando, chi erano i Sonderkommando?

Erano dei deportati scelti dalle SS per accompagnare fino alla camera a gas rassicurarli, farli entrare nella camera a gas poi estrarre i cadaveri bruciarli e poi pulire tutto.  Questo doveva essere fatto molto rapidamente perchè altri  dovevano arrivare subito dopo. Auschwitz Britenau  è una vera fucina fucina di cadaveri. Ogni giorno migliaia di ebrei sono assassinati. I membri del Sonderkommando diventano esecutori insensibili di crimini e  poi anch’essi verranno eliminati.

C’è un legame tra Lei e la Shoah?

Una parte della mia famiglia è stata asssassinata a Auschwitz. Era un  argomento quotidiano di conversazione quando ero piccolo, all”inizio non capivo, poi è nata in me la necessità di creare un legame con questa storia.

Per fare il film è passato attraverso le testimonianze  dei Sonderkommando....

Volevo fare un film attraverso delle testimonianze concrete, i Sonderkommando descrivono in modo preciso il funzionamento “normale” di una fucina di morti, con la sua organizzazione, le sue regole, le scadenze, la sua équipe, la sua  produttivitè massima. D’altronde le SS utilizzavano la parola ” Stuck” “pezzi” per definire i corpi. Là si producevano cadaveri.

Come è nata l’idea di raccontare la storia il figlio di Saul?

Non volevo mostare troppo questo campo di sterminio, ma guardarlo attraverso lo sguardo di Saul Auslander, un ebreo ungherese , membro di Sonderkommando e mi sono attenuto al suo punto di vista, ma non è uno sguardo soggettivo. Mi sono proposto di  sfuggire a qualche cosa di artificiale, dall’estetismo e da un esercizio di stile. Da ques’uomo è nata una storia unica, lui crede di riconoscere suo figlio tra le vittime e vuole conservare il suo corpo, trovare un rabbino che dirà il kaddish e dargli la sepoltura.Una missione che sembra derisa all’interno del campo ma per Saul è vitale.

Un grande lavoro storico e di documentazione…

Con la mia coscenarista, Clara Royer abbiamo letto testimonianze quelle di Shomo Venezia e Filip Muller, ma anche di Miklòs Nyiszli, un medico ebreo addetto al crematorio e naturalmente un nostro punto di riferimento Shoah di Claude Lanzmann.

L’orrore è fuori campo?

non volevo mostrare l’orrore e entrare nella camera a gss mentre le persone morivano. Le immagini mancanti sono le immagini della morte. Il film segue gli spostamenti di Saul e si ferma davanti alla camera a gaz, poi entra dopo lo sterminio per eliminare i cadaveri.

Come ha realizzato il film, colpiscono i primi piani che seguono il protagonista?

Ci siamo posti delle regole il film non deve essere bello, non deve essere seducente, non fare un film sull’orrore rimanere con Saul e non andare oltre la sua visione di ascolto, di presenza, la telecamera resta con lui attraverso l’inferno.

La resistenza di Saul è singolare?

Ci sono molti modi di resistere e Saul sceglie la sua ribellione il suo modo di resistere. Nel film vediamo il tentativo di ribellione che ha luogo nel 1944, la sola rivolta armata nella storia del campo di Aushwitz.Saul ha scelto una rivolta che pare  possa essere derisa ma segue la sua missione personale.  Recuperare il corpo, portarlo dai medici, trovare un rabbino.

In un momento del film Saul incrocia i resistenti che cercano di fotografare lo sterminio..

Era proibito dalle SS a Brikenau, la resistenza polacca ha introdotto molti apparecchi fotografici dai sonderkommando per testimoniare lo sterminio, hanno corso molti rischi ma sono riusciti a fotografare prima di entrare e subito dopo la camera a gas.

Nel film vengono esposte  quattro fotografie  mostrate nel 2001 nell’Esposizione Memorie dei campi. Queste quattro foto i hanno segnato sono integrate al centro del film  a un punto del percorso di Saul.

Come ha scelto Saul?

Géza Rohring non è un attore ma uno scrittore, un poeta ungherese  che vive a New York che ho incontrato qualche anno fa. 

Il personaggio può essere opinabile perchè dimentica i suoi amici che hanno bisogno di lui per la fuga tenta di opporsi alla fucina dei morti con una  cerimonie de la morte un rito, una preghiera..

Quando non c’è più speranza una voce interiore dice a Saul: bisogna sopravvivere per compiere un atto che abbia un senso, un senso umano, arcaico, sacro che è l’origine della comunità degli uomini e delle religioni, rispettare i corpi morti.

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